Jihadismo e mafia 28/07/2016
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Buongiorno, ho letto il suo ultimo articolo intitolato 'Disinformazione', orbene secondo la mia personale opinione il fenomeno della mafia siciliana con il fenomeno del terrorismo islamico anche se simili nel procedere occultandosi nella società, nei fatti hanno due motori differenti, la mafia agisce in un contesto sociale ove manca il concetto sociale di 'nostro' o 'di proprietà collettiva' difatti la Sicilia è l'unico posto in Europa a non aver mai creato un esercito nazionale, ne una monarchia nazionale, quindi il clan familiare o di affiliazione (la cosca - che letteralmente significa carciofo ed è chiaramente un simbolismo-) divenne uno dei possibili orizzonti di azione se non il principale del singolo, ovvero per abbreviare il mafioso essenzialmente è un operatore economico che non si fa scrupoli ad utilizzare metodi violenti ai fini dei propri interessi, per questo è di difficile individuazione, perché si mimetizza nella società politica, non la combatte, non è nei suoi interessi primari sovvertire l'organizzazione della società ma semplicemente di utilizzarla (questa essenzialmente fu la lezione di una generazione di Giudici: cercare e colpire i patrimoni). In merito alla parola mafia molto del suo successo lo deve al titolo di una rappresentazione teatrale svoltasi ai tempi della Bella Epoque in Palermo. Mentre per capire il motore della jihad e della sua differenza con harb, due termini, che come tutti sappiamo, in arabo significano lotta e/o guerra, sempre a mia personale opinione, per coglierli nella loro essenza bisogna ricorrere alla cultura ellenistica a cui attinsero i primi precettori arabi, ovvero alla differenza fra Athena e Marte, entrambi dei della guerra del pantheon greco ed ellenistico; ma mentre Marte è il classico dio della guerra ovvero una forza primordiale (poiesis) distruttiva generatrice di caos e della guerra dominata dall'ignavia, ovvero tuto ciò che esprime 'harb' (dar al harb Le suggerisce quacosa?); diversamente Athena, che rimane sempre una dea della guerra, diversamente nasce dal cervello di Zeus, è quindi una protettrice non di una poiesi ma di una techné, in questo caso della tecnica guerresca, della disciplina degli opliti, della disciplina in battaglia, riassumendo delle arti guerresche, che in arabo si traspose in jihad. Da ciò il jihadista dal punto di vista sociologico si immedesima in un qualcosa che trova origine nella volontà, e nello specifico una volontà che aspira ad assumere la forma militare, e non si immedesima nell'espressione di una forza nativa psichica o ancestrale che sgorga da chi sa dove da dominare o altro. Quindi quando si combatte la jihad radicale si combatte un qualcosa che pretende di essere in modo cosciente una organizzazione militare o paramilitare qual dir si voglia, e poiché innumerevoli sono le madrase, innumerevoli sono anche come viene immaginata possa realizzarsi questa forma militare, dal semplice conflitto interiore alla realizzazione di opere esterne e quindi di guerra. Combattere la jihad radicale significa combattere una guerra multiforme, per quante sono queste multiformi forme militari immaginate, ove possono non bastare da soli l'esercito e la polizia, ma deve scendere in campo anche la cultura e la politica che indirizzi i nuovi modelli di vita del villaggio globale mondiale verso modelli di coesistenza pacifica forse anche nuovi modelli da creare, per questo non sono concorde con il giudizio da Lei espresso sugli attuali politici, certamente tutto è migliorabile, ma quel 'We can' declinato in tutte le salse, lascia la porta aperta alla Speranza, anche se è quella di Pandora per rimanere in tema ellenistico, un semplice muro 'sic et simpliciter' se può essere utile nel breve periodo, nel lungo periodo rischia di fare la fine della Muraglia Cinese o dei limes antico romani Cordialmente

Franco Licciardello

Gentile lettore, le sue considerazioni sono interessanti e meritano riflessione. Io però non intendevo paragonare il terrorismo alla mafia, bensì solo l'omertà di politici e giornalisti di fronte al terrorismo con quella che i loro predecessori siciliani (e non solo) tennero di fronte alla mafia. E' un argomento minore, se vuole, ma a me sembra importante per capire perché la nostra società è così poco capace di difendersi di fronte all'assalto islamista. Cordialmente,

Ugo Volli