Bloccare l’invasione e chi l’aiuta 20/07/2016
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Autore: Ugo Volli
Bloccare l’invasione e chi l’aiuta
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,

vi pongo una domanda elementare, che dovrebbe inquietare tutti noi. Che cosa spinge un ragazzino di diciassette anni, un immigrante soccorso e accolto in una famiglia, a prendere un’accetta e assalire della gente mai vista, che non gli ha fatto niente, mutilandola e ferendola orribilmente? Follia? Frustrazioni adolescenziali? Ma no, lo spiega lui stesso benissimo in un video che ha lasciato: perché è un “soldato” dell’Islam e tutti quelli che non combattono con lui sono nemici (http://speisa.com/modules/articles/index.php/item.2973/is-publishes-video-with-axe-terrorists-in-germany.html). E’ anche questa una prova di follia? No, se le stesse cose le dicono il franco-tunisino che ha ammazzato una novantina di persone con un camion (preventivamente blindato e armato) a Nizza, i ragazzi di buona famiglia con scuole inglesi alle spalle che hanno torturato prima di ucciderli i nostri connazionali a Dacca, gli assassini del Bataclan e dell’aeroporto di Bruxelles, lo stragista di Orlando... e ogni giorno se ne aggiunge uno.

Tutti “soldati dell’Islam” e magari del suo califfato, quel che noi chiamiamo Isis, cioè Stato Islamico. Soldati però di solito non nel senso di essere gerarchicamente dipendenti o addestrati dai criminali (ai nostri occhi) che hanno instaurato uno stato barbarico fra Siria e Iraq: qualche volta capita, ma di solito non è così. Il ragazzino dell’ascia sul treno aveva in camera sua una bandiera dell’Isis, ma i giornali riportano che era un’insegna fatta in casa. Nessun agente di Raqqa l’aveva reclutato o “indottrinato”: aveva individuato il suo ideale di vita e i suoi nemici da solo, o piuttosto con l’aiuto e la solidarietà del suo ambiente e di quel che si era trovato su Internet. Era lui che aveva trovato riferimento nel califfato, non viceversa l’organizzazione terrorista che l’aveva cercato. Lo stesso vale per tutti gli altri. Anche quelli che erano stati ad addestrarsi in Afghanistan o in Siria, come gli assassini del museo ebraico di Bruxelles o della scuola di Tolosa, e in genere i cosiddetti foreign fighters, i combattenti stranieri, hanno scelto loro di reclutarsi nell’esercito dell’islam, hanno fatto loro il viaggio; non sono stati attirati. E se non ci fosse stato l’Isis (quando non c’era, quando sperabilmente non ci sarà più), questi viaggi e queste bandiere erano (saranno) altre: quelle dei talebani, di Al Qaeda, dei terroristi palestinesi che hanno iniziato ad addestrare i “rivoluzionari” (anche europei, anche non musulmani, purché nemici dell’Occidente e del nostro modo di vivere) dall’inizio, da cinquant’anni fa. In Italia guardate alla Brigate Rosse, a Potere Operaio, oggi ai No Tav.

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Tipico esempio di moderazione islamica: "La nostra è una religione di pace, uccidiamo chiunque pensi il contrario!"

Dunque passiamo alla domanda del perché non si può rispondere scaricando la responsabilità su qualche organizzazione e dunque non si può sperare di risolvere il problema disarticolando queste organizzazioni. Chi pensa che conquistare Raqqa basterà a fermare le stragi si illude. Come si illude (o bara) chi sostiene che bisogna eliminare le ingiustizie, migliorare lo stato sociale, assistere gli indigenti e in particolare i “migranti”, mostrarsi buoni e generosi per bloccare il terrorismo. Non è così, per la semplice ragione che, come dice ancora il ragazzino dell’accetta, noi siamo nemici e dunque andiamo eliminati. O sottomessi - e quel che noi intendiamo per generosità e accoglienza per loro è solo l’inizio della sottomissione, del pagamento della tassa che dobbiamo loro in quanto infedeli. Aiutandoli, diamo loro ragione e li autorizziamo ulteriormente a usare la violenza.

Attenzione, questo non è un ragionamento articolato, è invece un sentimento profondo, un modo di vivere che va rintracciato e articolato. Per capirlo non basta guardare le imprese dei killer, bisogna volgere lo sguardo alla massa dei loro correligionari. I quali - ci sono mille prove - approvano. Esaltano per l’atto di terrorismo riuscito, sono solidali con i terroristi catturati ed eventualmente uccisi, condividono i loro valori. Certo, trattandosi di masse immense con origini, interesse e anche credenze religiose differenziate (la divisione fra sciiti e sunniti, per esempio), vi sono grandi contraddizioni fra loro, guerre vere e proprie. E’ vero che si ammazzano ancor più fra di loro di quanto ammazzino noi. Ma questo non può certo consolarci, visto che la ragione principale per cui si uccidono e si fanno guerra è la stessa per cui la fanno a noi: l’accusa di infedeltà, di “sottomissione” insufficiente o sbagliata all’Islam (che vuol dire proprio sottomissione). Dunque che l’Isis faccia strage degli sciiti o viceversa, dal nostro punto di vista è una fortuna, diminuisce il pericolo, ma non elimina affatto la radice religiosa o ideologica del pericolo cui siamo sottoposti, semplicemente ne mette in evidenza la natura settaria e sanguinaria.

Come sottrarsi al pericolo? Come difendersi? Una ricetta facile non c’è, com’è evidente dal fatto che questa è una storia ben più che millenaria. E’ stato nel settimo secolo che un gruppetto di fanatici espulsi per il loro estremismo intollerante dalla città da cui provenivano (La Mecca) prima ne ha conquistata un’altra (Medina) ammazzando e facendo schiavi tutti quelli che non si piegavano alle visioni del loro capo - e qui è iniziato l’odio per gli ebrei che come sempre resistevano -; poi ha riconquistato con le armi la città d’origine, poi tutta l’Arabia, poi è dilagato con una spinta imperialista terribile in tutta la sponda sud del Mediterraneo fino all’India e alla Spagna ed è andato ripetute volte all’assalto dell’Europa. Oggi ci riprova. Con il terrorismo e con l’immigrazione. Prima di tutto con il terrorismo degli immigrati o dei loro figli. Seguendo la convinzione che i musulmani sono padroni degli altri per diritto divino, che non ci debbano essere altri culti o culture se non la loro.

Come ci si difenda da questa spinta di milioni senza un centro (perché l’islam oggi non ha una gerarchia politica o religiosa precisa, a parte il caso dell’Iran sciita che invece è gerarchico e del califfato, che prova a riportare un capo politico/religioso in testa alle masse sunnite), non lo sa nessuno. Ma so che il terrorista è un pesce che ha bisogno dell’acqua in cui nuotare, per usare la metafora di Mao. O, in termini più banali, che non c’è terrorismo islamico dove non ci sono molti musulmani - salvo quello di importazione, come i terribili attentati di Hezbollah in Argentina, Bulgaria eccetera, che però hanno comunque bisogno di una base. E dunque è essenziale limitare l’acqua, o se volete il bacino pubblico di appoggio logistico e sostegno agli islamisti. La violenza delle guerre si scatena ai confini: fino a qualche anno fa era solo in Cecenia, Kashmir, in Bosnia, in Israele, luoghi confinanti con territori islamici. Oggi il confine è dappertutto, perché ce lo siamo portati in casa. Per la nostra pace civile, per non trovarci un uomo con l’accetta sul prossimo treno, un camion che ci investe alla prossima festa popolare, un uomo bomba in aeroporto, dobbiamo fermarli. Non dobbiamo più compiere il gesto suicida dell’”accoglienza”. Bisogna che si sappia che chi “accoglie” gli immigrati islamici è complice - sia pure involontario e inconsapevole - del terrorismo islamico, e va fermato. Forse non si possono fermare gli assassini, ma il loro terreno di cultura sì. Non è possibile separare gli aspiranti terroristi dalla massa in cui sono mimetizzati, bisogna fermare la massa. E bisogna innanzitutto bloccare e delegittimare, sconfiggere politicamente chi lavora per aprire le porte a queste masse. Il tema politico dei prossimi anni è questo: bloccare l’invasione per recuperare un po’ di sicurezza.

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Ugo Volli


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