Una questione fondamentale 29/06/2016
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Autore: Ugo Volli
Una questione fondamentale
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,

guardiamo oltre la cronaca. Che cosa hanno in comune gli insulti che buona parte degli intellettuali e dei politici hanno riservato alla scelta degli elettori inglesi nel referendum e all’antipatia “naturale” che buona parte di loro sente per l’idea di “stato ebraico” che sta al centro del sionismo? Ci sono molti elementi (per esempio l’interesse economico o presunto tale, l’antisemitismo nel caso di Israele, il fastidio per una democrazia che non si lascia guidare dai buoni consigli degli autonominati opinion leader). Ma un punto mi sembra centrale ed è il fatto che Israele come i votanti della Brexit difende il valore della nazione o della patria o del popolo - termini che sono diventati tabù presso gli stessi opinion leaders e le persone perbene che ne seguono il consiglio (salvo che si tratti di “popoli che lottano per la liberazione nazionale” contro il “colonialismo” americano e i suoi “lacché” come Israele, alleati al “movimesto socialista internazionale”, nel qual caso oggi come ai tempi di Stalin fanno benissimo anche se praticano il terrorismo e sono orribilmente repressivi al loro interno - ma questo è un altro discorso, si sa.

Che cos’è una nazione? Al di là di ogni riferimento mitico ad antenati comuni, si tratta di un’unità basata su un’identità socioculturale (linguistica, di usi e costumi, di storia e tradizione) legata a un territorio e innanzitutto riconosciuta come tale. Una nazione non è il semplice fatto etnico o storico e geografico di una comunanza, è il suo riconoscimento condiviso, la volontà di difenderlo, l’aspirazione all’autogoverno. E’ insomma “scegliere di essere quel che si è assieme” e di far prevalere questa unità su altre unità possibili, come quella di religioni universalistiche o di condizioni sociali (le “classi”). La nazione, come le religioni universali (in particolare l’Islam) e le classi sono concetti pre-politici, nel senso che sceglierne l’una o l’altra fonda lo spazio politico, la distinzione politica basilare fra amico e nemico. L’appello di Marx “proletari di tutti i paesi unitevi”, come la distinzione islamica che organizza il mondo non per diverse appartenenze nazionali, ma fra “casa della sottomissione” (Dar al Islam) e casa della guerra ha il senso di rifiutare o molto sottostimare l’organizzazione nazionale in favore di altre appartenenze trasversali. La nazione a sua volta, si afferma spesso fondendo diverse appartenenze più piccole, come quelle della tribù o in Italia del Comune - non nel senso che fiorentini e senesi, milanesi e napoletani del Rinascimento e fino a un secolo fa non riconoscessero di essere italiani, ma che trovavano che lo spazio di organizzazione politica, di appartenenza profonda e di solidarietà dovesse essere quello cittadino o regionale, non quello nazionale riservato alla cultura; lo stesso accade in questo momento all’inverso con la dissoluzione degli spazi nazionali nel mondo arabo, sostituiti di nuovo dalle tribù o dalla umma (l’identità islamica).

La nazione europea moderna si è affermata in concomitanza col liberalismo e lo sviluppo del potere borghese. Le aristocrazie e in genere l’ancien régime aveva un’organizzazione transnazionale o locale; affermare la Francia, la Germania, la Grecia o l’Italia contro gli staterelli locali o gli imperi multinazionali come quello absburgico o ottomano voleva dire costruire uno spazio di autogoverno e di libertà per persone che si riconoscevano come uguali e capaci di solidarietà sufficiente per imporsi obblighi pesanti come il servizio militare o la tassazione universale. Naturalmente questa è l’ideologia, la realtà come sempre era più “sporca” e confusa. L’assalto socialista e poi comunista a questa organizzazione nazionale e tendenzialmente liberale dello spazio politico nel nome dell’altra organizzazione delle classi e dell’”internazionalismo proletario” provocò la reazione fascista, che riuscì a dare una definizione violenta e totalitaria, alla fine persino genocida della nazione e del popolo, fondendola con una nozione che in precedenza non le era connessa, quella di razza.

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L’europeismo è nato (per esempio col Manifesto di Ventotene) dall’idea erronea che il concetto di nazione fosse di per sé fascista. Questo non è vero, basta pensare al nostro risorgimento e in particolare a Mazzini, alle rivolte popolari del ‘48, al carattere democratico e progressivo del sionismo che nasce in questo contesto: liberale con Herzl e Weizmann, socialista con Ben Gurion e la sua generazione, solo in minoranza nazionalista ma mai fascista con Jabotinski. Spinelli e i suoi sodali (Schumann ecc.) pensavano che il solo modo di evitare la rivincita del fascismo fosse distruggere lo spazio nazionale come matrice politica. Questa intuizione, pur nella degradazione burocratica e autoreferenziale che tutti più o meno riconoscono, è stata seguita puntualmente nella costruzione europea. Perché l’Unione Europea non si pone come una nazione nuova e più grande cui tutti i suoi cittadini potrebbero o dovrebbero partecipare. A parte alcuni gesti retorici non troppo convinti né praticati (la bandiera, l’inno, un po’ di rivendicazioni culturali), l’Europa attuale non vuole legarsi a un territorio preciso (non aspira a includere la Russia europea, vuole invece la Turchia che per lo più è asiatica ecc.), non ha né può avere una lingua comune, non parla di una cultura comune se non in termini molto generici (Shakespeare continua a essere presentato come inglese, non europeo, Dante come italiano, Cervantes come spagnolo), si rivolge ai cittadini solo attraverso i loro stati ecc. La verità e che l’Unione Europea è un’ente politico all’interno di uno spazio universalistico, non una realtà pre-politica che definisca un’appartenenza forte al cui interno possa realizzarsi il gioco politico. E’ come l’Onu, non come l’Italia o anche la Svizzera (che ha più lingue, ma un’identità condivisa fortissima).

Per questa ragione l’Europa può vivere solo depotenziando le realtà nazionali, impedendo loro di autodeterminarsi, ma senza sostituirle con un’identità sovraordinata, regolando invece minuziosamente e burocraticamente infiniti aspetti della vita commerciale e della regolamentazione collettiva - proponendo in cambio vantaggi economici e sociali (l’affermazione di certi diritti, la libera circolazione ecc.). Tendenzialmente l’esistenza di identità nazionali forti per l’Unione Europea è un ostacolo, come lo era per l’Unione Sovietica finché Stalin decise di farvi ricorso in guerra, o per l’Islam. L’immigrazione, fra le altre cose, è un ottimo mezzo per questo lavoro di lenta erosione, come molte regolamentazioni burocratiche che, per esempio nel campo alimentare, privilegiano gli interessi dell’industria su quelli nazionali o locali, qualificando le regole della cultura materiale dei vari popolo come “ostacoli alla concorrenza”.

E’ un discorso lungo, che in parte viene svolto anche nel libro di Enzesberger che vi ho spesso citato (“Il mostro buono”). Il punto cui voglio arrivare è che la questione dell’immigrazione fra le altre cose ha portato in evidenza il conflitto fra spazio dell’identità nazionale e spazio universalistico europeo. Emerge con chiarezza che i popoli (o almeno consistenti e talvolta maggioritarie quote al loro interno) non sono disposti ad abbandonare le loro identità nazionali (o talvolta locali) e che anzi vogliono riorganizzare lo spazio politico perché sia più aderente a queste identità (l’indipendentismo catalano, basco, scozzese ecc.). Qui si gioca il conflitto anche per la Brexit, questa posizione è quella che i nostri maitres-à-penser trovano ridicola e sbagliata, e questa è anche una delle ragioni dell’antipatia per Israele, che vuole essere lo stato nazionale degli ebrei, quando la tradizione cristiana e quella islamica negano per diverse ragioni agli ebrei il diritto all’autogoverno e gli universalisti trovano “fascista” la sola idea di uno stato nazionale. Su questo punto si svolge una battaglia che a molti non è chiara e non viene mai dichiarata, ma che riguarda la definizione di valori fondamentali come identità, libertà, solidarietà.

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Ugo Volli


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