Due storie che - forse - possono far pensare 22/06/2016
Autore: Ugo Volli

Due storie che - forse - possono far pensare
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari Amici,

per rompere un po’ la monotonia della politica e della strategia e magari anche per farvi sorridere (un sorriso amaro è pur sempre un sorriso), oggi vi racconto due storielle, piccole piccole, ciascuna a modo suo insignificante, di antisemitismo arabo.
Magari serviranno a far riflettere un po’ i poveri illusi che pensano che l’odio musulmano contro Israele sia come la neve di primavera in collina, che una giornata di sole basta a dissolvere.
Ecco qui: la prima è una storia insignificante a causa del suo carattere ripetitivo e dell’evidente fanatismo paranoico del protagonista declamante. Si tratta infatti di un tal religioso islamico iracheno di nome Ahmad Al-Kubeisi il quale proclama come una verità ovvia che l’Isis è una marionetta in mano a Netanyahu “che ne tiene in mano il telecomando” e dà ordini a tutti i governanti dell’America, Europa e altrove”, sicché gli ebrei oggi sono “i padroni del mondo” (https://www.youtube.com/watch?v=Qx3a7iYVwIc ): roba da far impallidire per l’invidia gli autori dei Protocolli dei Savi di Sion: quallo che per loro era un complotto lontano, per il veggente islamico è roba di oggi.

Qualcuno mi dovrebbe spiegare perché, se le cose stanno così, io invece di starmene in vacanza permanente su un superveliero ancorato a qualche spiaggetta tropicale passo il tempo a faticare, e molto più seriamente perché ci siano tanta gente, vecchi donne e bambini inclusi, che continua a pagare con la vita il semplice fatto di essere nati ebrei.

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L'islam insegna la pace

Ma il delirante non va preso sul serio, naturalmente, neppure per una smentita. Piuttosto bisogna prendere atto della sua esistenza e di quella di migliaia o milioni come lui che in televisione e in classe, sui giornali e nei discorsi politici vomitano quotidianamente odio su Israele e gli ebrei, probabilmente senza averne mai incontrato nessuno in vita sua.
Ecco perché non è possibile la pace, ecco perché non ci sono interlocutori arabi disposti davvero a riconoscere Israele, ecco perché le aperture diplomatiche sono appunto diplomatiche. Nell’Islam contemporaneo è diventata dominante e ossessiva una teologia dell’antisemitismo, che peraltro ha radici solide nel Corano e nelle azioni di Maometto.

Il secondo fatto è un’applicazione particolarmente inquietante di questi principi di odio.
E’ accaduta un mese e mezzo fa in Giappone, ve ne parlo solo adesso perché l’avevo letta, me l’ero segnata, ma poi c’era sempre urgenza di parlare d’altro.
E’ una vicenda semplicissima ma molto triste. A Tokio si svolgeva il campionato mondiale di pinng pong in sedia a rotelle, per persone impossibilitate a muoversi normalmente.
Fra le altre squadre c’era quella di Israele, che doveva incontrare quella del Marocco, la quale però si è rifiutata di giocare e ha preferito perdere per squalifica che giocare con gli avversari israeliani (http://blog.eretzyisrael.org/post/145207908911/morocco-refuse-to-play-israel-in-wheelchair-tennis )
Ovviamente non si tratta di scelte fatte dagli atleti, in casi così politici non accade mai così. Notate anche che il Marocco passa per essere, e per certi versi sembra che sia davvero moderato, combatte il fondamentalismo e ospita anche una comunità ebraica, che per quanto ridotta a un centesimo di quel che era settant’anni fa (“nel 1948, circa 265.000 ebrei vivevano in Marocco. Circa 2.500 vivono lì adesso, per lo più a Casablanca, ma anche a Fes e in altre città principali” https://en.wikipedia.org/wiki/History_of_the_Jews_in_Morocco ). E’ pochissimo ma è pure sempre una presenza che non c’è più né in Egitto né in Iraq, né in Libia, né in Yemen e altri paesi.

Quel che colpisce in questa storia non è tanto il boicottaggio sportivo, ci siamo abituati.
In questo articolo di Wikipedia trovate elencati 25 casi clamorosi fra il 2001 e il 2015: https://en.wikipedia.org/wiki/Boycotts_of_Israel_in_sports .
Colpisce il fatto che questa forma di razzismo antisraeliano avvenga in un torneo paralimpico, cioè da parte di atleti ben capaci di capire che cosa sia l’emarginazione e la discriminazione, che vivono in un mondo dove la solidarietà è un valore essenziale, tanto che di solito queste competizioni sono esenti dagli odi e dai conflitti politici.
Eppure il razzismo musulmano vince non solo sulla tradizionale tregua olimpica, che fin dai tempi della Grecia classica prescrive di non riportare gli odi delle guerre nel luogo dello sport, ma anche sulla solidarietà paralimpica.
Pensateci, la prossima volta che vi chiedono di stare a fianco dei poveri musulmani perseguitati dagli islamofobi.

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Ugo Volli