Fuori c’è la realtà 19/06/2016
Autore: Ugo Volli

Fuori c’è la realtà
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli


Cari amici,

chi segue la politica israeliana non avrà perduto negli ultimi giorni l’appuntamento annuale dell’Institute for Policy and Strategy (IPS) di Herzlyia, il più importante forum extra-istituzionale della politica israeliana, abbastanza ricco da permettersi di pagare il costo di una relazione introduttiva di Henry Kissinger anche se in forma di intervista e in collegamento video, perché l’ex segretario di Stato si sente troppo vecchio per viaggiare. Trovate qui la registrazione (https://www.youtube.com/watch?v=iS8svYcrD70 ). Kissinger non ha detto nulla di rivoluzionario, ma ha sottolineato con la voce del buon senso, che le conferenze internazionali e le mozioni all’Onu non risolveranno il conflitto arabo-israeliano e ha suggerito una strategia di gestione per piccoli passi, che è l’approccio seguito dai governi Netanyahu.

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Ma è stato proprio l’assente Netanyahu, non Kissinger, il tema principale della conferenza, o meglio il suo oggetto polemico, perché sul palco si sono avvicendati candidati alla sua successione: Tzipi Livni, che ha annunciato la possibile fondazione di un nuovo partito (sarebbe il sesto per lei); un paio di generali ex capi di stato maggiore (Ganz e Askenazi) che hanno lasciato capire che potrebbero impegnarsi in politica, senza dire con chi (http://www.jpost.com/Israel-News/Politics-And-Diplomacy/Four-IDF-chiefs-of-staff-attack-Netanyahu-457026 ); un altro ex capo di stato maggiore ed ex ministro della difesa, appena licenziato da Bibi, Moshé Ya’alon, che ha promesso di candidarsi lui come avversario di Netanyahu, in concorrenza coi precedenti e in un altro partito nuovo, perché i suoi toni polemici lo mettono evidentemente fuori dal Likud da dove proviene (http://www.jpost.com/Israel-News/Yaalon-Israel-doesnt-face-any-existential-threat-not-even-Iran-456978 ); un altro ex ministro della difesa, Ehud Barak, che invece ha detto di non volersi candidare, senza però tacere sul rischio “fascista” dell’attuale governo e accennando anche di essere stato l’unico politico capace di battere Bibi alle elezioni (http://www.jpost.com/Israel-News/Barak-Netanyahu-in-a-panic-knows-the-end-of-his-reign-is-near-457074 ).

Tutto come se le elezioni fossero domani, anche se il recente rafforzamento della maggioranza con l’ingresso del partito di Lieberman e l’adozione di un bilancio biennale fanno pensare che sia probabile una durata del governo vicina al termine di legge di quattro anni - dunque fino al 2019.
Tutte queste sono le solite tempeste in un bicchier d’acqua della politica israeliana, molto frammentata dalla moltiplicazione dei partiti, dal metodo elettorale proporzionale con collegio unico nazionale e anche dal carattere tradizionalmente individualista e dialettico degli israeliani - tanto che il Jerusalem Post ha commentato dicendo che “per questi politici c’è un solo problema: si chiama realtà ma si trova solo fuori dalla conferenza” (http://www.jpost.com/Israel-News/Politics-And-Diplomacy/Analysis-Elections-far-far-away-except-on-Planet-Herzliya-457031 ).

E però, a parte le autocandidature e le filippiche degli ex ministri ed ex capi dell’esercito che trovano ragioni di critica solo quando escono dalla stanza dei bottoni, a Herzlyia più o meno tutti hanno sollevato contro Netanyahu un argomento interessante. Non è vero, hanno detto, quel che sostiene Bibi sui pericoli che corre il paese, questo è solo un modo di suscitare e sfruttare la paura della gente. Israele è sicuro, hanno detto tutti, non vi sono oggi pericoli immediati che ne minaccino l’esistenza, “neanche l’Iran”, come ha detto Ya’alon.

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Battendo su questo tasto i precoci candidati alla successione di Netanyahu vogliono mettere sotto accusa l’allarmismo del governo, magari contraddicendo anche le posizioni che hanno sostenuto quando erano responsabili della sicurezza del paese - nel caso di Ya’alon fino a un mese fa.

Ma sbagliano. Perché dire di un governo, che è stato eletto innanzitutto per garantire la sicurezza, che il paese è effettivamente al sicuro vuol dire riconoscere il suo successo. Soprattutto se si pensa che questa sicurezza è stata ottenuta sotto un’amministrazione apertamente ostile, in mezzo a ondate di terrorismo, nell’ambito di un Medio Oriente che è immerso in una terribile e sterminata guerra civile, sotto le minacce esplicite e ripetute a ogni piè sospinto di una potenza imperialista, aggressiva e seminucleare come l’Iran.
Non potevano fare complimento più grande a Netanyahu.

Ma l’allarmismo? Be’, l’assenza di immediati “existential dangers”, come dice la stampa internazionale (che non sono “pericoli esistenziali”, come di solito malamente si traduce, ma minacce all’esistenza stessa del paese), non significa che i pericoli non ci sono, ma solo che non sono imminenti, che cioè nessuno in questo momento ha la forza e l’opportunità per distruggere lo stato ebraico. Il che non vuol dire che Hamas, Hezollah, Iran, terroristi islamici vari non ne abbiano la voglia; non vuol dire che l’esercito iraniano non si stia avvicinando ai confini di Israele (e bisognerà vedere che cosa farà quando non avrà l’Isis fra i piedi, il che accadrà forse entro un anno come prevede il responsabile antiterrorismo dell’Unione Europea, De Keekhove: http://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2016/06/16/terrorismo-ue-entro-un-anno-isis-battuta-in-siria-iraq_30158146-dda9-41b7-a83a-c5828201a21c.html ) , né che Hezbollah abbia buttato fra i rifiuti i 100 mila missili puntati su Israele, né che i palestinisti abbiano smesso di preparare tunnel aggressivi e attentati vari. Né infine, che l’Unione Europea e i democratici americani abbia smesso di lavorare per depotenziare, isolare, disarmare Israele.

Semplicemente Israele ha la forza di contrastare le aggressioni se vi presta tutta la sua attenzione e la sua cura, se non rinuncia a difendere politicamente e anche militarmente la sua sicurezza, se mantiene lo sguardo lucido sulla realtà regionale, senza indossare gli occhiali rosa del pacifismo né, tanto meno, l’odio di sé degli antisionisti. Cioè se continua nella politica attenta e nella capacità di difendersi tatticamente dalla debolezze strategiche che hanno caratterizzato la politica di Netanyahu. Perché fuori di Herzlyia c’è la realtà del Medio Oriente, difficile e sanguinosa, dove le armi prevalgono sui bei discorsi.

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Ugo Volli