(Traduzione di Angelo Pezzana)
Il risultato del referendum del prossimo 23 giugno, il cosiddetto Brexit - se la Gran Bretagna deve uscire o rimanere nell’Unione europea -avrà conseguenze per Israele. Se la maggioranza degli inglesi voterà per rimanere, l’Europa ne trarrà un vantaggio e per anni di un referendum simile non se ne parlerà più. Né altri stati membri saranno invogliati a proporlo nei loro rispettivi paesi. Israele ha interesse nella continuità dell’attuale partecipazione alla UE, malgrado al suo interno ci siano molte posizioni contrarie.
Come altri organismi transnazionali, la UE opera gravi discriminazioni contro Israele, interferendo nei suoi affari interni. Nelle relazioni con lo Stato ebraico segue un doppio standard di giudizio, come l’etichettatura dei prodotti provenienti dal West Bank e dal Golan. Una pratica antisemita, in base alla definizione stabilita dalla UE ( IHRA) di antisemitismo, accolta da molti paesi aderenti, che non viene mai messa in atto in altri casi simili. Iniziative che hanno più a che vedere con la definizione di imperialismo piuttosto che con la legge internazionale, questa sì di competenza europea.
Se l’Inghilterra esce dalla UE, l’instabilità europea che ne seguirà potrebbe causare all’inizio svantaggi a Israele, l’Inghilterra si sentirebbe libera dall’obbligo di comportarsi secondo le direttive europee. Se il partito laburista vincesse le prossime elezioni, i problemi per Israele subirebbero una forte crescita, l’attuale leader Jeremy Corbyn, che si dichiara amico di Hamas e Hezbollah, sarebbe lui il Primo Ministro. Lo stesso succederebbe con l’intero governo, dove molti suoi componenti avranno le stesse posizioni contro Israele. Se i laburisti vanno al governo mentre l’Inghilterra è ancora nella UE, l’obbligo di rimanere sulle posizioni in linea con gli altri governi europei rappresenterebbe un freno all’anti-israelismo.
Per questo ritengo che una vittoria di chi vuole rimanere nella UE, anche con una maggioranza risicata, sia preferibile per gli interessi di Israele. Sono stati pochi coloro che si sono espressi pubblicamente come ebrei o in base ai loro convincimenti su Israele. L’editorialista del Times, Melanie Philips, ha scritto “ Sono a favore dell’uscita, così potrò tornare a essere di nuovo in un paese democratico con un governo indipendente. Penso anche che sia interesse degli Usa, di Israele e della stessa Europa se la UE si disgrega”. Ha poi aggiunto “ L’immigrazione fuori controllo, l’islamizzazione e l’assenza di ogni capacità di governare dei responsabili europei hanno causato enormi stress ai cittadini europei. Questo ha fatto crescere la presenza dei partiti ultra-nazionalisti e estremisti”.
La giornalista Angela Epstein, anche lei in favore dell’uscita, ha richiamato la “ storia sanguinosa del fascismo pan-europeo”. Lo studioso Geoffrey Alderman, in una lunga analisi dei pro e contro, ha scritto “ Brexit tocca il problema della sovranità. In quanto ebreo osservante, prego per il benessere della nazione, per questo voterò il 23 giugno per l’uscita dalla UE”. Alcuni ebrei che ricoprono cariche importanti si sono espressi su Brexit in quanto ebrei. Moshe Kantor, presidente del Congresso Ebraico Europeo, si oppone all’uscita. Da miliardario russo che vive a Londra, ragiona in base a criteri economici. In Inghilterra vive una comunità ebraica che teme invece la Brexit, sono gli ebrei che hanno scelto di abbandonare la Francia trasferendosi in Inghilterra, in parte a causa del crescente antisemitismo. Hanno notevoli problemi di ordine burocratico dopo aver scelto di vivere e lavorare in Inghilterra, alcuni potrebbero avere delle difficoltà , ad esempio perdere la cittadinanza.
Gli inglesi, come altri governi europei, affermano – mentendo - di voler il meglio per Israele, eppure interferiscono nei suoi affari interni. Il governo israeliano, al contrario, si è tenuto fuori dal dibattito sul Brexit. Solo l’Ong ‘Regavim’, si è unita a degli espatriati inglesi che vivono in Israele, organizzando una campagna su internet a sostegno di Brexit. Il sito diffonde immagini di una conferenza stampa inventata di Hamas, elogi alla UE in merito alle costruzioni illegali nell’Area C, l’etichettatura dei prodotti dal West Bank e dal Golan, e i finanziamenti europei ai palestinesi, che in parte vengono usati per costruire i tunnel a Gaza e aiutare i terroristi condannati nelle prigioni israeliane. Ci sono altri aspetti interessanti su Brexit, che coinvolgono Israele e gli ebrei. Per esempio riguardo la Shoah. Il ministro Boris Johnson, già sindaco di Londra, uno dei leader di Brexit,, ha citato Winston Churchill chiedendo agli inglesi dei essere “ di nuovo gli eroi dell’Europa”. Sull’integrazione europea ha detto “Napoleone, Hitler, in tanti ci hanno provato, ma la cosa è finita in tragedia”.
Lord Heseltine, già deputato conservatore e vice Primo Ministro, gli ha risposto duramente, ma lo storico Andrew Roberts, è intervenuto in aiuto di Johnson dicendo “ ha assolutamente ragione da una prospettiva storica, c’è qualcosa di destabilizzante nel tentativo di mettere insieme una trentina di stati in una sola entità politica. Una unione che non funziona, dal punto di vista storico. Chi vuole rimanere ha attribuito a Johnson cose che non ha detto, una pratica scorretta”. L’ex Cancelliere Lord Lamont ha affermato che “non ci sono dubbi che la nascita del partito fascista greco Alba Dorata sia direttamente collegata alla sadica politica di austerità imposta al paese dalla UE”. Una decina di anni fa ho intervistato il sociologo francese Shmuel Trigano per il mio libro “Israel and Europe: An expanding Abyss”. Allora aveva una opinione negativa in merito alla UE, disse “Ci sono stati tre imperi europei, con Carlo Magno, Napoleone e Hitler, caratterizzati rispettivamente da evangelizzazione, dominazione e terrore. Un esempio non rassicurante”.
Aggiunse poi che la UE era in una posizione riduttiva rispetto all’impero napoleonico, che era guidato da un leader politico carismatico. La UE, invece, ha soltanto un “centro burocratico amministrativo a Bruxelles”. Veniamo a Israele, dove c’è ancora chi crede che l’Europa sia un paradiso di civiltà paragonata al paese dove vive. Dovrebbero invece dare un’occhiata alle diffamazioni, menzogne, insulti e accuse che vengono dai protagonisti del Brexit. I Laburisti, stando ai sondaggi, sono in calo, a causa del loro leader, l’estremista di sinistra Jeremy Corbyn.
Ma il dibattito sul referendum è anche un’occasione per esaminare il partito conservatore. Il Primo Ministro David Cameron, che è contro l’uscita dalla UE, ha accusato i difensore del Brexit di mentire su economia, sicurezza e sovranità britanniche. Nadine Dorries ha dichirato che né lei né i suoi colleghi hanno più fiducia in Cameron o nel Cancelliere dello Scacchiere Osborne, per le loro “ripetute menzogne” durante la campagna referendaria contro il Brexit. Questi due esempi fanno parte di una atmosfera dominata da volgarità e allarmismo.
Manfred Gerstenfeld è stato presidente per 12 anni del Consiglio di Amministrazione del Jerusalem Center for Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta. E' appena uscito il suo nuovo libro "The war of a million cuts" (in inglese). E' una analisi di come ebrei e Israele sono delegittimati e come farvi fronte.