A destra: Yom Yerushalaim, l'anniversario della riunificazione di Gerusalemme
Cari amici,
ieri si è festeggiato in Israele Yom Yerushalaim, il quarantanovesimo anniversario della liberazione di Gerusalemme. Anche se in ritardo, vale la pena di partecipare ai festeggiamenti ricordando qualche ragione del legame storico fra Israele e la città che con il suo circondario (la Giudea e Samaria, grandi più o meno come la provincia di Cuneo) è il punto focale del tentativo che il mondo fa per cercare di ridimensionare e in prospettiva distruggere il piccolo stato di Israele. Cominciamo da qui, da questo tentativo, che è ipocritamente taciuto, ma perseguito con tenacia. Quali altri stati al mondo non hanno un’ambasciata nella propria capitale? Per Gerusalemme è così. Al momento vi sono 160 stati al mondo che riconoscono Israele, 21 che non lo riconoscono (https://en.wikipedia.org/wiki/International_recognition_of_Israel). Ma nessuno ha un’ambasciata nella capitale di Israele, che è Gerusalemme. Né a “est” e neppure a “ovest”, il territorio su cui in teoria l'autorità palestinese non avanza per il momento pretese (ma forse la Chiesa sì?).
Anche la cattiva stampa (inclusi i giornali che pretendono di essere autorevoli) ha preso la ridicola abitudine di parlare di “governo di Tel Aviv”, “politiche di Tel Aviv” eccetera. Ma la capitale di uno stato è dove ha sede il governo, il parlamento, il capo dello stato, la corte suprema, eccetera eccetera. Tutto questo in Israele sta dall’inizio a Gerusalemme - badate, a Ovest, se vi piace questa distinzione, ma non basta. Dunque la “comunità internazionale” e la stampa si riservano l’unico diritto di stabilire dove Israele DEVE avere la sua capitale: dappertutto, ma non a Gerusalemme (e nel suo hinterland). Est o Ovest, lo ripeto, non importa. Sotto questo atteggiamento è facile leggere la determinazione a non ripristinare la situazione dell’armistizio del ‘49 (quelli che erroneamente sono chiamati “confini del ‘67”), ma la mappa votata dall’assemblea dell’Onu in cui Israele aveva metà dello spazio che poi seppe ottenere nella guerra di indipendenza e in particolare Israele era un’entità extraterritoriale, amministrata non si capisce bene da chi.
Che piaccia o no agli arabi e al mondo intero, Gerusalemme non è solo la capitale politica di Israele, ma anche il centro della sua esistenza da quando Davide ne fece la capitale del suo regno 3000 anni fa. In realtà la tradizione biblica fa di qual luogo anche il teatro di eventi biblici come il sogno della scala di Giacobbe e il mancato sacrificio di Isacco. Ma certamente lo stato ebraico si è formato lì; buona parte della Bibbia ebraica (che la nomina e la esalta infinite volte) vi è stata scritta, lì hanno avuto sede i due templi. Gli esili di Israele sono stati innanzitutto perdite di Gerusalemme e il ritorno in essa è stato oggetto di preghiera molte volte al giorno, per tutte le generazioni di ebrei dall’invasione romana in poi. La continuità di questo legame si vede anche solo girando da turista per la città, vedendo lì il muro eretto da Erode, qui i resti delle scalinate che portavano al Tempio, un po’ più giù le tombe di profeti e personaggi biblici, al centro della città il cardo romano e le case dei sacerdoti, nei musei le monete e i resti della civiltà del primo Tempio, sottoterra le canalizzazioni per l’acqua e le scritte degli operai che le costruirono duemila e settecento anni fa.
In contrasto con questo, Gerusalemme non è mai stata nella sua storia capitale di uno stato arabo (non ebbe nessun ruolo neppure durante l’occupazione giordana, fra il 1948 e il ‘67), non è nominata dal Corano (che invece parala dei diritti degli ebrei alla loro terra). Il mito di una “lontana” moschea da cui Maometto avrebbe preso il volo è stato applicato a Gerusalemme solo secoli dopo la morte del profeta; in genere gli arabi hanno sempre avuto poco interesse per la città. Ibn Taymiyyah, grande teologo islamico del XIII secolo, proibì ogni forma di culto e di pellegrinaggio a Gerusalemme. Nel 1845, quando il dominio islamico (turco, non arabo) sulla città durava da parecchi secoli, il censimento dei sultani dava 15 mila abitanti, di cui la metà era ebrea, un quarto cristiana e solo un quarto musulmana. Il capoluogo regionale in quel momento era a Damasco e quello provinciale a Ramla; Gerusalemme non aveva alcun ruolo. Ai musulmani di Gerusalemme è importato solo quando qualcun altro (i crociati novecento anni fa, gli ebrei nell’ultimo secolo e mezzo) ha cercato di ricostruirla e farla fruttare. (http://www.israelhayom.com/site/newsletter_opinion.php?id=16309).
Gli italiani dovrebbero capire questo legame, perché anche l’Italia era incompleta e monca nel 1861 senza Roma e i governi della destra storica ebbero il coraggio di sfidare la Chiesa Cattolica e anche la potenza cui si doveva l’aiuto decisivo per l’unità, cioè la Francia, pur di impadronirsene; e anche allora ci furono boicottaggi e mancati riconoscimenti. Con la differenza che il legame fra il popolo ebraico e Gerusalemme è molto più forte e duraturo. Un ebraismo senza Gerusalemme al centro non è semplicemente immaginabile; per togliere Gerusalemme dal cuore agli ebrei bisognerebbe distruggerli (o piuttosto è per questo che si vuol togliere Gerusalemme agli ebrei, per distruggerli). Non si tratta solo di un fatto religioso, anche se il legame ha radici profonde nella fede ebraica, perché Gerusalemme è il Tempio e il Tempio è la condizione per cui il Signore dice nella Bibbia “abiterò in mezzo a voi”. Ma anche il movimento politico nazionale ebraico ha qui il suo centro. Si chiama Sionismo, oggi è insultato da tutti gli sciocchi, che siano nazisti o comunisti non conta; ma è l’equivalente del Risorgimento italiano e della Resistenza assieme. Si chiama Sionismo, come sapete. Ma Sion è semplicemente un nome alternativo per Gerusalemme. Per cui si potrebbe tradurlo Gerusalemmismo. Per questo festeggiamo ogni anno la liberazione della città che non siamo disposti a dividere né ad abbandonare, costi quel che costi. Perché non c’è ebraismo senza Gerusalemmismo.
Ugo Volli