L'unica voce triestina contro l'Amleto palestinista 14/05/2016
Commento di Deborah Fait
Autore: Deborah Fait
L'unica voce triestina contro l'Amleto palestinista
Commento di Deborah Fait

Per saperne di più su uno spettacolo di autentica propaganda contro lo Stato ebraico, rimandiamo al commento di IC alla pagina http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=4&sez=120&id=61707

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"Amleto a Gerusalemme", una scena

Un'esperienza inaspettata vissuta giorni fa a Trieste mi ha convinta, pur non avendone bisogno, che in tanti anni niente è cambiato riguardo all'idea dei poveri palestinesi, eterne vittime innocenti e di Israele da odiare comunque. Questo mantra rimasto immutato nel corso degli anni, fa ancora parte del comune pensare della gente. La programmazione di uno spettacolo recitato da giovani palestinesi e italiani dal titolo Amleto a Gerusalemme e dal lacrimevole sottotitolo "Palestinian Kids want to see the Sea"..."ovvero la condizione di essere arabi in Israele quindi discriminati...." scrive Maria Cristina Vilardo sul Piccolo (4 maggio 2016), è stato l'esempio triste e tragico di un rancore sempre vivo e sempre più inspiegabile.

Il progetto vergognosamente patrocinato dal Ministero degli Affari Esteri e dalla Cooperazione Internazionale, prodotto dal Teatro Stabile di Torino, è stato presentato giorni fa all'Antico Caffè San Marco davanti a un pubblico di un centinaio di persone. Non parlerò dello spettacolo che, fortunatamente e per la salute del mio fegato, non ho visto, voglio però raccontare la reazione del pubblico all'incontro cui ho partecipato per sapere come veniva trattata la questione e avere un quadro reale dello spirito dello spettacolo andato in scena al Politeama Rossetti, storico teatro triestino.

Naturalmente, conoscendomi, ero conscia che la mia partecipazione non sarebbe stata passiva. Infatti, neanche a dirlo, a due minuti dall'inizio del dibattito, appena sentito che lo spettacolo, che si svolgeva a Gerusalemme, era parlato in arabo con alcuni pezzi in inglese, non ho potuto fare a meno di intervenire per chiedere "Sarà certamente parlato anche in ebraico visto che Gerusalemme è la capitale di Israele!". Brusio poco amichevole in sala, tutti che si guardavano con aria interrogativa come a chiedersi "e questa chi è?" infine ecco la la risposta sorpresa di Marco Paolini, attore e regista, un po' biascicata "No perchè gli attori sono tutti palestinesi... ma lei ha visto lo spettacolo?". Rispondo "No, mi è bastato leggere la locandina e l'articolo esaltante sul Piccolo, lo spettacolo in sè non mi interessa" (in seguito ho sentito critiche poco positive su un lavoro molto superficiale e scorretto nel trattare un argomento così complesso come il conflitto tra Israele e palestinesi). A questo punto il brusio si è trasformato in risata di scherno nei miei confronti, una mia vicina di tavolo diventata improvvisamente molto nervosa, continuava a sbuffare guardandomi con rabbia, io le sorridevo con aria innocente pensando divertita "aspetta il mio prossimo intervento". Infatti, dopo pochi minuti ecco presentarsi Anwar, l'araba strappalacrime, una giovane nata a Torino da genitori arabi di Betlemme, quindi perfettamente padrona di entrambe le lingue. E qui ha inizio il momento del pathos, della commozione, della presa per i fondelli (lasciatemelo dire perchè questo è stato) del pubblico presente.

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Il regista Marco Paolini

"Noi palestinesi non possiamo andare in Israele, i ragazzi palestinesi dei territori occupati non possono vedere il mare perchè non li lasciano entrare in Israele. Sognano la spiaggia, il mare, le onde!". Emozione in sala, tutti pendevano commossi dalle labbra di Anwar quindi tutti gli sguardi si sono posati scandalizzati su di me che alzavo nuovamente la mano per intervenire, guardandomi con lo stesso odio di chi viene risvegliato da un bellissimo sogno. La mia vicina nervosetta a questo punto non è più riuscita a trattenere la sua rabbia, ha battuto il pugno sul tavolo sibilando "e bastaaa". Io, imperturbabile, dopo averle risposto con un "è la democrazia signora!", mi sono fatta dare il microfono e, rivolta alla giovane araba ho precisato "Lei ha dimenticato un particolare non indifferente, ha dimenticato una semplice parola" "Quale? cosa sta dicendo?" ha chiesto lei sempre più aggressiva. E io "Terrorismo, signorina". Il brusio a questo punto diventa protesta plateale, c'è chi quasi grida "basta con questa storia", chi bofonchia, la mia vicina di tavolo dice al suo accompagnatore "vengono solo per disturbare". Chissà perchè quel "vengono" dal momento che ero solissima, forse perchè nell'immaginario collettivo dell'antisemitismo storico gli ebrei sono considerati un corpo unico alla conquista del mondo, chissà... L'araba intanto, nella confusione generale risponde "io non sono una terrorista"..., applauso scrosciante... con lanci di occhiate rabbiose verso di me e io "Credo che lei non lo sia ma deve passare i controlli come chiunque dal momento che il terrorismo palestinese esiste. Una volta in Israele, dopo i controlli necessari, lei e i suoi ragazzi potrete vedere il mare, le onde e le spiagge israeliane che sono accessibili a tutti, ebrei, arabi, drusi, beduini e chi più ne ha più ne metta. Se invece io, ebrea, venissi a Betlemme da sola, sarei molto probabilmente linciata."

Altre risate... sarcastiche questa volta... Beh alla fine dell'incontro mentre uscivo, quasi incenerita dalle occhiate fiammeggianti di odio dei presenti, sono passata davanti al tavolo di Marco Paolini dicendogli "Complimenti la propaganda serve come vede". All'araba ho detto Shalom con un grande sorriso sapendo di farle un dispetto e me ne sono andata. Tutto questo mi ha fatta riflettere perchè mi sembrava persino impossibile che in mezzo a un centinaio di persone non ve ne fosse una sola ad essere solidale con me, non una, e non ho potuto fare a meno di pensare ai giorni di moltissimi anni fa in cui andavo a parlare nelle scuole e venivo accolta da un'atmosfera da tagliare con il coltello, da volti rabbiosi avvolti nella kefiah, da insegnanti isteriche che venivano a urlare davanti al mio tavolo colla bava alla bocca e gli occhi iniettati di sangue che noi israeliani eravamo assassini.

Eppure Israele riesce ad essere felice nonostante tutto l'odio che suscita. Abbiamo festeggiato 68 anni, siamo vivi, non solo vivi, siamo anche felici! Ogni anno passiamo dalla disperazione paralizzante di Yom HaShoah, il giorno della Memoria della Shoah, alle lacrime di Yom haZikaron, il giorno del ricordo dei nostri caduti e, nel giro di 24 ore, ecco la felicità di Yom Hazmauth, la festa dell'Indipendenza. Qualcuno parla di schizofrenia ed è vero nel senso positivo del termine, è la nostra storia, siamo un popolo di folli che ha creato un paese moderno dal nulla, che ha coltivato il deserto, che vive sotto il pericolo costante dell'annientamento senza farsi distruggere dalla paura, che sopporta il terrorismo senza pensare alla vendetta ma alla difesa. Siamo il popolo che ha fatto rivivere una lingua antica di 2000 anni trasformandola in parlata quotidiana, in lingua di un popolo unico che non si lascia intimidire e gusta la felicità dello svegliarsi vivo giorno dopo giorno e di saper creare la bellezza della natura e la tecnologia che permette a tutti uno stile di vita più comodo e facile. Posso concludere facendo mie le parole del Rabbino Pierpaolo Pinhas Punturello, Buon compleanno Israele, paese di folli che vivono in maniera sana!

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Deborah Fait
Gerusalemme, capitale di Israele, unica e indivisibile


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