(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)
Abu Mazen
Abbas vede al-Sisi come uno spirito a lui affine, ma questo non significa che al-Sisi soddisferà le sue richieste. Rabbi Eliezer è citato nel Trattato talmudico Bava Kama (82: b) per aver detto: “Non è sorprendente che lo storno abbia scelto di visitare il corvo, perché sono della stessa specie”, un riferimento al fatto che le persone simili tra loro per natura si attraggono perché anche i loro interessi sono simili. Mahmoud Abbas ha incontrato Abdel Fattah al-Sisi almeno dieci volte da quando quest’ultimo è diventato Presidente dell’Egitto e la visita più recente è avvenuta all’inizio di questa settimana. Secondo i media egiziani e palestinesi, questa visita si è incentrata su due temi: il primo riguarda il desiderio di Mahmoud Abbas di indire una conferenza internazionale che dovrà decidere come costringere Israele a far riconoscere un altro Stato palestinese in Giudea e Samaria, governato dall’OLP; il secondo argomento riguarda il tentativo di Abbas di ottenere l’aiuto dell’Egitto per porre fine alla faida con Hamas, che ha già provocato una spaccatura tra gli arabi di Giudea e Samaria.
La storia vera però sta nel retroscena. L’idea di una conferenza internazionale per imprimere al carro della pace una spinta in avanti cambia costantemente volto fin dalla Conferenza di Madrid nell’ottobre del 1991, quando i suoi insignificanti risultati hanno fatto sì che i negoziati tra Israele e i palestinesi cercassero altre strade. Oslo, la capitale della Norvegia, è stata una di queste, e da allora ce ne sono state altre, qualcuna in segreto e altre pubbliche, tutti tentativi per raggiungere un accordo tra le due parti. Una conferenza internazionale è un ambiente accogliente per chi voglia fare pressione su Israele, data la maggioranza automatica che la parte araba ha in qualsiasi forum di questo tipo. La vicinanza gomito a gomito con altri Capi di Stato dà ad ogni leader israeliano la sensazione di essere sotto pressione, tale da spingerlo ad una posizione difensiva che lo convincerà a dover offrire qualche forma di cedimento ai palestinesi, sotto forma di concessioni territoriali, politiche e / o economiche.
Una conferenza internazionale permette ai portavoce palestinesi di impostare un elevato standard di aspettative da Israele e lasciare intendere che se il loro appetito non verrà placato, diranno al mondo che “è tutta colpa di Israele se non è stato raggiunto alcun trattato di pace con i suoi vicini”. Un principio ben noto delle conferenze internazionali afferma che una conferenza internazionale si svolgerà solo dopo che le nazioni che l’hanno avviata avranno già preso le loro decisioni e che l’intera conferenza, con i suoi incontri, documenti, discorsi, cocktail party e partecipanti, fa parte di una scena che è lì per convincere quelli che si informano dai media che qualcosa di importante è realmente accaduto durante l’incontro.
Al Sisi
E’ proprio questo quel che Abbas pretende da al-Sisi, che l’aiuti ad organizzare una conferenza internazionale a cui i palestinesi parteciperanno solo dopo che si saranno convinti che i documenti che ne usciranno, gli daranno tutto quello che Israele non vuole concedere in negoziati diretti. Abbas vuole approfittare della crescente intesa tra Israele ed Egitto, risultato della lotta congiunta dei due Paesi contro il crescente terrorismo nel Sinai. Per al-Sisi assumersi la parte di “responsabile” nel forzare una soluzione su Israele minacciandolo se non cede ai dettami di Abbas , significherebbe compromettere la cooperazione tra Egitto e Israele, e l’intensificarsi del terrorismo nel Sinai che alla fine minaccerà Israele. La questione irrisolta è se al-Sisi sia davvero disposto ad accogliere l’idea di indire una conferenza internazionale sulla questione palestinese, se abbia il tempo e la pazienza necessaria per garantirne il successo, visto che i problemi dell’Egitto si aggravano sempre più e richiedono delle soluzioni concrete.
La mia sensazione è che al-Sisi non sia per nulla contento di questo incarico, perché non ha nè il tempo nè la pazienza di prepararla, inoltre perché non è certo che i palestinesi, e forse neppure gli israeliani, terranno il comportamento giusto, coopereranno e faranno rispettare le decisioni una volta che la conferenza sarà finita. Al-Sisi teme che questo tipo di conferenza entrerà nei libri di storia come ininfluente sulla situazione, proprio come già è successo ai suoi predecessori. Al-Sisi non è neppure sicuro che il mondo sarebbe interessato a una conferenza mirata a far progredire il raggiungimento di una pace tra Israele e i palestinesi, perché il mondo oggi sa benissimo che anche se venisse firmato un accordo di pace reale tra Israele e l’OLP, ciò non aiuterà a risolvere i problemi in Iraq, Libia, Yemen e nel resto delle guerre e delle stragi che riducono il mondo arabo in brandelli.
Al-Sisi sa bene che il livello di interesse del mondo arabo per il problema palestinese è pressoché zero e ciò spiega il motivo per cui non ha alcuna motivazione per tenere una conferenza che Abbas vede come l’unico modo per tornare alla ribalta dopo che la “Primavera araba” ha relegato i palestinesi dietro le quinte. Inoltre Al-Sisi sa bene che è diminuito l’impegno del Presidente americano a forzare Israele a cedere alle aspettative dei palestinesi, sa che Obama non spera più di trovare un soluzione, intuendo che né gli israeliani né i palestinesi sono veramente interessati a risolvere il conflitto. Al-Sisi sa che il Presidente americano, se solo lo volesse, potrebbe svolgere un ruolo costruttivo in una conferenza di questo tipo, ma non vede alcun urgente desiderio da parte di Obama di farlo, principalmente per la paura di un altro fallimento per il suo partito sulla strada delle elezioni di novembre. In conclusione, la probabilità che gli sforzi di Abbas per arruolare al-Sisi alla sua causa abbiano successo, è piuttosto bassa.
La seconda questione che ha portato Abbas in Egitto è il risanamento della frattura tra OLP e Hamas, ai suoi occhi non meno importante della prima. Lui, il Presidente palestinese, vede che Hamas sta già pianificando le celebrazioni del nono anniversario della costituzione del suo Stato a Gaza, mentre le possibilità di creare uno Stato simile in Giudea e Samaria sotto il governo dell’OLP, stanno scomparendo giorno dopo giorno. I suoi sforzi per ottenere l’appoggio dell’Egitto sono l’ultima possibilità di sanare la frattura nel sistema politico palestinese, una spaccatura che dimostra che non vi è alcun programma unificato per cui tutti coloro che reclamano l’esistenza di una nazione palestinese, possano essere d’accordo.
La spaccatura tra l’OLP e Hamas è solo un’espressione organizzativa delle differenze culturali significative tra gli arabi di Giudea e Samaria, che hanno legami familiari e culturali con la popolazione giordana, e gli arabi di Gaza che sono parenti di sangue dei beduini che vivono nel Sinai e nel Negev israeliano. Anche la lingua araba a Gaza è diversa da quella parlata dagli arabi di Giudea e Samaria. Il controllo di Hamas su Gaza non è minacciato in alcun modo; neppure Egitto e Israele, che detengono le chiavi delle porte che da Gaza conducono al resto del mondo, hanno insistito che Gaza aderisse alle loro richieste e interessi. In realtà al- Sisi in nessun modo potrebbe imporsi ad Hamas. Per di più, è preoccupato per il fatto che se cercasse di fare pressione su Hamas a Gaza, non farebbe che incrementare l’aiuto che Hamas sta già dando agli jihadisti nel Sinai ed esportare su più vasta scala il terrorismo in Egitto. È per questo che Abbas è probabilmente destinato a un’altra delusione.
E’ difficile immaginare che al-Sisi metta in pericolo l’Egitto per forzare Hamas, per convincere i membri di quell’organizzazione terroristica ad accettare la leadership del Presidente del “Muqata a Ramallah”, come lo chiamano con disprezzo. In sintesi, ci sono tutte le ragioni per aspettarsi che la recente visita di Mahmoud Abbas in Egitto non produrrà i frutti che lui si aspetta e che le sue peregrinazioni in tutto il mondo sono la personificazione del proverbio arabo: “ogni movimento è benedetto”, non importa cosa tu ottieni, né importa quello che fai, la cosa principale è che tu sia sempre in movimento, sollevi polvere e crei l’impressione che tu stia realizzando qualcosa. Abbas è un maestro nel creare illusioni e questo è ciò che sta facendo invece di cercare l’unica cosa che potrebbe portare risultati, ovvero stare seduto accanto a Netanyahu fino a che non avranno trovato una soluzione. Così è come guida la sua politica estera, così non va dimenticato che lui è lo stesso Mahmoud Abbas, l’uomo incaricato di finanziare i terroristi dell’OLP durante i giorni in cui era stato vice e braccio destro di Arafat. In questa settimana Israele ha ricordato i caduti tra i suoi soldati dell’IDF e le vittime del terrorismo. Mahmoud Abbas è responsabile per la morte di non pochi di loro. Possa la loro memoria essere benedetta.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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