Talmud Babilonese - Trattato Rosh haShanà
A cura di Riccardo Shemuel Di Segni
Giuntina euro 40
Per secoli chi avesse voluto leggerlo era costretto a farlo di nascosto e con grandissimo rischio. Le copie erano messe all’indice, spesso addirittura bruciate nelle piazze. Oggi viene tradotto per la prima volta in italiano, anche grazie a un software del Cnr tagliato su misura per le sue caratteristiche eccezionali. Si tratta del Talmud babilonese, opera gigantesca scritta nei primi secoli dell’Era cristiana dai maestri che hanno tramandato l’ebraismo alle generazioni successive per quasi duemila anni. Una copia del trattato di Rosh haShanah (Capodanno), edito da Giuntina, primo passo di un progetto di traduzione completa, viene consegnata martedì 4 aprile 2016 al presidente della Repubblica Sergio Mattarella in una cerimonia all’Accademia dei Lincei a Roma. L’occasione è carica di significati simbolici, visto il valore religioso, storico e culturale di questo testo.
Tuttavia c’è anche un aspetto tecnologico, perché uno dei motivi per cui il Talmud non era stato ancora tradotto in italiano (e non è stato tradotto in molte altre lingue) è la sua straordinaria complessità, fatta di rimandi continui fra brani di tipo diverso: interpretazioni sull’applicazione dei precetti religiosi della Torah, anzitutto, ma anche controversie rabbiniche, responsi giuridici, cronache storiche, aneddoti, proverbi. Insomma, un “mare” di concetti e insegnamenti, secondo la definizione che ne viene data in ebraico. “Tradurre un’opera del genere” spiega la direttrice del progetto Clelia Piperno, giurista dell’Università di Teramo “richiede non solo decine di studiosi che lavorino contemporaneamente sulle varie parti. Ma anche un codice comune che consenta di risolvere in modo omogeneo e coerente gli innumerevoli dilemmi interpretativi posti dal testo originale”. Ed è qui che entra in campo il Cnr, o per essere più precisi l’Istituto linguistico computazionale (Ilc) di Pisa, dove un gruppo di specialisti ha messo a punto un nuovo programma ad hoc in grado di gestire e armonizzare le traduzioni provenienti dai vari studiosi, quasi tutti di lingua italiana (fra cui il Rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, presidente del progetto) che hanno partecipato a questa straordinaria avventura linguistica.
“La prima funzione del nostro software” spiega il ricercatore dell’Ilc, Emiliano Giovannetti, che coordina il team tecnico “è consentire a ciascuno dei traduttori di essere sempre informato del lavoro effettuato dagli altri, in modo da tener conto delle soluzioni linguistiche già adottate per i brani che hanno aspetti comuni con quello su cui è impegnato. Al momento di affrontare un nuovo brano, il sistema suggerisce al traduttore quel che ha appreso sulla base del lavoro dei colleghi”. Il nome del software è Traduco, anche se non si tratta naturalmente di un traduttore automatico, bensì di un sostegno continuo e molto sofisticato alle menti umane che lavorano autonomamente alla traduzione. Il bello è che la sua capacità si affina man mano che l’esercito dei traduttori procede nel lavoro, dal momento che ogni nuova traduzione inserita nel sistema accresce la “sapienza talmudica” di Traduco (non per niente si sta già ragionando su un suo utilizzo per tradurre in altre lingue lo stesso Talmud e forse anche altri testi religiosi non solo ebraici). Un metodo che sembra fatto apposta per il lavoro di quei rabbini del periodo fra il II e il V secolo che trascorsero la vita a mettere per iscritto le tradizioni del Talmud.
Stefano Caviglia - Panorama