Ebrei senza soldi
Michael Gold
Traduzione di A. Scalero
Castelvecchi Euro 17,50
La scena è formicolante, carica di rumori, voci, facce: «La strada ruggiva come un mare in tempesta. Esplodeva come una girandola di fuochi artificiali». Siamo nell’East Side di Manhattan, inizio Novcento, in mezzo a una sorta di shtetl yiddish, un quartiere quasi esclusivamente ebraico sovraccarico di immigrati dall’Europa dell’Est per via dell’antisemitismo e dei pogrom. Nel romanzo autobiografico di Michael Gold pubblicato negli States nel 1930, sembra di essere in piena C’era una volta l’America, in Chiamalo sonno di Henry Roth, di guardare un film travolgente come un fiume in piena tanti sono i personaggi, gli sketch, la frenesia di questi uomini e donne che cercano di farcela, di inventarsi una terra promessa senza miseria.
Ma gli uni vivono sugli altri, non c’è confine tra vicini di casa, tra nuovi arrivati che ti si piazzano nel letto, tra miriadi di prostitute sedute per strada avvolte in vestaglie a fiorami, tra sarti che lavorano a cottimo in ogni stanza, tra bande di bambini che vanno a nuotare nei docks e qualche volta muoiono, e vanno a guardare “come si fanno i figli” dal buco della serratura di un bordello. Il libro è questo. Una fotografia spietata dalla lingua potente. Ci si spara nei cortili, e nessuno ci fa più caso di tanto («forse due giocatori hanno litigato»). «È l’America », un «sogno infernale» non fa che commentare Michael Gold. A lui non piace, anche se oltre a quelli che fanno la fame, vede anche chi diventa tassista o sarto tagliatore, anche se il Puzzone scriverà operette, e Abe farà il regista. Eppure lui in qualche modo sarà tra i salvati: diventato un militante in contatto con l’estrema sinistra di John Reed ( I dieci giorni che sconvolsero il mondo) e Eugene O’Neil, scriverà su vari giornali socialisti e dirigerà il filosovietico New Masses, diventerà un leader, e non si pentirà mai, neppure quando la fame e gli orrori del comunismo reale divennero fatti noti.
Susanna Nirenstein - La Repubblica