A destra: François Hollande con Barack Obama
Cari amici,
il circo diplomatico intorno a Israele sta partendo con una nuova puntata del suo secolare spettacolo. La novità è che anche sul piano diplomatico si tratta di un assedio concentrico. I fronti oggi sono almeno tre. Il primo è quello francese. Hollande, che in patria batte ogni giorno i suoi record storici di impopolarità, ha deciso che dopo aver distrutto la Libia può ora occuparsi di Israele, approfittando anche del fatto che l’America gli appare bloccata dalle elezioni – che lui avrà e certamente perderà nel 2017. Ha proposto quindi una conferenza internazionale con il Quartetto (Usa Russia, Francia Gran Bretagna) più qualche paese arabo che dovrebbe inventarsi una “soluzione per il conflitto” e “imporlo ai litiganti”, cioè in sostanza a Israele, dato che l’Autorità Palestinese non conta nulla (http://www.usnews.com/news/articles/2016-03-04/how-serious-is-the-french-proposal-on-middle-east-peace).
Non è vero però che Obama ha mollato le sue ambizioni di passare alla storia come il grande liberatore della potenza musulmana sul mondo. E dunque non è affatto sicuro che in occasione dell’ultimo tentativo palestinese di far condannare Israele ed espellerlo dal mondo civile, una mozione che Abbas proporrà nelle prossime settimane al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, Obama si comporti come sempre ha fatto e hanno fatto i suoi predecessori, e come gli chiede il Congresso, cioè ponga il veto (http://www.timesofisrael.com/us-keeps-options-open-on-security-council-settlements-resolution/). Non farlo potrebbe essere la sua vendetta su Netanyahu(http://www.jpost.com/Israel-News/Politics-And-Diplomacy/Is-Obama-planning-his-revenge-on-Netanyahu-451162).
Il terzo fronte è quello dell’Unesco, che ha appena approvato l’ennesima mozione per intimare a Israele di non mettere le sue mani (o come si espresse una volta il moderato Abbas, i suoi sporchi piedi) sulla Al-Buraq Plaza, la quale, per chi non lo sapesse, non è una piazza dedicata al burka, il segno islamico della schiavitù delle donne, con una cattiva resa ortografica. No, è il nome islamico di quello che gli ebrei da duemila anni chiamano il Kotel e cui spesso nel mondo occidentale ci si riferisce come “muro del pianto”: non il luogo più sacro, come spesso si dice sbagliando, ma quello più importante, centrale, emozionante per gli ebrei. La risoluzione non solo usa la terminologia araba, che lega quel posto all’asino (ma forse era un cavallo) di Maometto, ma in generale tace di ogni possibile rapporto di Gerusalemme col mondo ebraico (e di conseguenza nega implicitamente anche quello col mondo cristiano). La risoluzione è stata proposta da Algeria, Egitto, Libano, Marocco, Oman, Qatar e Sudan (dunque anche da alcuni stati islamici “buoni”). Hanno votato contro solo Estonia, Germania, Lituania, Olanda e Gran Bretagna. A favore 33 stati, fra cui Russia, Spagna, Svezia e - guarda un po’ - la Francia. Non sono riuscito a capire che cosa abbia fatto l’Italia. (http://www.timesofisrael.com/pm-slams-unesco-resolution-ignoring-jewish-connection-to-temple-mount/).
Il quarto fronte è il più nuovo e delicato. Sembra che Obama e Putin si siano messi d’accordo per un incentivo alle trattative fra le diverse fazioni in Siria, e questo incentivo non è a spese loro ma di Israele: avrebbero cioè promesso la riannessione alla Siria del pianoro del Golan, punto strategico da cui si domina tutta la parte settentrionale di Israele (http://www.debka.com/article/25371/Netanyahu-to-battle-Obama-Putin-over-the-Golan). Per questa ragione ieri Netanyahu ha fatto una mossa senza precedenti, riunendo il governo sulle alture del Golan, che sono state legalmente annesse a Israele nel 1981, per dichiarare che Israele non vi rinuncerà mai. (http://www.timesofisrael.com/netanyahu-vows-golan-heights-will-remain-part-of-israel-forever/). E ha fissato per la settimana prossima un viaggio a Mosca per parlare con Putin, il quale certamente è più lucido e attivo di Obama.
Lo stretto di Tiran
Al quinto fronte diplomatico Israele ha invece fatto un’accoglienza molto tranquilla, almeno in apparenza. E’ la cessione (o piuttosto la restituzione) che l’Egitto ha fatto all’Arabia Saudita di Tiran e Sanafir, due isolotti rocciosi e disabitati, che però sono posti all’uscita del golfo di Eilat e dunque possono bloccare il traffico navale per Israele dal Mar Rosso: esattamente il blocco operato da Nasser nel ‘67, che fu la causa finale della guerra del ‘67 (http://www.nytimes.com/2016/04/11/world/middleeast/egypt-gives-saudi-arabia-2-islands-in-a-show-of-gratitude.html). Oggi Israele ha buoni rapporti sul campo con l’Egitto, anche se questo non significa che il più popoloso stato arabo rinunci alla propaganda contro Israele, come si è visto con la mozione dell’Unesco. E con l’Arabia Saudita condivide il peggior nemico, cioè l’Iran. Ma in Medio Oriente le alleanze vanno e vengono; mentre l’Egitto era obbligato a mantenere aperto il golfo di Eilat da un trattato internazionale, l’Arabia si è limitata a una dichiarazione sottobanco perché non ha rapporti diplomatici con Israele. Netanyahu ha fatto buon viso a cattivo gioco, ma certamente vi è una minaccia anche in queste isolette ora saudite.
Come vedete, la situazione diplomatica è molto difficile. E’ tutto un circo, come ve l’ho definito prima, cioè innocuo e buffonesco, fatto più di chiacchiere che di fatti? Forse sì. E’ difficile che Hollande e Obama cavino il loro ragno dal buco. Ma non potendo sconfiggere Israele sul piano militare ed economico, quello diplomatico e mediatico sono il terreno preferito dei nemici di Israele. Sembra finita senza esito l’intifada dei coltelli, ecco che si riaccende quella della diplomazia.
Ugo Volli