Yosef Hayim Yerushalmi
La copertina (Giuntina ed.)
Tra le virtù teologali la speranza ha un posto intermedio, tra fede e carità. Ma il sospetto è che si tratti di una posizione dovuta alla necessità di conservare un certo ritmo nell'elencazione non una vera gerarchia. Potrebbe ben essere la prima, nessuno, credo, avrebbe di che obiettare. Ma questa è la posizione che la speranza ha nel mondo cristiano.
Come stanno le cose in quello ebraico? Giuntina pubblica un volumetto di nemmeno cento pagine nel quale uno storico della cultura ebraica, la insegnò alla Columbia University per tanti anni, come Yosef Hayim Yerushalmi, ne parla collegandola ai due eventi che costruiscono e decostruiscono la storia degli ebrei: l'esilio e la diaspora. Si potrebbe dire, senza essere irriverenti, che le speranza per gli ebrei nasce dall'aver fatto di necessità virtù. Uscire dalla propria terra, cacciati e dispersi, disseminati a mo' di semente qua e là nell'orbe, esige la forza della speranza unita alla memoria.
Yerushalmi fu, tra l'altro, autore di un fortunato e indispensabile libretto, Zakhor. Storia ebraica e memoria ebraica, nel quale sottolinea come l'obbligo della memoria sia comandamento biblico e non solo necessità storica dovuta alle tragiche peripezie del suo popolo. La speranza ebraica è eminentemente collettiva, «speranza di fronte a una sconfitta storica» che si prolunga almeno dalla distruzione del Tempio fino al 1948. Assume forme diverse la cui storia, in questi due brevi saggi, uno del 1984 e l'altro del 1997, dodici anni prima della sua morte, Yerushalmi indica come compito futuro della ricerca.
"Zakhor", un libro da non perdere sul ruolo della memoria nell'identità ebraica
Il tema della speranza allude decisamente alla soluzione non tanto e non solo della condizione materiale di un popolo, di una fede o di una confessione, quanto alla dimensione redentiva che la sua presenza storica è chiamata a compiere, insomma al tema della salvezza e del molo della fede nella storia. La speranza ebraica, sottolinea più volte Yerushalmi, non si nutre solo dell'attesa futura, ma si fa nel qui ed ora della partecipazione alle sorti dei popoli e delle nazioni che gli ebrei attraversano e degli «sforzi compiuti dai sopravvissuti per ristabilire la loro comunità devastata». Quest'ultima è indicazione utile anche alle comunità cristiane che vivono troppo spesso il tempo presente come un tempo di esilio e di abbandono della speranza.
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