A destra: terroristi di Hamas in un tunnel
Cari amici,
non ci sono solo le cattive notizie, non ci sono solo gli attacchi dei terroristi islamici. Ci sono anche le buone notizie, la cattura dei terroristi, per esempio. O i loro fallimenti. Eccone una. Nello scorso weekend, nel sud di Gaza, fuori dalla città di Rafah, tre gallerie di quelle usate per contrabbandare armi e mercanzie dall’Egitto sono esplose, ferendo una quarantina di persone (http://www.israelhayom.com/site/newsletter_article.php?id=32521). Si parla di una quarantina di feriti e non si sa quante vittime, che di per sé non sarebbe una cosa di cui essere felici, se costoro non fossero terroristi. La causa ufficiale è una fuga di gas, ma…
Ma nello stesso giorno, a Khan Younis che è lontano una decina di chilometri verso nord, è collassata un’altra galleria, questa volta un tunnel d’attacco verso Israele, provocando alcune vittime (http://www.jewishpress.com/news/breaking-news/yet-another-gaza-terror-tunnel-collapses/2016/03/19/). Se il conto del sito da cui ho preso la notizia è giusto, si tratta dell’undicesimo incidente del genere in tre mesi. La cosa è molto significativa perché negli otto anni da cui data l’industria dei tunnel a Gaza, i precedenti, almeno quelli recuperabili con una ricerca in rete, sono pochissimi. Ci fu un crollo nel gennaio 2013, dovuto a un nubifragio (http://english.al-akhbar.com/node/14618), uno nel giugno 2014 dovuto a un’esplosione accidentale dell’armamento dei terroristi, “incidente di lavoro” che capita spesso anche fuori dalle gallerie (http://www.yourmiddleeast.com/news/five-hamas-militants-killed-in-gaza-tunnel-collapse_24519), uno a giugno scorso (http://www.vocfm.co.za/7-palestinian-workers-narrowly-survive-gaza-tunnel-collapse/). E poi ci sono stati i crolli durante l’operazione israeliana di due anni fa (https://www.middleeastmonitor.com/news/middle-east/13302-23-palestinian-fighters-in-gaza-escape-certain-death-in-collapsed-tunnel) e a causa dell’allagamento delle gallerie provocato dall’Egitto a partire dall’anno scorso per bloccare il contrabbando, soprattutto quello d’armi diretto in Sinai. E’ vero che Hamas parla di 160 morti e al Jazeera di 400 a partire dal blocco di Gaza nel 2007 (su un totale di 15 mila operai e 25 contrabbandieri, non si sa quanti terroristi: http://www.vocfm.co.za/7-palestinian-workers-narrowly-survive-gaza-tunnel-collapse/). Ma sono cifre propagandistiche e nelle cronache non si trova traccia di altri grossi incidenti come quelli degli ultimi mesi.
I tunnel di Hamas, espressione dell'odio per Israele
E’ una buona notizia importante. Non solo perché ogni galleria costa ad Hamas fra gli 80 mila e i 200 mila dollari, come racconta Nicola Pelhalm in questo libro (https://books.google.it/books?id=gaa1CwAAQBAJ) e dunque si può supporre che qualche scalfittura alle malandate finanze dell’organizzazione terrorista ci sia stata. Ma soprattutto per motivi militari. Hamas non vale nulla sul piano militare classico, non ha forze corazzate, né forze aeree e i suoi combattenti non hanno l’esperienza sul campo che si è fatto Hamas. In una battaglia frontale, senza gli scudi umani che trae dalla sua popolazione civile sarebbero distrutti facilmente da una frazione decisamente piccola della forza israeliana. E infatti l’hanno sempre accuratamente evitato. Finora si sono basati su tre strumenti, oltre al rifugio fra i civili e magari nelle scuole dell’Onu: i razzi, il terrorismo e i tunnel. I razzi, dopo la messa in opera di Iron Dome, non sono più una minaccia seria, almeno per i numeri e la tecnologia disponibile a Hamas. Il terrorismo colpisce e fa male, ma è limitato dal blocco di Gaza e dall’azione di disarticolazione preventiva che l’Esercito israeliano compie in Giudea e Samaria (anche per questo, bisogna supporre, i nemici di Israele ai vertici dell’Europa e degli Stati Uniti insistono perché l’esercito israeliano si ritiri da Giudea e Samaria). Restano i tunnel d’attacco.
Proprio questo rende significativi gli incidenti che vi ho raccontato. Perché la spiegazione del maltempo, che forse poteva funzionare a dicembre, ormai non è più sufficiente. E allora i casi sono due: o Israele ha un qualche sistema per destabilizzare le gallerie (sappiamo per certo che ci sta lavorando intensamente da un anno, e la tecnologia israeliana è all’avanguardia nel mondo), oppure gli ingegneri militari di Hamas hanno sbagliato qualcosa di grosso nel progetto o nell’esecuzione delle gallerie, e non sono riusciti a trovare un rimedio in tre mesi. In un caso o nell’altro l’effetto demoralizzante sui terroristi si è già verificato, ci sono stati “scioperi” e proteste di chi non voleva scendere in gallerie così insicure e fare la fine dei topi. E c’è certamente la possibilità che Hamas sia messa militarmente fuori gioco, almeno per un po’ di tempo, fino all’invenzione di nuove tattiche aggressive. Questa è davvero una buona notizia per tutti, anche per i pacifisti, almeno quelli onesti. Perché a Gaza come altrove, la guerra non la fa Israele, non la vuole Israele, che non desidera altro che continuare a sviluppare in pace la sua società, la sua cultura, la sua economia. La guerra la vogliono i terroristi, gli islamisti, gli antisemiti, insomma i nemici di Israele. E non c’è modo più sicuro per ottenerla che metterli in condizione di non nuocere.
Ugo Volli