Paesaggi contaminati
Martin Pollack
Keller editore euro 14
Una nuova geografia della memoria emerge da "Paesaggi contaminati", libro dello scrittore austriaco Martin Pollack. Giornalista e autore di reportage e documentari, quasi sempre ambientati nelle regioni orientali dell'Europa, spingendosi fino alla Bielorussia, Pollack ha spesso mescolato i generi narrativi per mettere a punto i suoi romanzi. E lo fa anche questa volta. Solo che il coinvolgimento è maggiore: i paesaggi narrati in queste pagine sono quelli della sua infanzia, quei boschi dove l'autore bambino andava a caccia con il nonno. E dove si sono compiuti alcuni tra i più efferati crimini del Nazismo. Ne abbiamo parlato con l'autore.
Come è nato questo libro? "Vengo da una famiglia coinvolta in quei crimini e per lunghi anni ho cercato di conoscere la storia dei miei e quella dell'Europa. Per lavoro, ho spesso indagato sui territori orientali, Balcani, Polonia, Paesi Baltici, Ucraina, Bielorussia e nel corso degli anni ho raccolto materiale storico anche per conoscere la mia storia personale. Ma poi ci ho messo tantissimo ad elaborare questo libro. Forse troppo".
Perché questo titolo? "Sono arrivato a Paesaggi contaminati per contrasto. Solitamente a questa parola si associano sensazioni positive, mentre per me il significato era diventato ambiguo. Cioè, per anni ho associato al paesaggio della mia prima infanzia tutti i ricordi più belli, finché non ho cominciato a confrontarmi con la mia storia famigliare: in quel momento mi resi conto che avevo idealizzato le cose per la totale mancanza di conoscenze. Ecco, lo sguardo che assumo in questo libro è proprio questo: il candore e la bellezza dei boschi e dei paesaggi di quelle regioni in realtà è inquinato, contaminato, appunto, dai fatti della storia".
In effetti, dalle sue pagine emerge una nuova mappa dell'Olocausto. "Penso si dovrebbe ridisegnare la geografia di questa parte di Europa. In quei territori infatti si celano fosse comuni dimenticate, in cui giacciono vittime senza nome che si è voluto nascondere agli occhi e alla memoria del mondo. Le faccio solo un esempio: in Slovenia, in quella meravigliosa terra, sono avvenuti oltre 600 omicidi e nessuno se ne ricorda. Il mio libro vuole essere un monito proprio contro l'oblio. Per me, sapere e conservare la memoria di chi è stato ucciso, è più importante che erigere monumenti. Quelli, si sa, vengono eretti ma anche distrutti. Invece occorre salvare i nomi e pensare a quei morti. Per poter guardare al futuro, bisogna conoscere la storia: Questo è il valore della memoria".
La sua storia personale si intreccia alla Storia, mentre anche il genere del romanzo si intreccia a quello del reportage. Come ha lavorato alla scrittura di questo libro? "Lo faccio spesso di mescolare due generi. Qui la vera difficoltà è stata tenere a bada l'aspetto emotivo legato al coinvolgimento della mia storia famigliare. Ho cercato di mantenere il distaccato per non perdere il senso di questo libro".
E qual è, oggi, il significato di questo libro? Pensa ci sia il rischio che nuove forme di totalitarismo possano imporsi? "Sì, il rischio c'è. Abbiamo già sotto gli occhi molte espressioni di democrazia illiberale (per esempio in Russia) che sono la base di partenza del totalitarismo. Inoltre, molti componenti della società cercano l'uomo forte, capace di difendere e farsi portatore di idee altrettanto forti, oppure invocano la chiusura delle frontiere, in nome del rifiuto dei diversi. Ecco perché esiste il rischio di un ritorno. Anzi, non sarà un ritorno: avrà forme inedite, completamente diverse da quelle che ha già assunto in passato".
Micol De Pas - Panorama