Cari amici,
consentitemi di spiegare perché nella mia Cartolina di ieri ho concluso mettendo la parola "accoglienza" fra virgolette. Naturalmente intendevo l' "accoglienza" di cui parlano i giornali, quella degli immigrati, non il modo in cui vi hanno trattato nell'albergo delle vacanze o vi hanno offerto la cena la settimana scorsa i vostri amici. Si tratta di una nozione equivoca, che viene usata oggi in maniera strumentale e ideologica, aggiungendole una connotazione religiosa che non ha. Nella tradizione ebraica (e anche in quella cristiana che ne deriva), non esiste nulla di così generico. C'è l'ospitalità che è virtù comune ad altre parti del mondo antico, come la Grecia. E' quel che fa Abramo con i tre uomini che lo vengono a trovare alle quercie di Mamre (che sono l'attuale Hebron, per il piacere di chi parla di "occupazione" della città); quello che i Feaci fanno con Odisseo, ecc. Ma l'ospitalità è una condizione provvisoria: salvaguardato, onorato, nutrito, si suppone che l'ospite torni a casa, e magari contraccambi chi dei padroni di casa andrà a trovarlo in futuro. C'era addirittura una specie di tessera o di attestato per questo, un coccio o un legno spezzato in due, i cui margini coincidevano e attestavano l'ospitalità concessa e da contraccambiare. Lo chiamavano, pensate un po', "synbolon" da cui il nostro simbolo.
Questo non è certo ciò che pensano di fare i nostri immigrati. Sono qui per restare e non si immaginano affatto di dover contraccambiare alcunchè. Dopotutto noi siamo infedeli e dunque inferiori. Come hanno spiegato più volte esplicitamente alcuni predicatori islamici particolarmente espliciti, quel che diamo loro in assistenza o welfare, è dovuto, non è altro che un anticipo della tassa che noi infedeli "dhimmi" (cioè "protetti" in quanto cristiani o ebrei) dobbiamo loro secondo il Corano, per il privilegio di non essere ammazzati per la nostra incredulità. Una tassa che l'Isis applica, e che è stata usata sistematicamente in tutti gli stati islamici dai tempi di Maometto. Dunque nessuna gratitudine, anche perché devono insegnarci a stare al nostro posto.
Altro tema è il fatto che la Torah prescriva che la legge ebraica si applichi in molti casi anche ai "gherim", gli stranieri che vivono in mezzo al popolo ebraico. Ma intanto si tratta sia di diritti sia di doveri; e soprattutto questa prescrizione non elimina, ma al contrario sottolinea la differenza; non costituisce affatto il diritto per chiunque di diventare "gher" cioè ospite. Se per qualche ragione qualcuno è stato accettato o preso, allora gode di certi diritti e di certi doveri; ma se si avvicina con l'intenzione di prendersi quel che non è suo, compresa evidentemente la residenza, allora bisogna resistergli. Così per esempio si stabilisce nel trattato Eruvim del Talmud (45a). Un'altra cosa ancora, ma che non c'entra è l'assistenza a chi si trovi in difficoltà: un soccorso obbligatorio, certamente, ma momentaneo, ancor più dell'ospitalità.
Quanto alla prescrizione di amare "il tuo prossimo", si tratta per l'appunto di qualcuno che è prossimo, parola che in italiano è come nell'ebraico (il versetto dice "reecha") e nel greco dei LXX (ton plesion sou) significa vicino. Nel latino della Vulgata si dice "Diligas amicum tuum". Comunque è chiaro che si tratta dei membri del tuo popolo. Se si legge l'intero versetto del Levitico (19:18), questo punto è evidente: “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore”. Badate che non è un'interpretazione mia, l'ho trovata spesso nelle discussioni rabbiniche (per esempio http://www.shortvort.com/kedoshim-parasha/10777-love-thy-neighbour-a-brief-look-at-the-suyga) e perfino in qualche testo ecclesiastico: http://www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=1326. La Chiesa ritiene poi che Gesù abbia ampliato questo comandamento, ma in realtà in Matteo 22:36-40 e nei testi paralleli questo non è affatto chiaro. Si tratta di una citazione esplicita che fa Gesù dell' "Ascolta Israele" e del versetto del Levitico: "Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti". In sostanza non vi è alcuna base biblica per prescrivere di far sparire i confini e di "accogliere" come concittadini tutti quelli che vogliono entrare. Sono entrato in qualche dettaglio perché spesso si dà per scontato che l' "accoglienza" sia un precetto religioso. Non è così, o lo è con molti limiti. Almeno se ci si basa sulle religioni tradizionali.
Chi aprirebbe loro la porta di casa?
La base di questo discorso è invece nel motto comunista "Proletari di tutto il mondo unitevi" e nella politica snazionalizzatrice che ne consegue. Naturalmente Marx e Engels arrivavano a questa conclusione da un percorso teorico molto articolato, non certo per buonismo. Ma noi siamo in un'epoca di "comunismo liquido" o sentimentale, in cui vecchie teorie, dimostratesi insostenibili sul piano economico e storico, sono riproposte come se fossero ovvietà morali, qualificazioni della buona volontà. O se volete, nuove religioni. Così è anche per esempio per un'interpretazione della laicità dello stato che privilegia i segni degli stranieri (che devono poter costringere le donne a portare il marchio della loro schiavitù, com'è il velo) sui segni di altre culture che potrebbero infastidirli, costringendoli al rispetto degli altri (e per questo non si devono vedere presepi o croci o kippot). Anche questa è una conseguenza non dichiarata del vecchio principio comunista dell'egemonia, in cui, per dirla con Orwell, nella "Fattoria degli animali" tutti gli animali sono uguali, ma certuni sono più uguali degli altri: quelli che sono utili alla linea del partito.
Purtroppo questa ideologia degli animali più uguali degli altri, o della nuova religione del filoislamismo, ha conquistato una sinistra che ormai non ha più temi suoi e arranca rincorrendo cose che una volta non avrebbe assolutamente considerato. Fra cui il razzismo clericale antifemminista che caratterizza gran parte del mondo musulmano. La meraviglia è che ci sono anche settori sempre più consistenti e potenti delle Chiese cristiane (e anche di quella cattolica) che sembrano essersi convinti che la salvezza dal laicismo occidentale e dalla crisi profonda della fede che la nostra società sta vivendo consiste nel proiettare una sorta di santità sugli "esclusi", in cui comprende tutti i non occidentali, in primo luogo i propri nemici dichiarati come sono i musulmani. E' un suicidio collettivo, una forma di eutanasia collettiva. Che questo venga da istituzioni religiose che sono fermamente contrarie all'eutanasia individuale è un tratto ironico - che però a me non pare affatto divertente.
Ugo Volli