Gentilissima Redazione, leggendo la rubrica dei lettori ho avuto un sobbalzo. “Ma dei cristiani a Gaza chissenefrega”: ho letto e riletto, ma non sono riuscita a trovare alcun significato accettabile di un’espressione siffatta.
I cristiani a Gaza sono pochissimi, non so se siano mai stati numerosi, ma ora sono, secondo un articolo pubblicato ieri sul Jerusalem Post, circa 3.500; secondo agenzie cattoliche lette di recente, neanche la metà. I cattolici sono appena 200. La loro situazione, come giustamente IC ricorda non di rado, è drammatica: circondati da una popolazione musulmana in larga parte integralista, che nel migliore dei casi li ignora, nel peggiore si abbandona ad atti di violenza (dalle sassaiole all’omicidio); esposti come tutti gli altri abitanti di Gaza alle conseguenze dello stato di guerra con Israele; afflitti da altissima disoccupazione e largamente dipendenti dagli aiuti umanitari per la sopravvivenza; isolati dal resto del mondo, il che (non l’ho letto da nessuna parte, ma mi sembra evidente), dati i numeri esigui della comunità, porrà ben presto, se già non lo pone, il problema della stessa possibilità per i giovani cristiani di trovare cristiani con cui sposarsi e, quindi, della possibilità di un futuro per la comunità. Probabilmente a molti non importa, ma chi, come IC, difende Israele, il suo amore per la vita, la libertà e la dignità umana ed il futuro dell’Occidente, dovrebbe prestare maggior attenzione a certe parole. Quanto al mancato viaggio del lettore di Avvenire, prima di tacciarlo di dabbenaggine, potreste considerare quanto possa essere preziosa per i cristiani di Gaza la visita, anche solo per poche ore, di un correligionario, il ricevere doni di Natale, il poter parlare a quattr’occhi. Perciò capisco la sua delusione per non aver potuto compiere la visita e spero abbia trovato o trovi il modo di far almeno pervenire i doni. Ovviamente, dati gli scarni elementi resi noti nella lettera, non so se il signor Groppo abbia commesso errori nell’organizzazione del viaggio o sia semplicemente rimasto vittima del deterioramento della situazione negli ultimi mesi. Tuttavia, la scelta di chiedere il visto ad Israele era perfettamente ragionevole, visto che avrebbe dovuto aggregarsi alla delegazione guidata dal Patriarca di Gerusalemme (che ieri, come da programma, ha celebrato la S. Messa nella chiesa parrocchiale cattolica di Gaza). E non so se sarebbe stato meglio chiedere il visto all’Egitto, dato che, secondo un articolo di Khaled Abu Toameh letto oggi su israele.net, nel 2015 il valico di Rafah è stato aperto per soli 21 (ventuno) giorni. Tra l’altro, non conoscendo i mezzi finanziari a disposizione del signor Groppo né la data in cui ha saputo che Israele non gli avrebbe consentito il transito verso Gaza, mi sembra piuttosto gratuito fare illazioni su una sua mancanza di coraggio, a parte il fatto che, se uno si arrischia ad entrare a Gaza, forse non è la paura che lo frena.
A scanso di equivoci, comprendo i dolenti interrogativi del signor Groppo e l’amarezza del direttore di Avvenire, ma capisco anche perfettamente che in questo momento Israele (abbia negato quel visto per una stringente necessità o per un errore di valutazione) ha troppi problemi di sicurezza da affrontare per farsi carico anche delle necessità di un piccolo gruppo di arabi residenti in un’area ostile. Però quel pugno di arabi, di cui non conosco volti e nomi, sono, per fede, miei fratelli (e fratelli del signor Groppo) e sono del tutto indifesi.
Spero che ne teniate conto, la prossima volta che polemizzerete per amore (che condivido con tutto il cuore) di Israele.
Con i più cordiali saluti ed auguri di buon Natale e di un felice anno nuovo,
Annalisa Ferramosca
Ricambiamo gli auguri, pur confermando rilievi e titolo. Che i cristiani a Gaza siano pochi non cancella la scelta di recarsi per portare.. doni di Natale, non abbiamo mai letto di commenti o analisi sulle repressioni cui sono sottoposti. Se come scrive lei il Patriarca di Gerusalemme ha celebrato il Natale a Gaza, come ci sarà arrivato ? Il lettore Groppo poteva fare altrettanto, non crede ? Il nostro tono critico nasce dalla constatazione che le istituzioni cristiane fanno poco o nulla per aiutare i confratelli che vivono - meglio dire sopravvivono- nei paesi arabo-musulmani. Il Papa dice che si deve pregare, se questo a lei sembra sufficiente, non sappiamo quanto rassereni i cristiani di Gaza!
IC Redazione