Che fare? 30/11/2015
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Autore: Ugo Volli
Che fare?
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

A destra: terroristi palestinesi

Cari amici,

ieri di nuovo ci sono stati a Gerusalemme accoltellamenti, bombe molotov, pietre. Ormai questa sequenza di tentati omicidi è una storia che va avanti da oltre due mesi. Gli attacchi sono stati molte centinaia, 23 persone innocenti sono state assassinate dai terroristi (fra cui 21 israeliani e due stranieri), 85 ferite più o meno gravemente. Gli arabi morti per la legittima difesa degli aggrediti e delle forze di sicurezza sono 94 (trovate questi dati e molti altri dettagli qui: http://www.terrorism-info.org.il/Data/articles/Art_20917/E_199_15_1624165189.pdf). Ormai queste notizie non toccano quasi più la cronaca dei media internazionali e anche in Israele hanno abbastanza poco rilievo, come se questa fosse la normalità, ma non lo è affatto. Si tratta di aggressioni indiscriminate, che per lo più colpiscono civili inclusi moltissimi vecchi, bambini, donne. E' un'esplosione di odio che va al di là di qualunque razionalità bellica, che chiaramente non riesce nemmeno a polarizzare l'attenzione internazionale e certo non atterrisce gli israeliani né blocca la loro vita, com'è invece successo in Europa dopo gli attentati di Parigi.

Si dà solo sfogo a una volontà omicida che naturalmente non è spontanea, ma viene alimentata dall'incitamento continuo delle fonti palestiniste, comprese le scuole in buona parte finanziate dall'Onu (http://israelbehindthenews.com/not-born-yesterday/14087/) e dai dirigenti dell'Autorità Nazionale Palestinese, proprio quelli che dovrebbero essere i protagonisti delle trattative con Israele (http://israelbehindthenews.com/the-lies-of-saeb-erekat-how-palestinian-propaganda-warps-the-truth-and-undermines-peace-efforts/14086/). E' evidente che le reazioni di Israele saranno destinate a indurirsi, se gli attentati procedessero con questo ritmo - ed è possibile pensare che tutto questo terrorismo popolare, probabilmente non organizzato in dettaglio dall'Autorità Nazionale Palestinese e da Hamas, perché spesso gli attentatori sembrano davvero privi di relazioni di dipendenza organizzativa stabile dai gruppi terroristi, ma certamente incoraggiato, esaltato, premiato dopo che è avvenuto, abbia questo significato: di indurre lo Stato ebraico a degli atti che potrebbero di nuovo essere oggetto dell'attenzione dei media e degli stati, naturalmente con l'Autorità Nazionale Palestinese nella posizione del tutto infondata di vittima.

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Un "moderato" imam arabo palestinese incita ad accoltellare gli ebrei

Tre sono le principali reazioni su cui si discute nel mondo politico israeliano, senza che per ora si sia raggiunto un consenso. Uno è di riprendere la costruzione nelle città e nei villaggi ebraici che negli ultimi anni è stata molto rallentata per via delle pressioni americane. E' quel che propone per esempio il ministro Uri Ariel: per ogni attentato autorizzare una nuova costruzione (http://www.timesofisrael.com/build-settlements-in-response-to-jerusalem-terror-minister/). Si tratta di una posizione pragmaticamente efficace, perché mostrerebbe agli arabi ragionevoli che il tempo e il terrorismo in realtà lavora contro di loro e che è nel loro interesse mettersi su una strada di collaborazione e soprattutto di non violenza. Il difetto della proposta è però di accettare implicitamente un paragone fra un'attività legittima e pacifica come l'edificazione di case e il crimine terroristico, il che rafforzerebbe coloro che vogliono il congelamento della vita degli insediamenti ebraici.

Una seconda reazione sarebbe quella di accettare il dato di fatto del collasso dell'Autorità Nazionale Palestinese (http://www.jewishpress.com/news/breaking-news/israel-worried-about-collapse-of-palestinian-authority/2015/11/27/). Non le minacce di Abbas di dimettersi e sciogliere l'ANP, che nessuno ha mai preso sul serio, ma il fatto che probabilmente il sistema politico dell'ANP non ha più né il consenso della popolazione, né una capacità amministrativa ed economica capace di reggere. Senza elezioni, senza una politica salvo i colpi di scena dell'Onu e dintorni, senza il progetto di un accordo, con un sistema economico/amministrativo completamente corrotto e inefficiente, l'ANP non è in grado di vivere senza la supplenza continua che paradossalmente le fornisce Israele. Basterebbe ritirarla e presto l'ANP crollerebbe. Ma prendersi cura direttamente dell'amministrazione di tutta la Giudea e Samaria migliorerebbe la situazione? Certamente perderebbe le sue basi il sistema mafioso organizzato da Fatah e Hamas in appoggio al terrorismo, e anche il sistema di corruzione che ha alimentato l'oligarchia palestinista. Ma in cambio si moltiplicherebbe l'impegno amministrativo ed economico di Israele, crescerebbe il problema di sicurezza e l'isolamento interazionale del paese ne sarebbe alimentato.

La terza possibile soluzione sta in un'operazione militare che riprendesse il possesso di alcune zone particolarmente violente, come Israele fu costretto a fare nel 2002 con l'operazione “scudo difensivo”. In particolare Hebron e dintorni sono l'origine del 60% degli attacchi terroristici di questi giorni. Riportare la legge e l'ordine nelle enclaves dominate dai terroristi sarebbe uno sforzo militare notevole, costerebbe un buon numero di perdite da una parte e dall'altra, ma probabilmente potrebbe porre fine al terrorismo d'attrito di questi mesi, almeno sul medio periodo. E' una possibilità considerata (http://www.jewishpress.com/news/breaking-news/likud-minister-well-launch-operation-defensive-shield-2-if-needed/2015/10/04/), ma certo non desiderata da Israele per i suoi costi umani e politici.

Per ora al microterrorismo Israele risponde con la sua resistenza umana, con la capacità di reazione dei singoli e delle forze dell'ordine, con provvedimenti locali di filtro e di presidio. Speriamo che basti.

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Ugo Volli


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