Gentilissima Redazione,
vedo che IC considera “un’opportunità” la “divisione della Siria su base etnica” e lo fa con riferimento ad un progetto che ignora totalmente i cristiani, ritenendo che “per i cristiani non cambierebbe nulla” e, sostanzialmente, dando per inevitabile la loro persecuzione e scomparsa. Mi chiedo come possiate considerare “un’opportunità” un tale esito. Tanto più che, in Siria, le comunità cristiane non erano fiorenti solo in “un tempo” lontano: fino allo scoppio della rivolta contro Assad, i cristiani erano, complessivamente, circa il 12% dei 23 milioni di siriani (dati del sito dell’Enciclopedia Treccani), dunque più di due milioni di persone. Molti sono tuttora sparsi per la Siria ed i Paesi limitrofi, altri vorrebbero tornarvi: non dovremmo sostenere (e, come nazioni civili dell’Occidente, esigere e, se necessario, imporre) una soluzione che garantisca anche i loro diritti? E perché uno Stato alawita e non (anche) uno cristiano, se proprio si dovesse giungere alla divisione della Siria (cosa su cui spero possano decidere i siriani e non i loro non sempre benevoli vicini)?
Annalisa Ferramosca
Come ben sa se segue regolarmente IC, ci siamo sempre schierati con le comunità cristiane perseguitate in Medio Oriente (ovunque, tranne in Israele) e nel mondo islamico in generale. Non cambia nulla per i cristiani - lo ribadiamo - tra la situazione attuale, insostenibile, e una situazione di parcellizzazione etnica della Siria. Come lei stessa scrive, fino a pochi anni fa i cristiani in Siria erano ancora il 12 % della popolazione ("un tempo", ovvero alcuni decenni fa, erano molti di più; ugualmente in Libano e in altri Stati circostanti). Va da sé che il problema fondamentale è fermare una persecuzione inaccettabile, e invece accettata spesso e volentieri non solo dai nostri governi, ma anche da numerose Chiese, quella cattolica in testa.
IC redazione