Gentilissima Redazione,
non ho parole (non di quelle in uso fra persone civili, alle quali per principio mi limito) per esprimere il mio disgusto e vergogna per la c.d. Nota (o avviso) interpretativa dell’UE sull’indicazione di origine dei prodotti provenienti dai ‘Territori occupati da Israele nel 1967’.
Non è solo questione di infelice scelta del momento (nel mezzo di un’ondata terroristica contro Israele) e di evidente effetto di premio al terrorismo e disincentivo per i palestinesi a trattare con Israele. Non è neppure ‘solo’ questione dell’uso di due pesi e due misure rispetto ad altri casi di dispute territoriali nel mondo. Il peggio è proprio il contenuto: da un lato, la Nota pretende di tracciare i confini di Israele, escludendone territori da esso annessi a seguito di una guerra difensiva (parte di Gerusalemme e il Golan); dall’altro, esige che sia indicato se i prodotti della ‘West Bank’ ‘provengono da insediamenti israeliani’ o ‘non provengono da insediamenti israeliani’, prescrivendo che i primi debbano essere etichettati come ‘product from the Golan Heights (Israeli settlement)’ o ‘product from the West Bank (Israeli settlement)’ ed i secondi (in qualunque parte della Cisgiordania, inclusa ‘Gerusalemme Est’, abbiano origine) possano essere qualificati come ‘product from the West Bank (Palestinian product)’ o come ‘product from Palestine’ tout court.
Capirei che si chiedesse di indicare ‘Cisgiordania – Area A, B o C secondo gli Accordi di Oslo’, dato che, in effetti, si tratta di aree non incluse da Israele stesso nel suo territorio. Ma l’etichettatura pretesa dalla suddetta Nota è manifestamente iniqua e discriminatoria e tentare di spacciarla per mero tecnicismo giuridico aggiunge ipocrisia all’ingiustizia. Essa, di fatto, con le sue specificazioni tra parentesi, non chiede di indicare semplicemente l’origine geografica del prodotto (altrimenti basterebbe scrivere ‘Golan Heights’, ‘Judea’, ‘Samaria’), bensì l’origine nazionale del produttore.
Non hanno avuto il coraggio di scrivere ‘Jewish settlement’, ma la realtà è quella.
Colgo l’occasione per esprimere la mia solidarietà non solo ad Israele, ma ai lavoratori palestinesi degli ‘insediamenti’ (non sapevo fossero 80.000: aggiungete almeno 5-6 familiari a carico, se non di più), cui auguro di poter continuare a lavorare e prosperare in pace. E guai a chi osasse negarmi gli squisiti datteri della Valle del Giordano (che, nell’export israeliano, sono un’inezia, ma a me piacciono moltissimo).
Con i più cordiali saluti,
Annalisa Ferramosca
Come lei ricorda, dei palestinesi che lavorano nel territori contesi non gliene importa niente ai solerti odiatori della UE, vogliono solo colpire l'economia dello stato ebraico, che migliaia di lavoratori perdano il posto di lavoro è un aspetto che non li riguarda. E' questa la UE della Mogherini, è questa l'Italia che riceverà Rohani obbedendo al suo diktat 'niente vino sulla tavola', che invece di dire 'grazie, io non lo bevo, ma non voglio certo impedire a voi di berlo', come direbbe qualsiasi persona civile. Ma l'Iran è la barbarie, e l'Italia si sottomette.
IC Redazione