A destra: la pubblicità pubblicata su Haaretz
Angelo Pezzana
Il dramma dei migranti in fuga dai paesi arabo-musulmani mediorientali, divenuti teatro di stragi e guerre civili, dove non è semplice distinguere quale è la parte più terrorista, ha aperto interrogativi che non è esagerato definire preoccupanti. Le stragi sui barconi e il mercato di esseri umani ad opera degli scafisti, la marcatura dei numeri sulle braccia, eseguita con il pennarello, come se l’uso di questo strumento moderno potesse cancellare il ricordo - anche solo a livello emotivo - di un’altra marcatura, eppure da molte parti è stato fatto osservare quanto quel marchio aveva ‘soltanto’ una valenza contabile, sono gli esempi più evidenti. Ma anche da Israele è giunto un segnale, altrettanto inquietante, sotto forma di pubblicità, uscita sul quotidiano Haaretz, che appare riprodotto in questa pagina. “I rifugiati sono gli ebrei di oggi. Siamo noi i moderni anti-semiti?” L’equiparazione migrati in cerca di salvezza con gli ebrei in fuga dal nazismo, è sostenuta dall’organizzazione pacifista israeliana Gush Shalom, che pubblica regolarmente i propri messaggi nella seconda pagina di Haaretz, diverse volte al mese, in genere il tema è l’occupazione dei territori contesi di Giudea e Samaria.
Israele: una società multietnica e plurale
Anche Israele ha un problema simile, anche se capovolto. Nessuno vuole fuggire, moltissimi vorrebbero entrare, immigrati regolari ma anche clandestini, attraverso la Penisola del Sinai, dove operano organizzazioni terroriste che hanno molti punti in comune con gli scafisti. Israele è un piccolo paese, il governo sin dall’inizio del fenomeno aveva varato alcune leggi per regolamentarne il flusso, tuttora valide, l’unico modo per mantenere l’equilibrio demografico. Leggi che finora hanno funzionato. Perché allora Gush Shalom ha sentito la necessità di rivolgersi ai pacifisti israeliani equiparando i moderni rifugiati in fuga dai paesi arabo-musulmani con gli ebrei durante la Shoah? In Siria, Iraq, Yemen, Libano, Giordania non è stata lanciata nessuna ‘soluzione finale’ del popolo islamico, non sta avvenendo nessuno sterminio etnico. Meno che mai nei territori, anche se la propaganda degli odiatori di Israele afferma il contrario.
La seconda frase ha una sola interpretazione, anche se seguita da un punto interrogativo, del tutto retorico. Quel ‘are we’ – siamo noi – si legge siamo noi israeliani, siamo noi ebrei ad essere i moderni antisemiti? Per estensione, il richiamo è evidente, se ne deduce chi sono i moderni nazisti. Il bisogno in qualche modo di sentirsi colpevoli, anche se in modo indiretto, l’ansia di apparire impegnati in un’azione umanitaria al modesto prezzo di un’inserzione, non è un fatto nuovo nella comunicazione adottata dai vari movimenti pacifisti, in genere operanti nei paesi democratici, dove nessuno corre rischi nel diffondere le proprie ideologie. I consensi sono virtuali, si raccolgono firme, il senso di appartenere alla ‘parte giusta’ procura conforto. Che poi la salvezza dei migranti, che migliaia continuino a morire in mare, che nessuna soluzione sia a portata di mano nei paesi da dove fuggono, sembra non rappresentare un problema per chi si sente assolto dal solo fatto di pronunciare la parola magica: PACE, che in ebraico fa Shalom, magari preceduta da un Gush.
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