A destra: "Juden Raus", "fuori gli ebrei": ieri dall'Europa, oggi dalla "Palestina"
Cari amici,
in seguito alle mie analisi sull'ondata di "terrorismo a bassa intensità" che colpisce Israele, un mio corrispondente mi ha scritto in termini formalmente assai gentili che stavo dando un peso eccessivo a questa vicenda, che i miei commenti erano cioè esagerati e che in definitiva le colpe stavano da tutt'e due le parti. Non voglio spendere lo spazio di questa cartolina per discutere con lui, l'ho fatto di persona. Ma mi sembra opportuno riflettere su questa posizione, perché è certamente assai diffusa e non solo fra nemici consapevoli di Israele e del popolo ebraico. Non si tratta dunque di una notazione personale, di una critica al mio modo di esprimermi, che probabilmente talvolta è sì troppo enfatico o sarcastico o emozionale - lo ammetto e me ne scuso. Ma di un discorso collettivo, che riguarda il mondo ebraico.
Noi "esageriamo". Esageriamo a lamentarci dei razzi che arrivano da Gaza: "sono petardi, ferrivecchi" dicono i benpensanti, tanto è vero che con rifugi antiaerei e con tecnologie antimissile come l'Iron Dome, spesso riusciamo a neutralizzarli. Esageriamo a lamentarci del terrorismo dei coltelli e delle bombe molotov, perché in fondo non si tratta altro che di esasperazione, di giusta ribellione di un popolo che "non ne può più" dell' "espansione delle colonie", e non importa se gli insediamenti israeliani in Giudea e Samaria sono in sostanza gli stessi di trent'anni fa e dal 1999 non ne è stato fondato uno nuovo, né il loro territorio municipale è cresciuto; ci sono gli ebrei e tanto basta. Esageriamo anche quando ci lamentiamo delle armi, delle pistole delle bombe e dei rapimenti: come spiegò per primo Craxi in Parlamento trent'anni fa applaudito da tutta la sinistra (https://m.youtube.com/watch?feature=youtu.be&v=C98fcxEU1Aw), si tratta di "diritti" delle "nazioni oppresse", non diversi da "quel che fece Mazzini". Ci lamentiamo anche troppo della Shoà: tutti i sondaggi dicono che c'è una bella percentuale di persone che pensa che ci speculiamo sopra, che faremmo meglio a stare zitti, che sono cose superate, da dimenticare.
E poi, come ho letto su un altro post in un social media, se abbiamo tutte queste disgrazie, se tutti ci odiano, "ci sarà pure una ragione, no?". Perché, come ha detto più gentilmente il mio corrispondente, le colpe stanno quantomeno da tutt'e due le parti. E dunque se gli arabi accoltellano dei passanti, scannano i genitori davanti ai loro figli (e poi cercano di ammazzare anche loro), be', qualche ragione ce l'avranno. Ci sono i cattivi "coloni", che abitano in terre regolarmente comprate, magari negli anni Venti sotto il controllo inglese come nel Gush Etzion, che fu sterminato dalle truppe giordane nel '48, e da dove venivano i tre ragazzi rapiti e subito uccisi l'anno scorso e molte vittime di attentatati più recenti; o magari posti dove gli ebrei sono stati dai tempi di Abramo, come Hebron. Ma sono coloni perché quelle terre e quelle case le vogliono gli arabi e dunque gli ebrei sono illegali. Oppure sono "ultraortodossi", qualunque cosa voglia dire questa bizzarra parola: gente comunque che vive osservando dei precetti molto rigorosi e di solito non si interessa affatto di politica. Ma forse i terroristi hanno qualche ragione anche contro di loro. O sono "estremisti ebrei" che hanno l'inaudita pretesa di pregare dove da tremila anni si rivolge l'ebraismo. Una "provocazione" intollerabile per chi ha sempre distrutto i luoghi di preghiera delle altre religioni, a Costantinopoli come in Spagna, a Gerusalemme come a Damasco.
Avranno le loro ragioni, mi sento dire. E comunque noi ci lamentiamo troppo. Non solo ci lamentiamo, ma ci sentiamo traditi. Quando eravamo in Europa, ci dicevano (tutti ci dicevano, anche Kant e Voltaire, non solo Hitler) che eravamo asiatici, invecchiati, sterili, comunque intrusi. Che dovevamo tornare in "Palestina", la regione geografica da dove venivamo. Abbiamo incominciato a farlo un secolo e mezzo fa (alcuni in realtà erano già lì, avevano resistito, non si erano mai mossi). Per incoraggiarci si moltiplicarono i pogrom e le persecuzioni. Poi ci fu una dichiarazione britannica che ci riconosceva il diritto a una patria su quelle terre, che divenne un trattato internazionale (San Remo 1922), una decisione della Società delle Nazioni, alla fine un voto all'assemblea generale dell'Onu. E ora ci dicono che ce ne dobbiamo andare da lì, che dobbiamo tornare in Europa - o morire... Ce lo dicono gli arabi, e si capisce; ma sommessamente ce lo dice anche l'Europa. Lo dice senza parlare esplicitamente, appoggiando come può i "palestinesi", rifiutando di riconoscere non solo gli insediamenti in Giudea e Samaria, ma anche Gerusalemme, anche "Gerusalemme Ovest" come territorio israeliano; lo fa ignorando il fatto che i bisogni di sicurezza israeliani sono assai diversi da quelli del Belgio (almeno del Belgio oggi, non di quello che fu sommerso dai tedeschi nella prima e nella seconda guerra mondiale) e richiedendo che Israele si ritiri agli indifendibili "confini di Auschwitz" della linea verde, che metterebbero il cuore del paese alla portrata di qualunque terrorista armato di un lanciarazzi portatile.
Vedete, ci sentiamo profondamente traditi dall'Europa e ora anche dall'America di Obama. Abbiamo costruito un paese democratico, pacifico, che contribuisce grandemente al benessere dell'umanità con scienza, tecnologia e cultura. Come gli ebrei hanno sempre fatto nella storia. E di nuovo la nostra vita è minacciata sotto lo sguardo soddisfatto, o almeno indifferente, della maggioranza dei cittadini europei. E' minacciata dai teppisti armati di coltello, come a più grande scala dai governanti iraniani cui Obama (con l'accordo dell'Europa) ha ceduto tutto in cambio di nulla, senza far loro neanche cambiare tono sull'America, figuratevi se hanno modificato il piano di distruggere Israele. E' una delusione grandissima, pari a quella che sentimmo dopo il caso Dreyfus e in Italia dopo le leggi razziali. Ma allora avevamo l'alternativa di costruire Israele, e oggi non ci sono più luoghi dove rifugiarci se vogliamo essere noi stessi.
Scusateci se esageriamo, dunque.
Ugo Volli