A destra: Abu Mazen illustra il proprio progetto politico: una 'Palestina' dal Giordano al mare dopo la distruzione di Israele
Cari amici,
non è finita. Non finisce. L'attacco terrorista contro Israele non sembra neppure rallentare un po'. Ogni volta che arrivano notizie da Israele, ogni giorno, spesso ogni paio d'ore, arrivano notizie di nuovi attentati, attacchi terroristici, accoltellamenti. E' inevitabile che queste notizie provochino indignazione, ira, sentimenti di vendetta, che qualche volta hanno anche dato origine a incidenti sul terreno, reazioni spontanee da parte di singoli israeliani che sono senza dubbio sbagliate, perché violano la legge e oscurano la percezione dei fatti. Ma quel che indigna noi in Europa è soprattutto il disinteresse della stampa e dei politici di fronte all'evidente prova che c'è il terrorismo, che esso proviene da parte araba, che in un territorio per fortuna sottratto alle tragedie in corso nel resto del Medio Oriente l'Autorità Palestinese sobilla il terrorismo e lo esalta.
Ma in questo caso, più ancora che sempre, bisogna mantenere la lucidità e i nervi freddi. Come ho già scritto la settimana scorsa (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=280&id=59803), questo è un episodio di una guerra, non un momento estemporaneo di tensione. E le guerre non si vincono caricando a testa bassa per rabbia, ma conquistando la supremazia dove conta davvero. A Israele non conviene esasperare lo scontro, e soprattutto non conviene affatto dare l'impressione sbagliata che esso sia simmetrico, che sia una rissa dove tutti picchiano tutti. Ci pensa già la stampa ”progressista”, ci pensano i politici, a cercare di dare quest'impressione. A noi spetta chiarire che da un lato ci sono delle famiglie che vanno alla preghiera, delle persone che lavorano, dei poliziotti che custodiscono l'ordine pubblico. Nessuno di costoro si sogna di ferire, di ammazzare, di versare sangue. Vogliono solo vivere la loro vita normale. E dall'altra ci sono delle altre persone che escono di casa con un coltello in tasca cercando chi possono accoltellare, o si portano le pistole in macchina aspettando di trovare una macchina con donne e bambini cui sparare. La differenza sta qui, fra la mano del padre che stringe quella di suo figlio bambino e la mano che stringe un coltello per ammazzare quel padre e quel bambino. Fra la vita e la morte.
La propaganda araba palestinese incita ad accoltellare gli ebrei
L'ondata terroristica non finisce, come dicevo e neppure rallenta. Ma attenzione, come sempre in questi casi c'è un'accentuazione mediatica: non è neanche iniziata ieri. Vi invito a leggere con attenzione questo rapporto, comilato periodicamente dal Meir Amit Intelligence and terrorism Center (http://www.terrorism-info.org.il/Data/articles/Art_20876/E_164_15_273306896.pdf). Leggetelo tutto, perché merita attenzione. Ma soffermatevi a pagina 12 e 13. In luglio in Giudea, Samaria e Gerusalemme c'erano stati 105 attacchi terroristici “duri” (cioè esclusi i lanci di pietre, dunque spari, bombe molotov, accoltellamenti, investimenti automobilistici ecc): in media 3,5 attacchi al giorno. E' una quantità notevolissima. In agosto sono stati 168, cioè 5,5 al giorno, poco meno di uno ogni quattro ore, giorno e notte. Fra settembre e ottobre gli attentati sono aumentati di numero e hanno avuto anche conseguenze più gravi, uccidendo 5 israeliani. Bisogna ricordare che fra settembre e novembre dello scorso anno c'era stata un'altra ondata terrorista, che aveva ucciso 11 israeliani (http://www.terrorism-info.org.il/Data/articles/Art_20880/E_169_15_691701197.pdf) e ancora prima c'erano state altre ondate (http://www.terrorism-info.org.il/en/article/20625).
Insomma, come vi ho già raccontato altre volte, c'è una strategia dei palestinisti, decisa già nell'agosto 2009 dal Sesto congresso di Fatah e definita “resistenza popolare” (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=51170), che consiste nel terrorismo a intensità (relativamente) bassa, cioè condotto in maniera tale da cercare di danneggiare e scoraggiare il “nemico sionista” senza costringere il mondo civile a indignarsi per le stragi di civili, come - dopo molte esitazioni - avvenne per il “terrorismo ad alta intensità” degli attentatori suicidi negli autobus, nei centri commerciali, nei bar e ristoranti del 2001-2003. Gli attentati sono condotti da individui che possono essere descritti come “lupi solitari” e qualche volta lo sono anche (almeno solitari, io invece che lupi li chiamerei sciacalli, ma questo non è importante). Altre volte sono cellule organizzate, com'è accaduto per l'omicidio della famiglia di Itamar la settimana scorsa. E altre volte ancora emerge l'affiliazione a Fatah o Hamas. Ma in realtà quel che basta è l'incitamento, la propaganda continua all'odio e all'uccisione, la glorificazione dei terroristi uccisi o fatti prigionieri. O anche, più prosaicamente, i soldi - soldi europei, tratti dalle nostre tasse, soldi americani, soldi delle buone fondazioni pacifiste, magari della sinistra ebraica - che sono pagati dall'Autorità Palestinese ai macellai e alle loro famiglie.
Si tratta di una guerra d'attrito, condotta quotidianamente da anni, spesso con la collaborazione attiva dei diplomatici dell'Unione Europea, che magari non partecipano ai fatti di sangue, ma contribuiscono per quel che possono a legittimare la violenza e l'illegalità quotidiana dei palestinisti. Questa guerra va a ondate, ogni tanto langue, costa “solo” qualche ferito, magari qualche bambino in macchina che se ne muore in seguito alle ferite provocate da una sassaiola, senza che l'opinione pubblica internazionale ne prenda nota, magari si ferma al limitare della vecchia linea verde, la linea armistiziale del '49. E poi a tratti cresce, deborda, uccide, invade Gerusalemme e anche il resto del paese. Così accadde l'anno scorso, per esempio con l'attentato alla sinangoga alla periferia di Gerusalemme (in zona Ovest, per i puristi della linea verde) o con quello all'autobus di Tel Aviv sempre l'anno scorso durante l'operazione di Gaza. E magari è accompagnato dalle salve dei missili che vengono da Gaza, e dall'approvazione degli arabi israeliani, che con l'eccezione di gruppi non proprio davvero arabi (drusi, certi beduini, certi cristiani) odiano gli ebrei e Israele quasi come gli arabi di Gaza, Giudea e Samaria.
Per il momento questa guerra d'attrito non è uscita dai suoi binari, ha solo raggiunto un punto alto, diffondendosi a tutto il paese, anche in luoghi che i benpensanti della sinistra israeliana ritengono “vero Israele” (ma naturalmente i palestinisti non sono d'accordo, vogliono anche quelli e considerano “coloni” tutti quelli che vi abitano): Tel Aviv, Lod, Afula, Haifa eccetera. Salvo errori catastrofici o interventi esterni, non bisogna pensare che ciò preluda a un'insurrezione generale, le cui prime vittime sarebbero i burocrati corrotti che governano l'Autorità Palestinese. Questo stato intermedio corrisponde alla confusa situazione dei movimenti palestinisti, i cui vertici hanno molto da perdere. Non crediate a chi vi dice che Abbas è molto moderato e Israele l'ha così deluso, anche perché non ci sarà mai un partner migliore di lui per la pace. Questo non è vero, perché in primo luogo Abbas è un vecchio organizzatore del terrorismo, che condivide metodi, obiettivi e responsabilità di tutto il vertice palestinese. Semplicemente l'Autorità Palestinese senza la collaborazione di Israele non può sopravvivere, le ricchezze e anche la vita dei suoi dirigenti e quadri intermedi sarebbero a rischio, come lo sarebbe la prosperità e la sicurezza dei suoi abitanti, infinitamente superiori rispetto a quelle dei popoli vicini.
Abbas (o chi lo sostituirà) non può davvero far la guerra a Israele, la perderebbe in poche ore; non può neppure scatenare una rivolta popolare vera; non si sa se ci sarebbe, e sarebbe anch'essa una sconfitta. Ma non può neanche fare la pace, perché vorrebbe dire dichiarare il fallimento della demagogia palestinista e abbandonare l'odio per gli ebrei, i pilastri dell'esistenza del suo movimento. Dunque sguscia, oscilla, mente. Come qualcuno dei suoi ha detto di Arafat, “di giorno parlava di pace, di notte faceva la cosa giusta” (cioè alimentava il terrorismo: http://palwatch.org/main.aspx?fi=157&doc_id=5875).
In questo momento poi, Abbas ha bisogno di visibilità, perché la crisi con Israele non interessa granché a nessuno, messa in ombra dai problemi dello Stato Islamico, della Siria, della Russia e dell'Iran. Hamas cerca di rubargli la scena, soffocata com'è dall'Egitto più che da Israele. Dunque deve fare esplodere una crisi, ma allo stesso tempo non aggravarla troppo. La campagna terroristica a bassa intensità serve a questo, a richiamare l'attenzione della stampa e dei politici occidentali. E non finisce, rischia di continuare a lungo. Magari con la speranza di uno sbaglio israeliano che permetta nuove speculazioni. Nuovo antisemitismo. Per ora però gli attentati continuano, ma Abbas fa mostra di frenarli: un'indegna buffonata. Al costo, naturalmente di vite umane, dolori, distruzioni, orfani.
Ugo Volli