A destra: il dittatore dell'Anp Abu Mazen
Cari amici,
dato che abbondano i tentativi, anche preventivi - vedi BBC (per chi ha twitter: https://twitter.com/ViewtoMidEast/status/650395350633725952) e Al Jazeera (http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Al-Jazeera-apologizes-for-Jerusalem-terror-attack-tweet-419930) - guardate anche altri esempi qui: http://twitchy.com/2015/10/03/lets-play-clue-read-the-headlines-and-guess-who-stabbed-four-in-jerusalem-with-a-knife/ -, di oscurare e confondere quel che sta accadendo in Medio oriente, vale la pena di fissare alcuni fatti proprio oggi mentre accadono.
Non sono gli ebrei che cercano di smettere di far pregare i musulmani sul Monte del tempio, ammesso che vi preghino e non vi organizzino disordini accumulando armi più o meno improprie (http://www.timesofisrael.com/palestinians-preparing-new-temple-mount-clashes-images-show/, http://www.timesofisrael.com/police-find-pipe-bombs-on-temple-mount-during-clash/) e perfino giocando a pallone (http://www.israeltoday.co.il/NewsItem/tabid/178/nid/25604/Default.aspx9) nel luogo che per loro dovrebbe essere il terzo più sacro del mondo, anche se il loro Corano non nomina Gerusalemme neppure una volta. Sono i musulmani che non vogliono che gli ebrei preghino lì, anzi che ci vadano in ogni modo “perché i loro sporchi piedi profanano la spianata”, come si è espresso elegantemente il dittatore dell'Autorità Palestinese Abbas (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/200771), sostenuto più o meno convintamente anche dal re di Giordania, paese che a suo tempo, quando occupava Gerusalemme, aveva sottoscritto un patto di libero accesso dei luoghi santi per tutte le religioni e invece non solo aveva proibito l'ingresso agli ebrei, ma praticato una pulizia etnica totale di Gerusalemme e dintorni, abbattuto tutte le sinagoghe, lastricato le strade con le pietre tombali, sistemato toilettes al posto della preghiera vicino al Kotel, il “muro del pianto”. Questa è la situazione cui i palestinisti vorrebbero tornare.
L'origine di Hamas e dei terroristi palestinesi
Non sono le forze dell'ordine israeliane ad abbattere i palestinesi, come protesta Abbas. Sono i terroristi che assalgono famiglie israeliane con bambini piccoli, ammazzano chi possono con pistole, sassi, coltelli, feriscono tutti quelli che hanno a tiro. Ed è solo quando questo accade che i militari che accorrono sparano loro addosso per evitare altre vittime innocenti. Non sono gli israeliani che fanno disordini, assalgono posti di polizia, fanno blocchi stradali, fini a costringere l'esercito a intervenire per riportare l'ordine, se occorre difendendosi dalle controffensive dei rivoltosi con le armi, da cui altre vittime. Sono gli arabi, affiliati a Fatah, Hamas, Jihad islamica. Sono gli arabi di Giudea, Samaria e Gaza a fare festa e offrire dolci per strada (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/201372) quando qualcuno dei loro ammazza civili ebrei; gli israeliani per ogni morte di un nemico non festeggiano, ma cercano di capire se era necessaria, aprono inchieste e discussioni.
Non è Israele che bombarda posizioni di Hamas così per passare il tempo, costringendo i poveri terroristi a difendersi. Sono i militanti di Hamas, Fatah, Jihad Islamica, salafiti affiliati allo Stato Islamico a sparare razzi su città e villaggi israeliani (dell'Israele “storica”, se serve questa precisazione, dentro i confini del '49); L'aviazione israeliana reagisce bombardando posizioni di Hamas, dato che è quella l'organizzazione terrorista che controlla il territorio.
Non è Israele che rifiuta i negoziati. Ancora nel suo discorso all'Onu, pochi giorni fa, Netanyahu ha dichiarato di essere disposto a tornare al tavolo delle trattative “subito e senza precondizioni”, mentre Abbas ha detto di non essere disposto a trattare con Israele “finché non si ritira” nelle linee armistiziali del '49, cedendo dunque la città vecchia di Gerusalemme, i villaggi e le città dove vivono oggi più di 600 mila cittadini - più di ciò che l'Autorità Palestinese potrebbe ottenere da qualunque trattativa. Ancor peggio, Abbas ha detto di non riconoscere più gli accordi di Oslo, che sono alla base della legittimità della sua amministrazione e sono un patto regolarmente sottoscritto dall'Organizzazione di Liberazione della Palestina (la casa madre del palestinismo) davanti a Usa, Urss, ed Europa come testimoni (che hanno tradito il loro ruolo non protestando per tale affermazione). Ma che senso ha la posizione negoziale di qualcuno che si permette di rifiutare i trattati regolarmente sottoscritti? Che valore avrà la firma di Abbas su qualunque pezzo di carta, visto che quella di Arafat sugli accordi di Oslo non vale più nulla?
Visto in maniera generale e il più possibile neutra: sono i palestinisti che vogliono rompere lo status quo, che hanno bisogno di attirare su di sé l'opinione pubblica internazionale, che pensa oggi alla ben più seria crisi siriana; sono loro che cercano di cacciare gli israeliani dai territori cui aspirano e che sono controllati da Israele (o semplicemente che sono Israele). Allo stato ebraico conviene mantenere lo status quo, la pace o almeno la calma; Israele non ha ambizione su territori che non controlla, come ha dimostrato abbondantemente cedendo dopo il '67 all'Egitto il Sinai, al Libano la fascia di protezione, all'Autorità Palestinese la zona A di Giudea e Samaria e Gaza (e ne ha ricevuto in cambio solo terrorismo). Dunque Israele non ha alcun interessa all'Intifada, non incita alla violenza, non usa le sue organizzazioni per provocare scontri, reprime il terrirismo da qualunque parte provenga. Questi sono fatti, che spiegano abbondantemente le dinamiche di questi giorni. Non che enunciarli cambi qualcosa, di fronte alla propaganda palestinista. Ma a futura memoria, per quando qualcuno cercherà di dire che Israele ha provocato questa crisi, bisogna farli conoscere.
Ugo Volli