(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)
Giovani, ragazzi... parole che ingannano, vanno cambiate
Il discorso di Abbas alle Nazioni Unite fa parte di un piano generale che si chiama Jihad. La dottrina del Jihad islamico impone l'inserimento di un elemento d’ inganno, e Mahmoud Abbas, in questo, è un maestro. Israele sta assistendo a un’impennata dell’attività terroristica sotto forma di lanci di pietre, bombe molotov e spari contro veicoli israeliani, già evidente da diversi mesi ma che si è intensificata rapidamente nel corso delle ultime settimane. Sta accadendo in Giudea e Samaria, ma il focus della violenza è a Gerusalemme, dove un qualsiasi incidente che riguardi il Monte del Tempio - al Aksa in arabo - non attira soltanto l’attenzione regionale ma anche quella mondiale.Stiamo assistendo a una serie pianificata di attacchi terroristici o a una continuità costante di eventi spontanei? E’ questo il preliminare di una terza Intifada? E se no, di che cosa si tratta? E’ necessario fare chiarezza.
L’irrisolto dibattito interno sul significato della violenza si esprime con la scelta selettiva delle parole da parte dei media. Le azioni dei giovani dovrebbero essere etichettate come atti perpetrati da “giovani”, una parola che sottolinea la loro età, ma è troppo vaga e ambigua. Non dovrebbero invece essere chiamati “attivisti”, “terroristi”, “militanti” “hooligans” ?. Va da sé che la scelta del termine esprime il pensiero di chi si richiama alla violenza, come pure in merito alla punizione che i colpevoli dovrebbero ricevere, se e quando venissero arrestati. C'è una grande differenza tra “automobilista ucciso da pietre lanciate da giovani” e “automobilista ucciso da pietre lanciate da terroristi”.
E’ preoccupante vedere la reale mancanza di comprensione da parte israeliana e del resto del mondo su ciò che realmente sta accadendo, perché c'è solo una parola in grado di descrivere chi aggredisce, lancia pietre e molotov, accoltella e spara contro gli ebrei che salgono sul Monte del Tempio. Quella parola, l’unica da usare, è “Jihad”, ma per molti israeliani, è una parola “che non si deve dire”, perché esprime ciò che in Israele stiamo vivendo in questo momento, cioè una guerra religiosa islamica.
L’uso mancato però non cambierà nulla, perché ci sono almeno sette modi diversi per dimostrare che Israele è, come è sempre stato, un obiettivo del “Jihad”.
In primo luogo, la lotta, oggi come in passato, riguarda la leadership religiosa.
Secondo l'Islam, la religione ebraica è superata, Din al-Batil, mentre è l’Islam la vera religione, o Din al-Haqq. Secondo l’Islam, gli ebrei possono vivere sotto il dominio islamico se collaborano e accettano il ruolo umile di “dhimmi” ( sottomessi), privi di sovranità, di difesa e di nazionalità. La situazione odierna in cui gli ebrei governano la “Palestina”, una terra che l'Islam considera santa solo per i musulmani, e sono in grado di dire ai musulmani ciò che essi sono autorizzati e non autorizzati a fare, è in contraddizione con il principio islamico fondamentale: “L'Islam è supremo e non può esistere nulla di più grande”. Una situazione in cui un’altra religione, e l’ebraismo in particolare, controlla musulmani e una terra islamica, impone il “Jihad”.
Secondo la dottrina islamica, il“Jihad” può assumere forme diverse a seconda delle circostanze. Grida, insulti, aggressioni, pietre, bombe incendiarie, coltelli, spari, sono tutte armi e ognuna di esse viene scelta dopo aver valutato la situazione . Anche le telecamere sono armi -soprattutto i media - che agiscono in favore dell'arena jihadista.
Il fotografo e il giornalista sono combattenti del “Jihad delle Comunicazioni”.
Il “Jihad Legale”, continua la lotta nelle aule dei tribunali e delle istituzioni internazionali, mentre il “Jihad Economico” viene adottato negli appelli del movimento BDS (boicottaggio, disinvestimenti, sanzioni).
I beduini nel Sinai conducono un Jihad contro Israele con il contrabbando di clandestini( molti dei quali sono musulmani ), armi a Gaza e in territorio israeliano. Il leader dei contrabbandieri in Israele è un musulmano, e le sue attività contro lo Stato, i cittadini e la legge possono essere accomunate sotto la voce di “Jihad dei Migranti”.
Un deputato musulmano che diffama Israele dal podio della Knesset è un “jihadista politico”. Il podio delle Nazioni Unite non è diverso. Il discorso di Mahmoud Abbas presso le Nazioni Unite e altri forum mondiali e il riconoscimento internazionale come Stato, sono una sorta di “Jihad politica”, il cui obiettivo è la creazione del 58° Stato Musulmano sulle rovine dell’unico Stato ebraico.
Questi sforzi si mimetizzano come legittima attività politica con la presentazione di una falsa immagine che li ritrae come “amanti della pace”; i musulmani che vivono in Israele e al di fuori dei suoi confini stanno di fatto tentando di convincere il mondo ad accettare la distruzione dello Stato ebraico. La dottrina del Jihad islamico impone l’uso dell’ inganno, una pratica nella quale Mahmoud Abbas è maestro.
Terzo elemento, il crescente coinvolgimento del movimento islamico (in particolare il ramo guidato da Raed Salah (El Aksa Sheikh) ) nell’inscenare incidenti, istigare, finanziare le organizzazioni terroriste al-Murabitoun e al-Murabitat , rendendo più stretti i legami con Hamas. Ciascuna di queste organizzazioni conduce il suo Jihad anti-Israele al meglio delle proprie capacità, ma tutti condividono un obiettivo religioso comune: trasformare tutta la “Palestina”, che si estende dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo, in una parte del Califfato Islamico , con capitale a Al Quds (Gerusalemme).
Il primo capo religioso degli arabi nella zona designata come Patria Ebraica - il Mufti Haj Amin el Husseini - fu coinvolto in un Jihad Militare contro gli ebrei di Israele, ma era stato anche attivamente implicato nella distruzione di un milione e mezzo di ebrei ungheresi nel 1944 quando era alleato di Hitler.
Il quarto aspetto è il significato dei nomi storicamente e religiosamente identificativi delle suddette organizzazioni, in quanto si riferiscono a tutto il territorio, soprattutto alle zone confinanti, dove i musulmani combattono gli infedeli al fine di rafforzare l’Islam per stabilirne il dominio. Ci sono organizzazioni con nomi simili anche al di fuori di Israele.
Il quinto aspetto è l’espressione usata per chi viene ucciso in incidenti anti-israeliani. Oggi, così come in passato, il termine usato è “shahid”, una parola religiosa per indicare chi ha raggiunto Allah in paradiso e dalla cui mano riceve la ricompensa per il martirio in nome del suo amore per l’Islam.
E il sesto aspetto? Basta guardare a ciò che sta accadendo nel mondo islamico.
Tutti i musulmani che vivono a ovest del fiume Giordano, in Israele e sotto l’Autorità Palestinese sono informati sulla situazione in Siria, in Iraq e nel Sinai. Hanno il privilegio di vedere in tempo reale come l’originale, integralista, puro e genuino Islam sta affrontando un Jihad coraggioso e vittorioso,contro alawiti, yazidi, drusi e infedeli sciiti, così come contro gli stranieri come gli americani, che non temono affatto.
Né vanno dimenticate le immagini delle decapitazioni.
Tutti sanno che cosa sta accadendo nella terra del Jihad, iniziata nel deserto del Sinai, e come i jihadisti stanno combattendo con successo una guerra a tutto campo contro le forze militari egiziane, il più grande esercito del Medio Oriente. La gioia per i successi del Jihad nei Paesi confinanti con Israele, ha fatto breccia nei cuori dei musulmani che vivono ad occidente del Giordano e li motiva a unirsi al jihad contro gli ebrei, i “nemici di Allah e dell'Islam”, e diventare parte di una guerra che sta facendo tremare il mondo intero.
Settimo aspetto, le costruzioni illegali arabe in corso in tutto Israele, a ovest del fiume Giordano, una sorta di jihad conosciuto come “Jihad della Costruzione”. Non a caso, questo è il nome della società di costruzioni di proprietà di Hezbollah, e non è una novità, perché l’idea di un jihad congiunto contro Israele è parte integrante dell’islam sia per i sunniti che per gli sciiti, uno dei pochi punti che hanno in comune.
Il Jihad su più fronti contro Israele qui descritto non viene annunciato pubblicamente (o spiegato in dettaglio), perché i musulmani sanno bene che il mondo non sosterrebbe il Jihad se i suoi combattenti dichiarassero apertamente di voler distruggere Israele.
È per questo che i leader di Israele, i loro portavoce e i media, devono iniziare a tirare la testa fuori dalla sabbia, chiamare il "Jihad" con il suo nome e parlare di ciò che sta accadendo qui, in termini reali, cioè religiosi.
E’ ora di ripetere senza sosta che quello che noi - e non solo noi – abbiamo di fronte è un Jihad, non altro, e i combattenti - donne, bambini, adulti e giovani - sono combattenti del Jihad. Ciò in cui si identificano, ed è per questo che si arruolano. Pietre, molotov, bombe incendiaria, coltelli e pistole, insieme con la macchina fotografica, i tribunali, il boicottaggio e le migrazioni - sono tutte armi nelle mani dei combattenti del Jihad, tutte hanno lo scopo di far crollare la sicurezza, la società e l’economia israeliane.
Israele deve prenderli sul serio - e ricordare à la guerre comme à la guerre.
I nostri giornalisti, che stanno ancora sognando un nuovo Medio Oriente come aveva sognato il loro leader / Pifferaio di Hamelin, Shimon Peres, hanno paura del jihadismo, perché, come tutti i liberali, non hanno gli strumenti per combattere una guerra di religione contro soldati he inneggiano ad Allah. Ogni volta che cerco di dire ai media israeliani che Israele sta combattendo contro i jihadisti, gli intervistatori mi tranquillizzano pieni di timore e mi dicono di non modificare il conflitto israelo-palestinese da nazionalista in una guerra di religione islamico-ebraica. Io mi sforzo di dire loro che, con o senza le mie parole, anche se non lo ammettono, la guerra è religiosa. Aggiungo anzi che, anche se non gli va di sentirselo dire, le radici dell’intero conflitto sono islamiche e religiose. Il conflitto può essere presentato come nazionalista, territoriale, giuridico, politico o di qualsiasi altro tipo, ma questo è un esercizio di auto-inganno. Il conflitto nasce da un vulcano di fuoco religioso islamico, che arde nel cuore degli uomini e all’interno delle bombe incendiarie.
Nella guerra d’Indipendenza, gli arabi gridavano “Idbah al-Yahoud - massacra l’Ebreo”. Non hanno detto israeliano o sionista ma Ebreo. Sono gli ebrei quelli che vogliono eliminare. Shimon Peres, Yossi Beilin, Alon Liel e altri utopisti hanno cercato di convincerci che c’è una differenza tra i cattivi jihadisti di Hamas e quelli “affascinanti”, “amabili” dell’OLP, veri amanti della pace e della tranquillità, quelli il cui capo arci-jihadista Yasser Arafat è stato insignito del Premio Nobel per la Pace. Nemmeno l’incendiario discorso alle Nazioni Unite di Abbas farà cambiare le loro idee. Il loro punto di vista era infondato e assolutamente delirante, ma è costato la vita a più di 1500 israeliani, perché l’unica differenza tra Hamas e l'OLP è che Hamas dichiara apertamente che si tratta di un’organizzazione combattente del Jihad, mentre alcuni membri dell’OLP nascondono il fatto che anch’essi lo sono.
Alcuni di loro - quelli delle Brigate el-Aqsa - non si preoccupano di nasconderlo e il loro presidente, Mahmoud Abbas, li finanzia. Quelli di noi che sono stanchi di lottare, tentano di rendere accettabili i parassiti jihadisti dell’OLP proprio come hanno tentato di sorvolare sul ruolo di Haj Amin al Husseini durante la Shoah degli ebrei d’Europa.
Svegliamoci e diciamo la verità - a noi stessi e al mondo. Solo la verità può aiutarci a comprendere la realtà e affrontarla adeguatamente. La verità è che siamo un bersaglio jihadista per Hamas e per l’Olp, ognuno con i propri metodi, per cercare di dissimulare e gettare fumo negli occhi, e se cadiamo noi - grazie anche ai soldi che gli europei stanno versando nelle vene del Jihad dell’Autorità Palestinese – l’Europa sarà il prossimo obiettivo di quello stesso jihad, che sta già per essere esportato nel vecchio continente, invecchiato e deteriorato, per mezzo della massiccia immigrazione musulmana.
Si tratta di jihad. I nostri nemici, non importa dietro a quale siglia, sono tutti combattenti del jihad. Dobbiamo adattare il nostro modo di parlare a questa situazione e agire di conseguenza. Prima lo facciamo, meglio sarà per noi e per il mondo.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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