Una svolta storica, purtroppo 24/09/2015
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Autore: Ugo Volli
Una svolta storica, purtroppo
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli


Benjamin Netanyahu incontra Vladimir Putin

Cari amici,

la visita di Netanyahu a Putin, due giorni fa, è stata notata da diversi giornali e anche Informazione Corretta vi ha riportato la cronaca di Maurizio Molinari, come sempre il più lucido e informato corrispondente, non solo italiano, dal Medio Oriente (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=6&sez=120&id=59638). Ma le dimensioni degli articoli e per lo più anche il loro contenuto non hanno affatto espresso il valore storico dell'evento. Che si può raccontare, un po' drammatizzandolo, in questi termini: gli Stati Uniti, in sette anni di amministrazione Obama, hanno perso tutti gli alleati in Medio Oriente (e naturalmente l'Europa, insignificante e semmai dannosa com'è, li ha persi anche lei). Prima di Obama era alleata dell'Occidente la Turchia, che oggi in sostanza appoggia l'Isis ed è la maggore perdente dell'intervento russo che ridicolizza ancora una volta le grottesche ambizioni imperiali di Erdogan. Aveva l'Egitto, ma dopo aver favorito l'abbattimento del cliente Mubarak, aver favorito l'arrivo al potere dei nemici Fratelli Musulmani, aver cercato invano di impedire il ritorno dell'esercito e la presidenza di Al Sisi, oggi l'America è tutto fuorché un alleato dell'Egitto, che si è rivolto alla Russia per le proprie forniture militari. Aveva il potere militare sull'Irak e lo ha abbandonato ai nemici sciiti e al caos; aveva l'Arabia Saudita con il contorno di Emirati e altri stati del Golfo, e se l'è alienata con l'accordo con l'Iran. Ha corteggiato proprio l'Iran, concedendogli di mantenere le sue basi tecnologiche per la fabbricazione della bomba atomica, togliendo le sanzioni e dando agli ayatollah grandi disponibilità economiche, con la perfetta consapevolezza che le avrebbe spese per armarsi e appoggiare i terroristi; ma non ne ha ottenuto in questa maniera né l'alleanza né tantomeno l'amicizia.

Aveva soprattutto Israele, alleato fedelissimo, legato ideologicamente allo “Stato del Patto” (questo è il senso del nome degli Usa in ebraico, e non c'è nulla di più vicino all'autodefinizione dell'ebraismo della parola “berit” che compare in questa espressione), e con un milione almeno di cittadini che condividono i due passaporti. E' forse esagerato dire che l'ha perduto, perché i legami economici, tecnologici e militari fra i due stati rimangono fortissimi. Ma basta leggere la riassicurazione pronunciata da Netanyahu all'America dopo il suo viaggio in Russia per capire la distanza che si è frapposta fra le due amministrazioni. “Gli Stati Uniti, ha detto il primo ministro israeliano, restano il nostro partner più importante”, che è molto meno che definirlo “alleato”. Certo, non c'è paragone fra il peso degli Usa e quello di Israele sul mondo; ci sono teatri, come il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dove il veto americano alle demenziali proposte di soluzione d'autorità del conflitto con l'Autorità Palestinese (per esempio quella francese, che prima o poi si riaffaccerà) sono essenziali. Non si può dire che Israele abbia isolato l'America senza ricadere in quella vecchia battuta del cartello esposto a Dover: “A causa della tempesta sulla Manica, il continente è isolato”.

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Bashar al Assad e i suoi protettori, Russia e Cina

E però il Medio Oriente continua a essere importantissimo per la sua posizione geopolitica centrale nel blocco dell'Eurasia e per quel che esporta (petrolio, ma anche immigranti clandestini, oggi). E andando a trattare con Putin sulla Siria, che è il nodo centrale oggi del teatro mediorientale, andandoci in pompa magna, con i capi degli apparati di sicurezza che di solito nelle missioni diplomatiche restano a casa, Netanyahu erede del grande realismo politico di Israele ha certificato che la potenza dominante in Medio Oriente non sono più gli americani, ma i russi. Cioè ha fatto da notaio a una pretesa espressa dalla Russia per mezzo di un rafforzamento del loro dispositivo militare in Siria che non cambia fondamentalmente le cose sul terreno (si parla di 17 aerei da caccia e di alcune centinaia di militari), ma che è stato propagandato in modo tale da dargli il significato di una rivendicazione.

Che questo sia avvenuto, cioè che la Russia consideri al Siria cosa sua e che nessuno si sia opposto, deriva da due serie di errori (o di rinunce all'egemonia) da parte americana o meglio di Obama: da un lato l'amministrazione democratica ha deciso di non intervenire in Siria (a parte qualche bombardamento pro forma, che presto dovrà cessare, visto che lì c'è l'aviazione russa), di ignorare l'uso delle armi chimiche dell'esercito di Assad; con l'illusione che spendere qualche centinaio di milioni di dollari in armi e addestramento che per lo più sono stati utili agli islamisti potesse sostituire l'azione diretta. Tutti accusano fra l'altro Bush e Blair del disastro umanitario dell'attacco all'Iraq; ma nessuno attribuisce a Obama quello ben più grande della guerra civile siriana e della fuga di massa che ha prodotto, le cui conseguenze sono ormai nel cuore dell'Europa. Il secondo errore o rinuncia è l'accordo con l'Iran: dato che dietro agli ayatollah c'è il loro principale sostenitore, fornitore d'armi e di tecnologia nucleare, lasciare via libera all'armamento iraniano significa dare il via anche alla Russia. Che ha avuto anche il tacito consenso americano, in questi anni, a invadere un paio di stati del suo vicinato (Ucraina e Georgia), senza patire troppi danni.

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Barack Obama

Il risultato è che l'arbitro della guerra e della pace in Siria, e dunque in tutto il Medio Oriente, sembra essere oggi la Russia. Israele ne prende atto e con la Russia tratta, a quanto pare con buon successo, perché non è interesse neanche di Putin scontrarsi con Israele, certamente assai più piccolo, ma bene armato e deciso a difendersi da tutti. Così va il mondo: se qualcuno pensava che dopo l'accordo con l'Iran ci sarebbe stata la pace in Medio Oriente, dovrà ricredersi come quelli che hanno dato a Obama sette anni fa un premio Nobel preventivo. La sola speranza per l'America, per l'Europa, per la pace è che fra un anno gli elettori americani riescano a eleggere non più un velleitario incapace o un traditore (scegliete voi l'ipotesi politica che ritenete più giusta per gli sviluppi che vi ho descritto), ma un presidente vero, fedele all'America e all'Occidente e capace di fare politica.

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Ugo Volli


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