Di che cosa aver paura 16/09/2015
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Autore: Ugo Volli
Di che cosa aver paura
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

A destra: Jeremy Corbyn con la kefia durante una manifestazione contro Israele

Cari amici,

devo confessarvelo, sono preoccupato, molto preoccupato. Non per Israele, che nonostante tutti gli ostacoli sa badare a se stesso. Per l'Europa. E neppure solo per l'invasione musulmana che stiamo subendo e per le risposte incerte (per darne una qualificazione eufemistica) che stiamo dando. E' un evento decisivo, che rischia di distruggere l'identità europea e di dare ragione a quelli che rappresentano Roma sovrastata dalle bandiere dell'Islam. Ma è un fattore esterno, per il momento più debole delle nostre forze, e tutto dipenderà da come sapremo rispondervi. I rischi sono due, che non vi sia risposta, come sostanzialmente accade ora, con politiche fatte momento per momento dai diversi stati senza coordinamento e soprattutto sotto l'influenza di fattori emotivi, senza una seria programmazione e previsione delle conseguenze delle azioni che si intraprendono. L'altro rischio è la rinascita del fascismo, che credevamo finito nella pattumiera della storia, e rischia invece di saltar fuori di nuovo, individuato come sola forza capace di opporsi all'invasione. Sarebbe un errore gravissimo; ma la responsabilità della scelta fra fascismo e islamismo è delle forze politiche e intellettuali democratiche che non riescono a intervenire sui problemi decisivi del nostro tempo, o, peggio, li aggravano per insipienza ideologica, si fanno complici dell'invasione e nemici dei nostri veri amici.

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Alexis Tsipras

Ecco, di questo sono preoccupato. Se volete un nome di attualità, sono preoccupato per Corbyn e soci. Avete letto molte analisi sulla vittoria di questo vecchio arnese dell'ideologia nelle elezioni interne al Partito Laburista. Oggi alla testa dello storico partito socialdemocratico inglese c'è un marxista, un amico di Hamas e Hezbollah, uno che vuole uscire dalla Nato (obiettivo abbandonato non dal partito democratico di Renzi, ma dal vecchio PCI sotto la guida di Berlinguer trentacinque anni fa), uno che preferisce la Russia di Putin all'America, insomma, come spesso è stato detto, un relitto del grande naufragio del comunismo che, per uno scherzo della storia, è ritornato a galla e veleggia verso il prossimo naufragio. Molti l'hanno preso in giro, molti si sono felicitati con il partito conservatore, destinato a vincere sicuramente le prossime elezioni. Ecco, questo mi fa molta paura. Mi ricordo benissimo quando nel 2007, dopo la vittoria dell'estremista Obama su Hilary Clinton (che è di nuovo lì, e di nuovo rischia di perdere di fronte a un estremista), si diceva che la candidatura di Obama era un'ottima cosa, perché avrebbe regalato la vittoria ai repubblicani. E invece sapete com'è andata: l'abbiamo ancora qui al potere, intento a fare danni che più grandi non si può. Potrebbe vincere Corbyn come ha vinto Obama; il solo fatto che un importante partito storico nell'Inghilterra patria della democrazia (e del buon senso) abbia eletto un tipo così mi preoccupa moltissimo.

Anche perché, bisogna sottolinearlo, Corbyn non è affatto solo. C'è Tsipras in Grecia, che ha fatto più danni di tutti gli imbroglioni che l'hanno preceduto e della speculazione internazionale: la Grecia era fuori dalla crisi, prima della sua elezione, e adesso si trova di nuovo a dover fare una cura da cavallo. Si era detto, si è visto, eppure c'è ancora qualcuno che l'ha votato e (in numero minore ma non piccolo) che lo rivoterebbe. C'è la Spagna, dove ha molto peso un partito nuovo (Podemos), finanziato dall'Iran e dal Venezuela e dove si profila la scissione della Catalogna sotto gli stessi principi. Anche la Spagna è appena uscita dalla crisi sotto l'oculata gestione dei popolari, e rischia di ripiombarci affidandosi a gruppi di demagoghi dilettanti allo sbaraglio e peggio. Ci sono i grillini da noi. Altri demagoghi in altri paesi europei, che non elenco per non annoiarvi. Ma soprattutto c'è Obama, con i suoi eredi e imitatori in America. E papa Francesco, di cui è difficile negare la matrice peronista, cioè di quel movimento demagogico e populista che per due volte e più ha portato al fallimento economico e politico un paese potenzialmente ricchissimo come l'Argentina.

Del pericolo palese che rappresentano questi signori per la sicurezza, il reddito, la convivenza civile del loro paese dell'intera Europa e dell'Occidente, del bizzarro dilettantismo delle loro proposte, del rifiuto delle lezioni della storia, e aggiungiamoci anche del fondo antisemita (http://www.focusonisrael.org/2015/09/13/la-sinistra-britannica-elegge-jeremy-corbyn-come-nuovo-segretario-scopriamo-chi-e/) che emerge dai loro programmi e dalle loro azioni non occorre neppure parlare, tanto si è detto. Del resto difficilmente c'è stato un caso in cui la prova della realtà sia stata più chiara del premio Nobel preventivo Barak Obama, o di quel Tsipras che pretendeva di salvare la Grecia e l'ha dissanguata economicamente. Non insisto su questo, se seguite la politica avete letto tanti articoli su questi fallimenti e non solo da commentatori che erano dal principio contrari a questi personaggi come me.

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Hilary Clinton

Il punto è però che la storia non è fatta, almeno in buona parte, dai grandi personaggi, ma dagli sviluppi economici, culturali, politici che toccano le grandi masse sociali. E dalla vittoria di Obama, sette anni fa, è chiaro che c'è una cospicua corrente socioculturale che va in questa direzione. Non sempre i demagoghi hanno vinto, per fortuna; ma è chiaro che hanno un sostegno non episodico né locale. Bisogna chiedersene la ragione - e proprio qui c'è la preoccupazione vera. Le politiche che costoro sostengono sono socialisteggianti all'interno, identificano l'industria privata, l'innovazione economica che questa porta, la grande trasformazione economica della globalizzazione capitalista e dell'informatizzazione come nemici. Nonostante l'immenso successo economico e sociale del sistema capitalistico da quando ha vinto pacificamente contro il socialismo reale e ha diffuso il benessere in dimensioni mai viste prima, a costoro non interessa. Credono, come molti prima di loro, da Keynes ai dittatori fascisti e comunisti, di vedere nella crisi economica di questi anni l'agonia del capitalismo; e il fatto che essa non sia affatto stata universale (non c'è stata per esempio quasi in Asia) né abbia avuto le conseguenze catastrofiche di tante altre, e che appaia sulla via della soluzione, non li distoglie dalle loro idee. In politica estera sono antioccidentali (anche se occidentali), antiamericani (anche se americani), antisraeliani (anche se israeliani). Pensano sei o sette decenni dopo la fine dei domini coloniali, che tutto il male venga dal colonialismo, cioè dall'Occidente. Hanno nostalgia dei totalitarismi, dei regimi burocratici di stato, piacerebbe loro molto vivere sotto Stalin o Mao.

Purtroppo queste posizioni, che si basano sulla disinformazione più totale, non sono condivise solo dai capi più o meno grotteschi e disgustosi di questi movimenti. Certo, ci sono i media e li intellettuali che li alimentano, ma essi hanno potere solo perché dicono le cose che tutti si aspettano di sentire. Il problema è che attraggono molta gente. C'è alla base di queste posizioni un atteggiamento irrazionale, un'incapacità o una non volontà di guardare alle conseguenze dei propri atti, un sentimentalismo miope, una certa dose di antisemitismo, soprattutto un odio di sé, una volontà di rifiutare e cancellare la propria cultura, quella stessa che ha creato le condizioni, la libertà e l'agio per poter coltivare questi umori. Bisogna chiedersi che cos'è successo riflettendo sul nichilismo, il buon vecchio nichilismo di cui già parlava Nietzsche e che fu poi alla base delle numerose conversioni intellettuali al fascismo e al comunismo, poi infine all'islamismo che ci sono state in quest'ultimo secolo. Senza dubbio la pedagogia di massa del rifiuto, trionfata a partire dagli anni Sessanta, ha avuto la sua parte. Se si vanno a rileggere i testi sacri della “contestazione” da Marcuse ad Adorno a Brecht, fino alle sciocchezze di Don Milani, le si ritrova oggi triturate e frullate come verità evidenti. Ma c'è di più e di più grave, un senso di colpa che si erge a diritto, una volontà di tirarsi fuori da quel che si è, insomma la psicologia contorta di chi attribuisce al mondo circostante i tratti di sé di cui si vergogna. Questo è vero in forma eminente per gli odiatori di sé di provenienza ebraica, ma vale anche oggi per buona parte dell'opinione pubblica europea.

Riuscirà l'Europa, l'Occidente a uscire da questo incubo, a riacquistare quel minimo di razionalità di cui c'è bisogno per sopravvivere? Ne dubito. Per questo sono preoccupato, molto preoccupato. Non per Israele, dove tutti quelli che non sono in clamorosa malafede sanno di dover combattere una guerra lunghissima per sopravvivere; ma per l'Europa e ormai anche per gli Usa, dove la maggior parte della gente ormai non se ne rende più conto.

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Ugo Volli


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