Una partita è persa, la guerra no 07/09/2015
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Autore: Ugo Volli
Una partita è persa, la guerra no
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

A destra: le famose ultime parole:
Obama: "Vi crediamo"
Gli ayatollah iraniani: "Morte all'America"

Cari amici,

la settimana prossima inizia quella che doveva essere la grande battaglia nel Congresso americano sull'accordo con l'Iran, e che molto probabilmente sarà solo una rappresentazione vuota. I risultati infatti sono già acquisiti.

Partiamo dai fatti. La Costituzione americana assegna una forte autorità autonoma al Presidente, che non ha bisogno della fiducia delle camere, essendo eletto direttamente e avendo inoltre alcune zone di competenza diretta, fra cui il comando delle forze armate e la politica internazionale. Il Congresso controlla in sostanza le finanze e può fare leggi cui però il Presidente può opporre un veto che può essere superato solo con una maggioranza dei due terzi in entrambe le camere. I trattati internazionali sono competenza del solo Senato: essi sono approvati solo con una maggioranza dei due terzi. Sulla base della sua autonomia costituzionale Obama ha negoziato l'accordo con l'Iran; sulla stessa base l'ha già approvato nel consiglio di sicurezza dell'Onu, con una delibera che è già impegnativa per gli stati membri. Ha inoltre fatto ricorso a un sotterfugio, definendo l'accordo non come un trattato, ma come un “piano congiunto”, che lo sottrae alla competenza del Senato (come peraltro dei parlamenti europei). Qualche mese fa, però, sotto la pressione delle rivelazioni sui rischi dell'accordo, Obama ha dovuto accettare che esso fosse sottoposto al vaglio del Congresso. Ma non, lo ripeto, come un trattato internazionale, con la necessità da parte sua di ottenere il consenso di due terzi dei senatori, bensì come una legge ordinaria, che andava approvata a maggioranza e cui poteva opporre il veto; che sarebbe dunque stata vincolante solo con l'approvazione di oltre i due terzi dei membri di ciascuna camera. Tenete conto che la maggioranza in entrambe è repubblicana, fermamente opposta al trattato, ma essa non raggiunge i due terzi. C'era bisogno dunque di un numero sufficiente di democratici dissidenti, per rendere invulnerabile al veto il rifiuto dell'accordo.

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Il Congresso americano

Scusate se vi ho annoiato con questi dettagli legali, ma il punto è che qualche giorno fa, prima dell'inizio della discussione, è emerso che in particolare al Senato c'erano sì dei democratici dissidenti, contrari all'accordo, ma non abbastanza per raggiungere i due terzi. Oggi credo che il conto sia 63 no e 37 sì. In sostanza quindi si può essere sicuri che l'accordo sarà bocciato da una solida maggioranza al Congresso, che corrisponde del resto a un'analoga maggioranza nel paese, come mostrano i sondaggi, ma passerà indenne questo voto per il meccanismo del veto. Tutto ciò è un po' barocco, non corrisponde al nostro concetto di democrazia come governo della maggioranza, ma deriva da una costituzione che ha ormai quasi duecentocinquant'anni e merita certamente rispetto. Che ci piaccia o no, le regole sono queste. L'accordo con l'Iran sarà ratificato e dominerà la politica internazionale molto probabilmente anche quando Obama andrà finalmente a casa fra sedici mesi.

Sul piano morale forse non è così, ma sul piano politico certamente si tratta di una sconfitta grave per Israele, il cui mondo politico è tutto opposto all'Iran, maggioranza e opposizione; ma naturalmente in primo luogo per Netanyahu, che ha fatto della battaglia sull'”Iran Deal” il proprio principale obiettivo politico negli ultimi anni. E' anche una sconfitta prevedibile, dato l'immenso vantaggio giuridico e politico di cui gode il Presidente degli Stati Uniti in questo campo. Ha sbagliato dunque Netanyahu, ha sbagliato Israele? Io non credo. Sono d'accordo con questo bell'articolo di Caroline Glick (http://www.jewishworldreview.com/0915/glick090415.php3): era una battaglia che non si poteva non fare, che non si può non continuare a fare, che oltre a essere giusta e inevitabile per evitare un ulteriore gravissimo peggioramento della situazione mediorientale, alla fine permetterà a Israele di difendere la propria posizione sul piano politico e militare. Se non ci fosse stata la battaglia pubblica, politica, leale, ostinata e motivata di Israele contro l'espansionismo e l'armamento atomico iraniano, ora il contenimento dei progetti imperiali degli ayatollah sarebbe affidato solo all'Isis e non ci sarebbe la possibilità di una strategia di contenimento che Israele sta cercando, a quel che se ne sa, di coordinare con i paesi arabi sunniti dello schieramento realista (Egitto, Giordania, Arabia Saudita).

La partita al Congresso si deve ancora svolgere, il suo esito sembra stabilito, ma è importante che la discussione avvenga (qui trovate una sintesi dei punti principali che saranno discussi: http://www.brookings.edu/research/reports2/2015/08/iran-nuclear-deal-battleground-issues-einhorn). E' essenziale che si veda che la posizione obamiana di appeasement con l'islamismo è sbagliata e minoritaria nel Congresso e nel paese - anche perché di questo i candidati alla sua successione dovranno tener conto. La guerra con l'Iran e i suoi satelliti e anche, diciamolo, contro l'antisemitismo delle classi dirigenti occidentali, invece continua e andrà gestito da Israele con grande lucidità, coraggio e intelligenza.

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Ugo Volli


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