(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)
Il mondo intero resta sconvolto davanti alla tragedia che ha colpito gli yazidi nell'Iraq del Nord: un gruppo etnico la cui cultura esiste da migliaia di anni, che è sopravvissuto a una storia irta di difficoltà, e oggi sta subendo lo sterminio per mano dello Stato Islamico, che continua a uccidere gli uomini e vende donne, ragazze e bambini al mercato degli schiavi.
Il mondo vede e se ne sta per la maggior parte in silenzio; non esistono parole abbastanza forti per descrivere lo sgomento e il disgusto che suscita lo sterminio di questa gente. E il mondo sta facendo ben poco: escono articoli, qualche rara inchiesta, raramente una dimostrazione pubblica. Si son fatti pochi sforzi per offrire loro una protezione vera, perché il mondo intero trema di fronte ai jihadisti dello Stato Islamico.
L’unica forza che si trova ovunque vicino agli yazidi in Iraq sono le milizie curde, i Peshmerga, ma il vero dramma è che nell’Iraq del Nord c'è un’intesa, forse persino un accordo, tra ISIS e Peshmerga, secondo cui i curdi potranno vivere in pace solo se non difendono gli yazidi. Nei cui confronti i curdi non sono meno crudeli degli islamisti.
Da ciò possiamo trarre due conclusioni:
1) non è possibile fare affidamento sulle milizie curde per salvare gli yazidi,
2) i Peshmerga non sono quelli che combattono lo Stato Islamico con sufficiente volontà di distruggerlo, perché non ne hanno la forza e non sono disposti a farlo. Che cosa si può fare per salvare gli yazidi?
Questa domanda vale per tutti gli altri gruppi cristiani perseguitati in Iraq, caldei, assiri, nestoriani e aramei, la cui sorte è identica a quella degli yazidi, con la differenza che molti di loro sono riusciti a fuggire dal paese.
Vi sono altri gruppi non islamici in Iraq perseguitati dall’islam, come i sabai, mandei, zoroastriani, bahai, tutti considerati eretici e adoratori d’idoli pagani: il loro destino sarà identico a quello di yazidi e cristiani. E’ importante far notare che, fatta eccezione per i bahai, tutti questi gruppi etnici e religiosi sono più antichi dell’islam e sono vissuti in Iraq - come gli ebrei - per centinaia e migliaia di anni, molto prima che l'Iraq fosse conquistato dall’Islam nel VII° secolo d.C.
Qualsiasi soluzione al problema delle minoranze in Iraq deve partire dal presupposto che l’Iraq non è in grado di proteggere nè il territorio nè i cittadini.
Un quarto del Paese è nelle mani dell’ISIS e il rimanente è il Kurdistan, una regione quasi autonoma, che non obbedisce ai diktat del governo centrale.
La paralisi politica che affligge l’Iraq dal momento in cui è stato liberato dalla dittatura di Saddam Hussein nel 2003, dura ormai da 12 anni, e all’orizzonte non c’è alcuna ipotesi che consenta al paese di poter governare in modo efficace sui territori a nord di Bagdad, sottoposti al controllo degli islamisti sunniti e dei curdi.
Una possibile soluzione - a mio parere, l’unica - per i gruppi etnici perseguitati in Iraq, che potrebbe porre fine alla sofferenza di tutte le minoranze non musulmane, consiste nel creare un’entità politica in un’area dell’Iraq del Nord, in cui tutte le minoranze possono trasferirsi per essere protette da una forza internazionale. Chiamo questa zona “Mesopotamia”, l’antico nome dato dai Greci per l’area tra il Tigri e l'Eufrate.
Molte domande possono sorgere in seguito alla creazione della “Mesopotamia”. Ecco un elenco parziale:
*quali saranno i suoi confini e chi li deciderà?
*Sarà indipendente dall’Iraq o sarà semplicemente una regione autonoma come quella dei curdi?
*Quale sarà la sua posizione giuridica in ambito internazionale? C
*he tipo di governo avrà?
*Avrà un esercito?
*Che tipo di relazioni intende avere con la regione curda a nord e la regione sciita a sud?
*Quale sarà la base della sua economia?
*Chi ne garantirà la sicurezza?
A mio avviso, le risposte a queste domande devono essere decise in una conferenza che dovrebbe aver luogo presso le Nazioni Unite e che comprenda rappresentanti di tutti i gruppi di cui sopra insieme con rappresentanti di Europa, Stati Uniti, Turchia, Iran, Iraq e qualsiasi altro Paese interessato a fondare “Mesopotamia”.
Discussioni lunghe e complesse affronteranno punti di vista diametralmente opposti. Iraq, Turchia e Iran saranno contrari a questo progetto, perché istituire “Mesopotamia” significa continuare la dissoluzione dell'Iraq, con un possibile effetto domino su Iran e Turchia, le cui minoranze potrebbero decidere di adottare la stessa linea.
Non si può eludere un confronto tra la situazione attuale delle minoranze irachene e quella degli ebrei un centinaio di anni fa, quando fu proclamata la Dichiarazione Balfour. La disintegrazione dell'Iraq è simile al crollo dell'Impero Ottomano, mentre la persecuzione delle minoranze non islamiche in Iraq corrisponde a ciò che gli ebrei hanno sofferto durante i 2000 anni di esilio.
La soluzione per gli ebrei fu uno Stato indipendente nella loro patria storica, la stessa soluzione può aiutare i popoli perseguitati dell'Iraq sulle loro terre di origine, esattamente come sono finalmente riusciti a fare i curdi. Si tratta di una combinazione tra giustizia storica e moderna soluzione dei problemi.
Questa settimana a Gerusalemme ho incontrato Giuliana Taimoorazi, una donna cristiana la cui origine etnica è siriaca. Ha fondato un'organizzazione chiamata “The Iraqi Christian Relief Council” ( Consiglio di aiuto per i cristiani iracheni) , il cui compito è quello di offrire un aiuto umanitario.
Le idee espresse in quest’articolo sono state discusse con lei, e si è deciso di provare a portarle nelle sedi internazionali. L'istituzione della Mesopotamia è urgente in seguito all’avanzata islamista in Siria di Jebhat al Nusra e dello Stato Islamico, che sono prossimi ad affermare le regole estremiste della Sharia sulle rovine della Siria.
E’ possibile che i cristiani e gli altri gruppi cercheranno rifugio in una zona più sicura, forse nella zona cuscinetto che la Turchia prevede di creare nel nord della Siria, o nella troppo a lungo attesa “Mesopotamia”.
Su questo temal mondo deve prendere decisioni immediate, per affrontare le catastrofi che colpiscono il Medio Oriente e quelle che stanno per verificarsi nel prossimo futuro. Ogni ritardo nel trovare una soluzione fa aumentare il numero di uomini, donne, bambini che saranno assassinati, feriti, o che tenteranno di raggiungere l'Europa su fragili zattere, oppure saranno venduti come schiavi e costretti ad abbracciare l'Islam, unendosi alle milizie criminali di ISIS.
Più tempo ci vorrà per decidere un piano, tanto più difficile sarà portarlo a compimento e più alto sarà il prezzo pagato. In Medio Oriente come altrove, se un problema non viene affrontato subito, diventa di dimensioni non più affrontabili.
E’ indispensabile che il mondo crei al più presto “Mesopotamia”, come rifugio per le minoranze perseguitate!
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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