(Traduzione di Angelo Pezzana)
John Kerry
Apparentemente instancabile, il Segretario di Stato è di nuovo in giro. E’ arrivato in Medio Oriente nel tentativo di riappacificare l’America con gli alleati arabi, convincendoli che l’Accordo di Vienna impedirà all’Iran di avere armi nucleari negli anni a venire; nella lotta al terrorismo Kerry impegna l’aiuto americano . Nella sua visita al Cairo e in Qatar, ha fatto del suo meglio per abbassare il rincrescimento e la rabbia dei suoi ospiti sulle negoziazioni segrete che Washington ha tenuto con Teheran negli anni 2013-2015.
Di fatto, abbandonando i propri partner tradizionali nella regione, l’America ha rafforzato fortemente il loro nemico giurato: l’Iran sciita, che apertamente sta cercando di eliminarli per costruire sulle loro rovine un regime sciita estremista. Il doppio gioco di Washington fu evidente nel 2013, quando vennero rivelati I dettagli dei colloqui segreti tenuti in Oman. L’Arabia Saudita, per quasi un secolo fedele alleato dell’America, accusò il colpo del tradimento. Come fece Israele, minacciata quotidianamente di distruzione dagli ayatollah. Benchè l’Egitto non fosse in prima fila nella coalizione dei paesi pragmatici contro l’invasione iraniana, il Presidente Sisi aveva dichiarato ripetutamente che la sicurezza degli Stati del Golfo era essenziale per quella del proprio paese. Non aiutò certo, dopo la caduta di Morsi, che la Casa Bianca rifiutasse di accettare la cacciata di uno che definiva “ un presidente eletto democraticamente” e rafforzasse i legami con Turchia e Qatar, i principali sostenitori dei Fratelli Musulmani, che facevano tutto il possibile per rovesciare Sisi e mettere a rischio la stabilità dell’Egitto. Infatti, durante l’Operazione “ Scudo Protettivo”, Washington si era schierata per una mediazione Qatar-Turchia, inaccettabile da Israele, contro quella offerta dall’Egitto.
John Kerry con Javad Zarif: c'è poco da ridere
Per dimostrare il proprio malcontento, l’America sospese nel 2013 gran parte dell’assistenza militare al Cairo, incluse le esercitazioni militari bilaterali, in vigore sin dalla pace con Israele. Questo, in un momento di crisi economica e con l’organizzazione terroristica Ansar Beit el Makdesswas che intensificava gli attentati in Sinai e in tutto l’Egitto. Invano il presidente egiziano si rivolse alla controparte americana per aiuti: Obama era più interessato alle violazioni dei diritti umani. Eppure Sisi, seguendo pienamente le orme di Sadat, aveva con decisione scelto il campo occidentale.
Qualcuno a Washington aveva dimenticato che l’Egitto era l’unico stato arabo ad essere esistito in confini da sempre uguali a quelli attuali; che con 90 milioni di abitanti era il paese arabo più grande; che era di enorme importanza strategica per l’America, anche perché, tra l’altro, il Canale di Suez è indispensabile per il passaggio delle navi e lo spazio aereo egiziano per le forze aeree americane. Davvero qualcuno – e con intenzione- ha dimenticato che durante la seconda Guerra del Golfo la Turchia ha chiuso il proprio spazio aereo, mentre l’Egitto l’ha aperto agli aerei della coalizione.
Senza alternative, Sisi si è rivolto alla Russia, concludendo un importante acquisto di armi e altri accordi economici. Dopo Mosca ha iniziato una collaborazione economica con la Cina, mentre dalla Francia ha acquistato aerei Rafale e Cobra a condizioni vantaggiose. Tutto questo però non è sufficiente, l’Egitto ha un bisogno disperato degli aiuti militari ed economici dell’America. Ma Obama ha aperto una voragine nei rapporti tra America ed Egitto, Arabia Saudita e Stati del Golfo, che si sentono minacciati dai continui tentativi di aggressione da parte di Teheran. In più si è reso nemico del mondo sunnita che rappresenta l’85% di tutti i musulmani, apparendo favorevole al tentativo dell’Iran sciita di volerli dominare.
E’ vero che i musulmani sunniti sono divisi: il Fratelli Musulmani combattono contro l’Egitto; l’auto-proclamatosi Stato Islamico combatte in Iraq e Siria contro sunniti e sciiti mentre attacca l’Egitto nel Sinai, e si potrebbe continuare.. Eppure tutti i paesi sunniti sono uniti nel respingere l’Accordo di Vienna, che permette all’Iran di arricchire l’uranio e di sviluppare il programma dei missili a lunga gittata. Di fronte al pericolo di un Iran nucleare, Arabia Saudita, Egitto e gli Stati del Golfo si apprestano a diventare anch’essi nucleari. Un aspetto terrificante nella regione più pericolosa del mondo, con la possibilità che queste armi nucleari possano finire nelle mani di una delle organizzazioni terroristiche sul territorio. E poi il nuovo status dell’Iran, oggi accolto dalle nazioni del mondo pronte a fare affari con un paese determinato a sviluppare il programma previsto dall’ayatollah Khomeini: impadronirsi dell’intero Medio Oriente. Il giro di Kerry per ricucire lo strappo otterrà l’effetto desiderato? Ristabilirà fiducia e dialogo con il suo paese?
Non è probabile che avvenga con Arabia Saudita e Stati del Golfo. Forse con l’Egitto. Al Cairo ha detto al Presidente Sisi e al Ministro degli Esteri Sameh Shoukri che il rapporto strategico tra i due paesi verrà ristabilito. L’assistenza militare essendo già stata ripresa in parte nel mese di marzo. In più la scorsa settimana Washington ha consegnato 8 aerei F16, come era previsto. Kerry si è poi complimentato con il presidente egiziano per gli sforzi compiuti nello sviluppo dell’economia, promettendo una crescita nella collaborazione in vari campi, così come l’aiuto nella guerra contro il terrorismo islamico. Secondo fonti di informazione dal Cairo, sembra che abbia persino ammesso la partecipazione dei Fratelli Musulmani negli attacchi terroristici.
Se è vero, è stata sicuramente musica per le orecchie egiziane. Il 3 agosto, in Qatar, si è incontrato con i ministri degli esteri degli Stati del Golfo e dell’Arabia Saudita, da notare con interesse anche l’incontro che avrà con il Ministro degli Esteri russo Lavrov. Si sforzerà di dire a tutti che il mondo sarà un posto migliore dove vivere perché l’Iran non avrà la bomba. Ripeterà il nuovo mantra iraniano: i conflitti in Medio Oriente possono essere risolti con la diplomazia, non con la guerra. In altre parole, riconoscendo l’influenza dell’Iran in Siria, Iraq, Libano e Yemen. Nessuno gli crederà, emetteranno educati colpi di tosse, accetteranno le sue offerte di aiuto nella loro guerra contro l’Iran che alimenta il terrorismo e intanto cominceranno a valutare tutte le opzioni possibili.
Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. I suoi editoriali escono sul Jerusalem Post. Collabora con Informazione Corretta