'a.C.' e 'd.C.': le radici teologiche del nostro calendario 24/07/2015
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Confesso che a leggere il pezzo di Volli sul legame indissolubile del popolo ebraico con la sua storia e le sue tradizioni mi è venuta una sorta di sana invidia. Il paragone con quanto avviene oggi in Italia e creo anche in Europa è a dir poco sconfortante, considerati l'ignoranza abissale e la rimozione di qualsiasi riferimento al proprio passato che oggi caratterizza la società italiana e anche quella europea. Così va il mondo, conviene farsene una ragione. Per finire, se mi è consentito, un piccolo consiglio a Ugo Volli: quando parla di eventi del passato, non si senta sminuito nella sua identità ebraica se dovesse usare il riferimento temporale "a.C" o "d.C". anziché l'espressione più ambigua "della nostra era". Non sarebbe, a mio avviso, per nulla disdicevole.

Alessandro Bortolami

Gentile lettore, la ringrazio per le buone parole che mi dedica e anche per aver sollevato nelle ultime righe una questione di cui non si parla, ma che giudico importante. E' vero, lo ammetto, quando scrivo cerco se posso di evitare le espressioni "D.C" e A.C." nelle date. La ragione è semplice: "A.C." significa "ante Cristo", "D.C" significa "dopo Cristo" e "Cristo" non è il cognome di un maestro ebreo che probabilmente era chiamato dai suoi interlocutori "Jushua ben Joseph", ma costituisce una designazione teologica che è alla base del Cristianesimo (come rivela il nome stesso); è cioè la traduzione greca della parola "mashiach", cioè unto (termine che veniva applicato sistematicamente ai Re di Israele e ai Grandi Sacerdoti, che subivano un rito di consacrazione con l'olio, di cui resta traccia anche nel cristianesimo attuale con l' "estrema unzione" dei morenti. Nel processo di formazione del Cristianesimo, che fu piuttosto lungo e complesso, l'espressione "Cristo" e anche "Messia" passò a significare tutt'altro: non una condizione di particolare sacralità della persona del tutto umana chiamata a svolgere un incarico molto importante, ed eventualmente il nuovo re di Israele che nelle credenze di alcuni avrebbe liberato il popolo dall'oppressione romana e riportato la pace e l'indipendenza, ma il "Figlio di Dio". In seguito anche nell'ebraismo alla figura del Messia (o dei due messia successivi che certe tradizioni prevedono) sarebbe stata assegnata una funzione più grande, di risanamento generale del mondo, ma mai essa sarebbe stata divinizzata. Bene, da ebreo io non credo che 2015 anni fa sia avvenuta l'incarnazione del "Figlio di Dio" che sarebbe diventato il "Messia". Per riprendere il discosro sulla memoria che lei loda, in un ambiente prevalentemente cristiano come il nostro continente, sono rimasti ebrei quei discendenti del mio popolo che fra l'altro hanno rifiutato questo dogma basilare del cristianesimo, cioè che Gesù fosse "Cristo". A lungo questa "perfidia" (cioè nel latino ecclesiastico un po' barbaro, questa mancanza di fede) fu ragione di odio e di persecuzione, cosa che io non dimentico. Non vedo perché dovrei impiegare un'espressione che presuppone una fede che io e i miei antenati abbiamo rifiutato a caro prezzo. Badi che io non pretendo né che lei o chiunque altro smetta di dire "a.C." e "d.C", né che usiate la data ebraica 5775, né che ci inventiamo un sistema di datazione neutro, privo di riferimenti religiosi. Mi rendo conto che un sistema comune è comodo per tutti e capisco benissimo che dove la grande maggioranza appartiene a una tradizione, le appare normale seguirla e porla come standard. Non sono uno di quelli che vorrebbero proibire alberi di Natale (la cui origine è pagana, peraltro) o presepi, non mi sento chiamato in causa quando alle cerimonie solenni delle lauree honoris causa della mia lacissima università pubblica, si legge la data in latino "ab incarnatione Domini". Ma avendo rispetto anche professionale dei simboli e del linguaggio, mi astengo dall'usare espressioni in cui non credo, se solo posso evitarlo. Credo che sia un mio diritto, ma anche un atto di rispetto per i cristiani veri, che immagino non vogliano (e comunque secondo me non dovrebbero volere) che la loro fede centrale diventi una vuota formula impiegata senza crederci come un'etichetta vuota. Insomma, la prego di non offendersi se continerò a scrivere "Era comune", "nostra era" ecc., non per evitare di sentirmi sminuito, ma per mantenere anche in questo la memoria e l'onestà intellettuale. Cordialmente,

Ugo Volli