A destra: l'Europa diventa Eurabia
Cari amici,
ieri ho cercato di parlarvi del perché culturale della resa di Obama agli ayatollah, così estesa e profonda da obbligarlo a difendere... l'Iran da Israele (http://www.truthrevolt.org/news/nuke-deal-could-allow-us-protect-iran-israel). E' un'analisi che andrebbe approfondita ed estesa ma che si sintetizza nel paradosso per cui l'Occidente, vincitore della lunga guerra novecentesca contro nazifascismo e comunismo (che sono varianti dello stesso modello totalitario), dopo la vittoria ne ha assunto paradossalmente i valori, tanto che, lo ripeto, abbiamo un presidente Usa antiamericano e un papa comunista (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=280&id=58865). La responsabilità principale di questa situazione è degli intellettuali e degli educatori della mia generazione, quella intorno alla settantina e della precedente. “Impegnati” secondo lo slogan di Sartre “per la pace” e “contro il colonialismo”, cioè per instaurare una dittatura più o meno islamista in Algeria e per estendere il dominio comunista sull'intero Vietnam e su tutta l'Indocina (con il risultato di produrre un esodo di massa, i “boat people” che fuggivano dal regime comunista imposto con le armi, e soprattutto le stragi di massa in Cambogia e altrove), questi intellettuali orfani di Stalin non hanno mai ammesso i danni che hanno fatto e i crimini di cui sono stati complici in questi paesi.
Hanno continuato a sostenere che la colpa fosse tutta dell'Occidente, non hanno voluto vedere la natura intrinsecamente criminale del comunismo. Dopo la sua caduta sono ripiegati sull'islamismo, visto come solo possibile nemico del loro grande nemico, la civiltà occidentale e certe volte giocando a fare gli anarchici puri e duri come Chomsky, altre volte utilizzando spregiudicatamente la tradizione intellettuale che portò o partecipò al nazismo (Nietzsche, Heidegger, Schmitt ecc.), altre ancora masticando un po' di sociologia “critica” hanno costruito un sistema culturale dominante nelle università di tutto il mondo, che ha formato la classe politica e gli opinion makers i quali a loro volta determinano le grandi scelte politiche come l'accordo con l'Iran, interagendo con un'autoindulgenza intellettuale (o se volete con un “cretinismo di massa” che ha reso l'opinione pubblica prive di difese. E' un meccanismo già descritto da Allen Bloom negli anni Ottanta: http://www.amazon.it/chiusura-americana-misfatti-dellistruzione-contemporanea/dp/8871807987) e i cui effetti sono chiari oggi, quando la generazione degli allievi di quei “maestri”: gli Obama, i Tsipras, le Mogherini, i Varoufakis, gli Iglesias, anche i Civati e i Fassina e le Kienge, nel loro piccolo. Per non parlare di quel che succede nel piccolo mondo ebraico dove personaggi più o meno analfabeti in materia si permettono di dare lezioni a Israele... di etica ebraica, naturalmente in direzione del suo gentile suicidio (http://www.lintraprendente.it/2015/07/quegli-ebrei-che-odiano-israele/).
Al di là dell'Iran e di Israele, il caso più tipico è quello degli immigrati clandestini. L'ottanta per cento non ha i requisiti per chiedere l'asilo politico. In Africa ci sono delle zone di guerra, spesso alimentate dall'islamismo (Nigeria, Libia, Sudan), ma la maggior parte dei clandestini non viene di lì. Cercano una sistemazione migliore, anche perché sanno che i governi europei provvederanno a mantenerli, come fa il nostro. Le politiche di “accoglienza” ormai non sono un rimedio ai mali dell'immigrazione, innanzitutto la perdita di vite umane, ma la loro causa. La maggior parte dei clandestini viene non per fuggire da qualcosa ma per arrivare a qualcos'altro, essenzialmente al nostro welfare, o meglio ancora a quello nordico. Questa è la grande differenza con la fuga degli ebrei dall'Europa nazista. Non stanno sfuggendo al genocidio. E non stanno neppure andando ad alimentare un mercato del lavoro che ha bisogno di manodopera, come gli emigranti italiani fra il 1880 e il 1960 (peraltro legali, non clandestini). Non cercano lavoro, sanno che ce n'è molto poco. Cercano assistenzialismo. E fra loro non mancano quelli che sono inviati da organizzazioni terroristiche. Naturalmente con questa accoglienza non si risolve il problema della povertà. Se domani ci prendessimo in casa sessanta milioni di immigrati, uno per ogni cittadino italiano, la povertà dell'Africa e del mondo arabo non sarebbe diminuita, per una semplice questione di dimensioni; in cambio l'Italia non ci sarebbe più. I paesi che sono entrati nella via del benessere, India e Cina innanzitutto, non hanno mandato in giro clandestini; hanno creato al loro interno le condizioni economiche e politiche perché vi fosse lavoro e progresso. Può piacere o meno il metodo, per esempio la dittatura cinese è certamente spietata e intollerante; ma è chiaro che per crescere bisogna creare lavoro, non espellere (a caro prezzo) popolazione giovane che potrebbe essere utile ed economicamente attiva.
Dato che la dimensione dell'immigrazione è tale da modificare le condizioni di vita in molti luoghi che non hanno scelto democraticamente di esercitare l'accoglienza, ma si sono visti imporre una specie di invasione, gli abitanti protestano. E i politici e i giornalisti e certi prelati e certi autonominati intellettuali danno loro dei razzisti. Alzano il ditino e li minacciano di scomuniche e punizioni varie. Ma il fatto è che non esiste un dovere né morale né giuridico di accettare l'immigrazione in questa forma. La cosa pubblica, dal più piccolo comune all'intero paese, è del pubblico, del gruppo umano che l'ha costruita e la custodisce; perché bisognerebbe lasciarla in uso a una popolazione culturalmente del tutto estranea, che la vuole subito trasformare sulla sua misura? Non si tratta solo di cose, ma di relazioni, di modi di vivere. Pensiamo alle donne: il dibattito si è molto concentrato sul velo, sul diritto di portarlo o sull'oppressione che esso esercita sulle donne. Ma ancor più di questo conta la giutificazione che gli islamici danno del velo: esso servirebbe a sottrarre le donne all'aggressività maschile - e dunque legittima la violenza degli uomini sulle donne che non vi si nascondono dietro. Di fatto, buona parte degli stupri che avvengono nei paesi massicciamente investiti dall'immigrazione, come la Svezia (http://it.gatestoneinstitute.org/5224/svezia-stupri), ma ormai sempre più anche in Italia (http://www.corriere.it/cronache/15_luglio_18/ragazza-violentata-treno-livorno-pisa-arrestato-ventenne-c8c4b450-2d40-11e5-ab2f-03a10057a764.shtml), dipendono da questo meccanismo, diciamo così, interculturale.
E non esiste un diritto alla mobilità illimitata delle persone. Gli stati badano a chi vi entra, si occupano della durata del soggiorno, delle ragioni, dei progetti; cercano di attirare le persone che servono loro e di tenere alla larga quelle che non servono, possono provocare problemi o impoverire la popolazione. Ancor di più badano a chi ha un diritto illimitato di residenza e i diritti civili. Questo è fra l'altro il solo modo di far funzionare una democrazia. Senza sussidiarità, radicamento territoriale, solidarietà di persone che condividono non solo un'abitazione passeggera, ma un destino storico, la democrazia non regge. Vi è necessariamente una base nazionale e culturale comune in ogni democrazia funzionante. Ma i soloni del politicamente corretto non capiscono queste cose, anzi le aborrono. Chiamano “ospitalità” quello che una volta era l'internazionalismo, cioè la distruzione delle identità culturali e delle nazioni. Vogliono distruggere ogni “particolarismo”, ogni “nazionalismo”, ogni “sciovinismo”. O meglio, vogliono farlo coi nostri, con quelli delle nazioni europee (e di Israele). Lo sciovinismo islamico e terzomondista va invece benissimo. Che i cittadini europei si difendano dall'invasione islamica e Israele non si consegni immediatamente a una nuova Shoà lo considerano incomprensibile, peccaminoso, “razzista”. A chi vuol leggere una documentazione impressionante consiglio il libro di Finkielkraut sulla ”identità infelice” (http://www.ibs.it/code/9788823510326/finkielkraut-alain/identita-infelice.html). Non mi interessano tanto le sue tesi, quanto il riassunto che dà della ”oikofobia”, l'odio per la casa, che è l'equivalente europeo del Selbsthass ebraico. Eurabia, l'acquiescienza all'immigrazione e la simpatia per gli islamisti, l'accordo capestro con l'Iran e il comportamento arrogante e illegale contro Israele: tutto nasce da qui da un progressismo suicida che vuole concellare tutto intorno al suo fallimento e non sopporta di essere superato e disprezzato da chi pretenderebbe rappresentare.
Ugo Volli