La nebbia che produce la resa 19/07/2015
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Autore: Ugo Volli

La nebbia che produce la resa 
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

A destra: Barack Obama

Cari amici,

se seguite i problemi del Medio Oriente, come si vede dal fatto che state leggendo queste righe, avrete sentito parlare moltissimo dell'accordo Obama/Iran, e rischiate di esserne stufi. Sarebbe un errore, dato che si tratta dello sviluppo più importante nella politica internazionale almeno dal discorso di Obama al Cairo di sei anni fa. Era solo un discorso, un insieme di luoghi comuni del buonismo progressista filoislamico sulla grande civiltà portata nel mondo dagli eredi di Maometto, sulle terribili ingiustizie che hanno subito, sull'amore e sul rispetto che meritano, sul contributo fondamentale che possono portare alla pace del mondo. Emerite sciocchezze per lo più prive di qualunque rapporto con la realtà dei fatti, retorica di quart'ordine. Ma pronunciata dal Presidente degli Stati Uniti nella capitale culturale dell'Islam contemporaneo, esigendo la presenza all'evento, contro le leggi e la politica dell'Egitto, lo stato ospite dello show, degli avanzi di galera terroristi della Fratellanza Musulmana che poi vi avrebbero preso il potere, quel discorso ha prodotto centinaia di migliaia di morti, milioni di esiliati, centinaia di città e migliaia antichissime opere d'arte distrutte: una catastrofe paragonabile a una grande guerra. Figuratevi adesso, che non c'è stato un discorso ma un vero e proprio trattato, che in sostanza permette all'Iran di stare alla soglia dell'armamento nucleare, gli restituisce circa 250 miliardi di Euro delle vecchie sanzioni (pensate che la Grecia ha ottenuto dopo infinite pene e problemi meno di un quarto di quella cifra per uscire dal fallimento assicurato) e in sostanza gli assicura l'alleanza e l'appoggio americano anche contro il sabotaggio israeliano dell'armamento atomico, mentre l'Iran è libero di dichiarare ufficialmente che dopo l'accordo la sua politica antisraeliana... e antiamericana non cambia affatto (http://www.jpost.com/Middle-East/Khamenei-Deal-or-no-deal-Iran-wont-stop-opposing-US-supporting-people-of-Palestine-409374).


L'Occidente: "Anche se non sono d'accordo con quello che dici, difenderò fino alla morte il tuo diritto a..."
L'islam radicale: "Morte? Ok!"

 Dunque bisogna continuare a occuparsene. Ci sono due punti che vorrei aggiungere alle tante considerazioni svolte finora. La prima è in realtà una domanda: perché? Perché Obama ha fatto un accordo così evidentemente contrario gli interessi dell'America, perché non solo nemici storici come la Russia e la Cina, ma anche gli europei che saranno i primi minacciati dal riarmo atomico iraniano gli sono andati dietro? La risposta più comune è che dopo tutti i suoi fallimenti, Obama aveva bisogno di un successo, di un'eredità da lasciare, di un segno forte nella politica internazionale. Ma questa non è una risposta. Perché proprio questo accordo, invece di quello “transatlantico”, che avrebbe realizzato una sorta di mercato comune fra Europa e Usa, in apparenza assai più facile, ma lasciato andare a picco? O perché non la sistemazione della situazione in Estremo Oriente, dove l'aggressività cinese costituisce un pericolo strategico notevole?

La seconda spiegazione che si dà spesso da parte di commentatori non simpatizzanti nei confronti di Obama, me compreso, è di alludere in maniera più o meno chiara alla famiglia e alla formazione islamica del presidente e di qualificare la sua azione come una scelta consapevole contro gli interessi del suo paese. Insomma un tradimento. Francamente, sono cose che ho pensato anch'io più di una volta. Ma non è una spiegazione sufficiente. Perché il presidente degli Stati Uniti ha un immenso potere, ma la politica non è mai fatta da una persona sola. Gli americani lo hanno eletto (errare umanum), ma poi anche rieletto quando erano chiare le sue linee d'azione (perseverare diabolicum). Hanno eletto un sindaco di New York ancora più a sinistra e dato spazio a un Partito Democratico che sostanzialmente la pensa allo stesso modo, e che infatti non si è ribellato alla resa presidenziale non solo di fronte all'Iran, ma nel piccolo anche di fronte a un regime che continua a essere dittatoriale e repressivo come quello di Castro a Cuba. E' vero che le elezioni intermedie dell'anno scorso sono state vinte clamorosamente dall'opposizione repubblicana, ma i pronostici nella prossima gara presidenziale danno in testa l'ex ministro degli esteri di Obama, Hillary Clinton, che è stata coinvolta negli inizi segreti della trattativa con l'Iran e ha avuto un ruolo molto ambiguo nella vicenda libica. E poi, sia pure con qualche riserva, Obama ha avuto dietro gli europei, che già hanno l'influenza islamista in casa. In questa storia c'entriamo anche noi italiani, perché il “ministro degli esteri europeo” Mogherini non ha affatto svolto un ruolo di moderazione nella corsa all'accordo, anzi.

A me sembra abbastanza evidente che c'è sotto un problema di cultura politica, e forse non solo politica. Il mondo occidentale ha esportato dappertutto la sua tecnologia, i suoi modelli di vita, la sua pop culture. Ha realizzato così - magari anche senza volerlo, per la forza delle cose - un'opera immensa di civilizzazione e di miglioramento delle condizioni di vita della popolazione mondiale. E' il capitalismo occidentale a togliere dalla miseria le immense popolazioni cinesi, indiane, brasiliane ecc. - anche dove ancora il potere politico è dominio di caste che si definiscono comuniste. E' la medicina occidentale a prolungare in maniera mai immaginata la vita in tutto il mondo; è la nostra elettronica a rompere l'isolamento atavico, i nostri metodi agricoli a sfamare i miliardi di esseri umani che abitano la Terra. Da mezzo secolo l'Europa ha abbandonato le ultime colonie (e le popolazioni locali non hanno smesso però di ammazzarsi fra di loro, come hanno sempre fatto).

Progressivamente però si è sviluppato un senso di colpa collettivo, come se non il bene del mondo ma il suo male fosse responsabilità nostra. Il comunismo e il fascismo, minacce gemelle alla democrazia liberale occidentale, sono state sconfitte e hanno dimostrato quanto fossero false utopie dannose, oppressive, inumane. E però hanno lasciato l'odio per il liberalismo e il liberismo, per il mercato e le elezioni ai movimenti e personaggi più diversi (da Syriza al Papa, da Podemos ai neofascisti ungheresi, dai grillini a una certa élite intellettuale americana che domina le università), che ormai da tempo domina l'opinione pubblica occidentale. Avendo vinto, diciamo per KO tecnico, per esaurimento interno e palese inferiorità il comunismo, l'Occidente è tentato di riproporre le ricette che avevano portato alla distruzione del nemico: dirigismo e volontarismo politico, terzomondismo, internazionalismo, pianificazione burocratica, assistenzialismo parassitario, odio per chi inventa e realizza, pauperismo irresponsabile. E dall'antica tattica comunista, rinnovata dai nostri terroristi degli anni di piombo, questi comunisti hanno ripreso anche l'alleanza con i reazionari clericofascisti del terzo mondo, innanzitutto con l'Islam. Qualunque cosa va bene, qualunque orrore, purché sia contro il mercato, contro la libertà, contro noi stessi e la nostra tradizione culturale.

E' una volontà di suicidio, un odio di sé, in cui ancora una volta, purtroppo, il mondo ebraico è stato all'avanguardia. L'Occidente non vende la corda a coloro che vogliono impiccarlo, come diceva Lenin: la regala. L'individualismo etico dominante nella nostra società, giusto o sbagliato che sia, per cui pretendiamo di decidere da soli sulla vita e sulla morte, sulla famiglia e sul corpo, sui limiti dei piaceri e dei legami, è logicamente all'opposto rispetto al potere dello Stato della tradizione socialista e all'ideologia religiosa dell'islamismo. E' evidente che se vincessero loro il grande carnevale del desiderio individuale che è ormai la regola pratica principale delle nostre società sarebbe immediatamente distrutto. Ma non importa, si vuole la botte piena e la moglie ubriaca, la libertà dell'Occidente e la sua distruzione per mano dell'islamizzazione e della statalizzazione neofascista o neocomunista (che, lo ripeto ancora, in sostanza sono lo stesso).

E' di questo contraddittorio impasto, di questo ballo del Titanic che si nutrono atti suicidi come l'accordo con l'Iran. L'America non è disposta a fare più sacrifici per mantenere l'egemonia e l'ordine sul teatro geopolitico più importante del mondo, l'Europa non si sogna di sostituirla. Entrambe si sentono in colpa per averlo fatto. Pensano che avrebbero dovuto lasciare mano libera ai Saddam, ai Nasser, agli Arafat, come hanno fatto in parte coi Khomeini e del tutto oggi coi loro eredi. Dispiace loro di aver fatto la guerra a Hitler e di aver contenuto Stalin. Cercano di tornare a casa per dedicarsi ai fatti propri, come se fosse possibile essere lasciati in pace dalla storia. Per questo vorrebbero cancellare le tensioni e i conflitti cedendo tutto ai propri nemici. Come se questi si accontentassero e diventassero amici per aver ottenuto quel che volevano, senza esserne incoraggiati ad andare avanti. Pensano che i conflitti non si risolvano vincendoli, ma perdendoli, arrendendosi, mettendo la testa sotto la sabbia. E odiano quelli che non lo fanno, come Israele.

Questa ideologia, questa psicologia di massa contraddittoria e suicida è lo sfondo non solo di questo accordo, ma del nostro tempo. Come tutti i movimenti collettivi è in buona parte inconsapevole e presenta naturalmente numerose eccezioni, controspinte, punti di resistenza. Ma la frana del suicidio dell'Occidente è in moto, come nel quarto e quinto secolo lo era quella dell'impero romano. Bisogna cercare di resistervi, non solo difendendo chi si difende dalla barbarie montante, come Israele, ma anche cercando di dissolvere la nebbia fitta dei luoghi comuni che viene diffusa dai media, dalle autorità religiose e politiche, dalla mediocrità intellettuale dominante.


Ugo Volli


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