Il tempo migliore della nostra vita
Antonio Scurati
Bompiani euro 18
''Noi che viviamo in questo tempo qui, proprio noi siamo l'avvenire facile e lieto in cui Natalia Ginzburg aveva avuto fede e che l'aveva amaramente illusa. Per quanto deludenti, indegni, siamo noi quell'avvenire'' scrive Antonio Scurati alla fine del suo ultimo libro che racconta gli anni del fascismo, della violenza, della guerra, ma anche della fiducia nel futuro, nella resistenza, nella Liberazione. Lo fa raccontandoci l'esistenza breve di chi seppe dire ''no'', non scendere a compromessi sino a pagare con la vita, prigioniero dei nazifascisti nella Roma occupata: Leone Ginzburg, ma anche attraverso la vita quotidiana di alcune persone comuni, i suoi nonni, suo padre sua madre, attraverso i quali lega la propria esistenza a quegli anni. Se quegli anni e quegli avvenimenti e quelle persone, sono la radice da cui è nato il nostro oggi democratico e repubblicano, di libertà e benessere, che sta vivendo un momento di grave crisi morale, di poca coscienza dei valori, che si lega a una terribile crisi economica, allora dobbiamo interrogarci su chi siamo e cosa vogliamo.
Ed è questo il senso di ''il tempo migliore della nostra vita'', che per la Ginzburg era quello del confino, della momento della speranza che le cose sarebbero cambiate, vivendo accanto ai suoi figli e suo marito Leone. Non ha ancora 25 anni, siamo all'inizio del 1934, quando Leone Ginzburg dice il suo primo e definitivo ''No'', rinunciando a una promettente carriera universitaria pur di non giurare fedeltà al regime fascista allora trionfante. Su circa 1300 docenti, lo fecero solo in 13 e lui fu il più giovane, l'unico non ancora in cattedra, eppure considerato uno degli uomini migliori della sua generazione da maestri e coetanei, da Benedetto Croce come dai suoi compagni di scuola (Norberto Bobbio, Massimo Mila ecc.) che lo definiscono ''la testa forte del gruppo''.
Quello stesso anno viene arrestato per aver cercato di riorganizzare Giustizia e Libertà, dopo aver incontrato Carlo Rosselli e Gaetano Salvemini a Parigi. Come condannato per motivi politici e, dopo le leggi razziali, anche come ebreo, lavora senza poter comparire col proprio nome e è alla testa di Pavese e Giulio Einaudi nel fondare e dirigere la Casa Editrice Einaudi, che continuerà a guidare, dal 1940 al '43, anche dal confino in un paesino dell'Abruzzo, dove anche traduce e introduce ''Guerra e pace''. Dopo l'8 settembre si trasferisce a Roma e vi dà vita al giornale clandestino Italia libera sino all'ultimo arresto, da parte della polizia nazista. La grandezza di Leone Ginzburg è certamente nella forza e chiarezza delle sue scelte, ma anche per come tutte queste si rapportino sempre alla sua vita quotidiana di intellettuale e studioso, di compagno e padre di famiglia, di uomo non d'azione e spirito elevatissimo che, massacrato di botte e sentendo arrivare la fine, invita il compagno di prigionia Sandro Pertini a non prendersela dopo la guerra con tutti i tedeschi, che non tutti erano stati hitleriani. Ma la forza del libro di Scurati, racconto storico eppure dall'andamento e la sostanza romanzesca, e dai toni più controllati e meno iperbolici di altre sue narrazioni, pur evitando di inventare alcunché, è nell'alternarsi di capitolo in capitolo di questa vita esemplare con la vita dei suoi nonni, i contadini e poi operai Scurati e i poveri napoletani dei vicoli di Napoli Ferrieri, della famiglia materna, che con Ginzburg condividono gli stessi anni drammatici, le difficoltà di vivere, e le cui esistenze ordinarie, fatte di fatiche e sogni senza eroismi, non sono meno ricche e significative anche nella prospettiva dell'Italia che verrà dopo la Liberazione.
Cosa che risulta chiara dall'ultima parte del libro, sul dopoguerra, che arriva sino al capitoletto intitolato ''Io'', dando prospettiva e profondità, senso a tutto quel che è stato raccontato prima.
(ANSA)