A destra: Saeb Erekat
Cari amici,
se è vero, come vi ho scritto ieri, che Saeb Erekat è quanto di più vicino vi possa essere nel sistema politico palestinista, dominato dal principio del rais o boss indiscusso, come tutto il mondo arabo, all'erede designato di Abbas, ottantenne dalla salute malferma, è ovvio che sia importante considerare il suo programma. Non che in generale i capataz arabi si ritengano legati al loro programma, sia perché questo implica un primato dell'opinione pubblica che in quel mondo non vale, sia perché nel Corano stesso è accettato il principio dell'imbroglio o dissimulazione politica (taquiya) e Maometto non mancò di violare appena gli fece comodo non solo la “costituzione” di Medina relativamente garantista che aveva proclamato, massacrando le tribù ebraiche cui aveva promesso pace, ma anche il trattato di tregua che aveva stretto con gli avversari della Mecca. Ma proprio perché Erekat si sta giocando una partita sulla successione di Abbas, vale la pena di guardare quel che dice per assicurarsela. Ora è accaduto che una ventina di giorni fa, il 18 giugno, il negoziatore capo dell'Autorità Palestinese ha diffuso uno “studio” abbastanza consistente (una sessantina di pagine, a quanto pare) per le prospettive future del suo movimento (http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4670135,00.html). Il testo è in arabo, ovviamente, non sono riuscito a trovarne traduzione in lingue occidentali, ma solo dei riassunti, per esempio qui: http://unitedwithisrael.org/erekat-plo-should-retract-recognition-of-israel-as-jewish-state/ e qui: http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/196968#.VZtqOPntmkp.
Il punto iniziale è che l'Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina, l'organizzazione “madre” dell'Autorità Palestinese, il centro indiscusso del mondo palestinista), secondo Erekat, dovrebbe ritirare il riconoscimento dello stato di Israele, dato che Israele non riconosce lo “stato di Palestina”. Non è un bell'inizio, non solo perché nel merito significa come vedremo, un'accentuazione del conflitto, ma perché implica una falsificazione implicita della storia (dello stesso stile per cui i palestinisti, seguiti in questo da mezzo mondo, parlano della Giudea e Samaria non come territori contesi, il cui futuro dev'essere deciso da un accordo e il cui status in assenza di questo è ancora regolato dal solo atto internazionale efficace che li abbia regolati, cioè il mandato britannico di Palestina stabilito dalla Società delle Nazioni). Infatti a Oslo lo scambio non fu affatto fra riconoscimento da parte dell'OLP dello Stato di Israele e riconoscimento da parte di Israele di uno “Stato di Palestina”. Di quest'ultima entità gli accordi non parlano affatto, menzionano solo un' ”autonomia palestinese”. Del resto è noto, anche se la sinistra israeliana spesso cerca di nasconderlo, che Rabin, il quale volle e firmò quegli accordi, fosse risolutamente contrario a uno stato palestinese. L'accordo era in termini completamente diversi: l'Olp riconosceva lo Stato di Israele (e quindi doveva cessare di cercarne la distruzione e rivendicarne il territorio, come invece fa ancora oggi) e Israele riconosceva l'Olp come “solo rappresentante del popolo palestinese”, rinunciando con questo a quella politica di accordi separati con le tribù arabe presenti sul territorio di Giudea e Samaria, che probabilmente sarebbe stata più conveniente per tutti.
Andiamo avanti. Ecco gli altri punti del programma di Erekat, come li sintetizza l'analista israeliano colonnello Jonathan Dahoah-Halevi in un articolo che contiene ampi brani della proposta di Erekat: http://www.israelnationalnews.com/Articles/Article.aspx/17181#.VZtmWfntmkr:
- Annullare il riconoscimento di Israele da parte dell'Olp
- Una campagna diplomatica per reclutare il sostegno internazionale per costringere un ritiro di Israele ai confini del 1967
- Insistere sul "diritto al ritorno" dei "profughi" palestinesi con i loro discendenti
- Rifiuto di proposte per una soluzione temporanea o parziale con Israele
- Una battaglia legale contro Israele nell'arena internazionale volta a vincolare la capacità di Israele di difendersi contro il terrorismo palestinese
- Cooperazione strategica con Hamas e la Jihad islamica integrandole nelle istituzioni dell'OLP
- Far partire una "pacifica lotta popolare" totale contro Israele (questa è la definizione data dalla leadership palestinese degli attacchi terroristici locali).
Come si vede non vi sono novità, se non nel senso dell'irrigidimento e della continuazione della politica tentata negli ultimi anni da Abbas. In particolare va sottolineata la continuazione della guerra legale e diplomatica, del tentativo di accordo con i terroristi espliciti del campo palestinista (Hamas e Jihad), l'appoggio che è già in corso, ma che diventerebbe ufficiale, al “terrorismo a bassa intensità degli accoltellamenti e degli investimenti di ebrei con automobili, e magari anche gli agguati con armi da fuoco che si sono avuti nell'ultimo periodo. Restano escluse le armi caratteristiche del terrorismo del 2000-2003, le cinture esplosive e gli attentati nei locali pubblici, che potrebbero costringere gli occidentali a prendere atto che la lotta dei palestinisti è in sostanza la stessa dello Stato Islamico. E poi nessuna flessibilità negoziale su temi che prima sembravano già possibili oggetti di compromesso, come Gerusalemme, i “blocchi di insediamenti”, la pretesa di milioni di arabi che si dicono nipoti e pronipoti di “esuli” al “ritorno” in Israele.
Questi sono i “partner di pace” che l'Occidente vorrebbe imporre a Israele. Vedremo come andrà a finire, ma bisogna già registrare una certa resipiscenza da parte del governo francese a proporre al consiglio di sicurezza dell'Onu la mozione filopalestinese che aveva presentato nei giorni scorsi: una risoluzione che non piace ovviamente a Israele, ma che scontenta anche i palestinesi perché non accorda loro tutto subito, come vorrebbero. Vedremo presto come evolve anche questa storia. Anche perché il lancio di questa mozione doveva avvenire dopo l'accordo con l'Iran, per non dare all'opinione pubblica americana il senso di una pressione eccessiva su Israele. E oggi è il 7 luglio, data di scadenza del rinvio rispetto al 30 giugno, che era stato un rinvio rispetto al 31 marzo, che era stato un rinvio rispetto a... insomma del quarto o quinto penultimatum autoimposto nelle trattative con l'Iran, e non si vedono segni di conclusione. Non vorrei essere troppo ottimista, ma forse anche questa volta il disastro di una resa agli ayatollah è rimandato. Vedremo di quanto.
Ugo Volli