La dieta kasher
AA.VV.
A cura di Rossella Tercatin
Prefazione Giorgio Mortara
Giuntina
Nei giorni della più importante liturgia giudaica, quella della Pasqua (Pesach, quest’anno dal 4 all’11), la lettura del libro La dieta kasher, storia, regole e benefici dell’alimentazione ebraica (La Giuntina) introduce alla comprensione dei testi sacri del popolo eletto, dalla Torà al Talmud, e dell’intero corpus di regole che da essi deriva. E rende più suggestivi i rituali: erbe amare, agnello e pane azzimo sulla tavola imbandita, recitando l’«Haggadah», omelia rabbinica pasquale.
L’opera enumera, esplora e spiega le norme sull’alimentazione kasher, ovvero sul cibo idoneo a essere consumato dagli ebrei. E racconta origini ed evoluzioni del pensiero della Terra d’Israele. Tutto parte da un concetto fondamentale: ciò che mangiamo influenza profondamente la nostra natura morale. Il filosofo, rabbino e medico spagnolo Mosè Maimonide (XII secolo), conoscitore di Ippocrate e della medicina islamica, disserta di igiene e salute, cibo e bevande, conciliando il pensiero aristotelico con la Torà. Parla di meditazione e psicosomatica.
Quantità e qualità del cibo, attività fisica e regolare espulsione delle scorie i punti fondamentali della sua scienza medica. Che, insieme, alle altre prescrizioni bibliche, sono rimati invariati nei secoli: oggi le procedure, le ispezioni sulle filiere e le certificazioni dei prodotti fanno della kasherizzazione uno stile alimentare sano e affidabile, adatto anche ai vegani, ai vegetariani e a chi soffre di intolleranze.
In America è un boom: su 6 milioni di ebrei, i consumatori kasher sono più del doppio. Le Comunità Ebraiche Italiane sono impegnate in un progetto per la certificazione Kasher dei prodotti Made in Italy. I testi raccolti nel libro, a cura di Rossella Tercatin, con il contributo dell’Associazione medica ebraica (la prefazione è del Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni), affrontano temi cruciali. La proibizione in natura di incroci e castrazioni, il divieto di causare dolore agli animali: si ricorre alla Shechità, la macellazione rituale su ovini, bovini e caprini. O le contaminazioni culturali provocate dalla diaspora, da cui sono nate le forme ibride di cucina: quella ebraico libano-siriana, la spagnola, la turca, la marocchina, la polacca, l’italiana.
Come spiegare, infine, le differenze tra ricette ashkenazite, dell’Est europeo, e quelle sefardite, provenienti dalla penisola iberica (e quindi tra kòsher, nella pronuncia ashkenazita, e kashèr)? La questione è identitaria: le divide il mar Mediterraneo
Donata Marrazzo - Il Sole 24 Ore