Manifestazione antisemita in un campus americano
Sono in molti a ritenere che gli Stati Uniti, dove risiede il più gran numero di ebrei nel mondo all’infuori di Israele, siano un luogo completamente ospitale e privo di rischi per i membri delle comunità ebraiche e per chi si identifica nelle ragioni del sionismo: non è mai stato del tutto vero, e non lo è oggi. E se non possiamo fare a meno di notare che nei più recenti sondaggi l’opinione pubblica americana, al contrario del suo Presidente e del suo entourage, è comunque nettamente schierata a favore di Israele e delle sue politiche di lotta al terrorismo, non possiamo nemmeno permetterci di chiudere gli occhi di fronte all’altra faccia dell’America, quell’America che forse incoraggiata dal “nuovo corso” obamiano non teme più di mostrarsi apertamente antisemita e di far ricorso alla violenza per veicolare i suoi messaggi d'odio.
No, non è mia intenzione parlarvi di qualche gruppo di fanatici neonazisti del Midwest suprematisti della razza bianca. La novità che preoccupa, e che è sempre più osservata e monitorata da numerosi enti ebraici americani e israeliani, è che l’antisemitismo negli USA non è più appannaggio di gruppi di immigrati arabi, di sette religiose di derivazione cristiana e di gang metropolitane di neonazisti, ed è nettamente in crescita tra i giovani americani di età compresa tra i quattordici e i venticinque anni, vale a dire gli studenti.
Una fascia d’età che generalmente è esclusa dai sondaggi, nonostante rappresenti di fatto il futuro più prossimo dell’opinione pubblica di quella che è ancora la più importante superpotenza democratica. L’antisemitismo ha insomma trovato il suo terreno fertile nelle scuole superiori, nei college e nei campus universitari della più grande democrazia nel mondo. E chi pensa che la responsabilità di ciò sia da imputare all’efficenza e all’abilità di alcuni gruppi di attivisti e docenti propalestinesi presenti in queste realtà deve sapere che è vero solo in parte, e che rischia di invertire l’effetto con la causa.
Sono 406, secondo l’osservatorio di volontari nato per monitorare negli USA l’antisemitismo nel mondo dell’istruzione, l’AMCHA (http://www.amchainitiative.org), le università e i college che in qualche forma hanno aderito al boicottaggio di Israele, per iniziativa di alcuni docenti o delle associazioni e delle confraternite studentesche. Davvero troppe realtà per poter continuare a illudersi che almeno una parte di queste non abbia aderito al movimento BDS in maniera spontanea, ma unicamente perché sedotta dalla propaganda dei professionisti dell’antisemitismo. Sempre secondo l’AMCHA, sono 10 le università e i college che sono stati negli ultimi 60 giorni citati sulla stampa statunitense per gravi episodi di antisemitismo, tra cui spiccano nomi noti come l’Università di Stanford e l’Università di San Francisco.
Gli episodi vanno dalla comparsa di svastiche e slogan anti-israeliani sui muri dei campus a vere e proprie aggressioni ai danni di studenti ebrei. È alla luce di questo quadro la decisione dell’Agenzia Ebraica di aumentare del 30% il numero dei suoi emissari all’interno dei college e dei campus statunitensi con una presenza ebraica, al fine di monitorare il fenomeno e fornire assistenza alle vittime di queste aggressioni.
È sempre più chiaro a molti, infatti, che la battaglia iniziata dai fiancheggiatori del terrorismo palestinese nelle università americane per ottenere l’egemonia culturale sulla narrazione del conflitto in corso tra israeliani e arabi palestinesi rischia di cambiare per sempre la percezione che i cittadini statunitensi hanno di Israele, fino a poter irrimediabilmente raffreddare e guastare rapporti fino all’elezione di Obama basati sul reciproco rispetto e sull’amicizia. Uno scenario inquietante, che è nell’interesse comune di Israele, degli Stati Uniti e di tutti coloro che nel mondo hanno a cuore la difesa della democrazia e delle libertà che non si verifichi.
Dario Sanchez