Benvenuta l'Islamofobia e le sue conseguenze
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
Di quel che è accaduto l'altro ieri, dell'attentato di Lione e di quello della Tunisia, della morte atroce di persone innocenti e non coinvolte in nessuna attività politica, ci stiamo già dimenticando. I giornali ormai non ne parlano quasi più, i responsabili politici ci dicono di non drammatizzare e di stare calmi, soprattutto di non cercare una ragione politica per questi assassini e di non provare a pensare come potremmo difendercene.
Molto, molto meglio occuparci dell'ondata di caldo che sta arrivando, dell'ultima schermaglia dei partiti in disfacimento o magari di questioni che riguardano problemi seri sì ma incruenti come la regolamentazione del matrimonio o le assunzioni dei precari della scuola.
E però, se solo si ha il coraggio di guardare i fatti con gli occhi aperti, bisogna ammettere che siamo in mezzo a un'ondata terrorista lunga e complessa che investe massicciamente il mondo occidentale da quindici anni circa.
Ignorarla non è certo servito a farla sparire.
Il punto di partenza di questi grandi fenomeni storici è sempre impreciso, ma l'ovvia data di inizio è l'attentato che distrusse le Twin Towers di New York l'undici settembre del 2001. Da allora si sono succeduti gli attacchi di Madrid, della metropolitana di Londra, di Burgas in Bulgaria, di Tolosa, Bruxelles e Parigi, della maratona di Boston, di Copenhagen, e tanti altri per parlare solo di quelli nel territorio metropolitano dell'Occidente.
Altri hanno avuto oggetto i turisti, come l'ultimo attentato in Tunisia e quello recente al Museo Bardo di Tunisi, o qualche anno fa di Bali. Vi sono stati rapimenti e uccisioni di altre persone disarmate, che noi consideriamo di solito esenti dai conflitti politici e militari: giornalisti, religiosi, cooperanti, operai di società straniere. Il terrorismo si è esteso largamente nell'Africa subshariana, dal Kenia alla Nigeria. È continuata con nuovo vigore l'ininterrotta offensiva terroristica contro la popolazione civile israeliana, iniziata ben prima: accoltellamenti e spari, bombe molotov e rapimenti, razzi sulle città e investimenti volontari di pedoni.
E vi è stata naturalmente la grande carneficina delle popolazioni arabe successiva alla cosiddetta Primavera. Nessuno che io sappia ha fatto i conti per bene, ma i morti in Siria, Iraq, Yemen, Libia, Egitto, Tunisia negli ultimi anni di guerra civile sono almeno mezzo milione, in buona parte per responsabilità di chi sei anni fa fece la scommessa di rovesciare regimi militari certamente oppressivi, violenti e tendenzialmente nemici dell'Occidente, ma in certa misura acquietati dal potere, per sostituirli non con le esili minoranze liberali ma con gli islamisti, illudendosi di farseli così amici , vale a dire Barak Obama.
Parte di questi morti erano combattenti caduti negli scontri, ma la grande maggioranza erano civili, spesso donne e bambini, vittime di un terrorismo generalizzato e rivolto anche contro la propria popolazione civile, con motivazioni talvolta politico-militari ma spesso soprattutto atrocemente "religiose". Tutte queste vittima,tutto questo sangue tutto questo dolore, ha una cosa in comune: l'autore. Sono state tutte realizzate da musulmani per lo più in contesti in cui l'Islam era esplicitamente la posta in gioco.
È una semplice verità che non si può negare, se si guardano i semplici fatti. L'enorme maggioranza degli episodi di violenza e di terrorismo nel nostro tempo ha per soggetti, talvolta anche per oggetti, i musulmani.
Senza l'Islam ci sarebbero certamente ancora conflitti e oppressioni, il problema dell'Ucraina e quello del Tibet, le dittature sudamericane e quelle africane.
Ma il tasso di violenza bestiale, insensata, diretta contro la popolazione civile, sarebbe infinitamente minore. Ed è dunque all'Islam che deve guardare ogni tentativo di contenimento, se non di soluzione di questa terribile ondata di violenza.
Conosco le obiezioni. Cose del genere le ha fatto anche l'Europa fino a qualche secolo fa, o più realisticamente fino alla Shoah, fra qualche secolo si calmeranno anche loro . Vero, anche in Europa si sono commesse stragi terribili, anche gli europei sono stati schiavisti e genocidi, con un livello di crudeltà talvolta quasi paragonabile ai loro contemporanei musulmani. Ma, con la rilevante eccezione della Shoà, hanno finito da tempo di farlo. E qui non si tratta di stabilire i buoni e i cattivi in senso metafisico bensì di trovare il modo di non farsi travolgere dal terrorismo. Ora, non nel 2415.
Altra obiezione: l'Islam non è uno, sono tanti che si combattono fra di loro: sciiti e sunniti, terroristi e conservatori, arabi e altre etnie. Vero, se non che il terrorismo è alimentato da quasi tutti, con poche apprezzabili eccezioni. Gli sciiti iraniani e libanesi sono colpevoli delle stragi antisemite di Burgas e di Buenos Aires come i loro nemici sunniti dell'11 settembre e delle ultime carneficine in Europa.
Basta che i nemici siano occidentali o ancor meglio ebrei e su questo non vi sono dissensi fra loro.
Altra obiezione: non bisogna parlare di scontro di civiltà, perché così si dà una mano a quelli che lo vogliono (non si capisce se da noi o da loro). Peccato che la frittata sia già stata fatta da tempo e non per colpa nostra. Elencare gli episodi di scontro fra mondo musulmano e Occidente richiederebbe un'enciclopedia, non una cartolina. Ma dichiarare solennemente che le uova sono intere non cambia certo la natura della frittata.
Ultima obiezione e più violenta di tutte: quest'analisi è razzista, islamofoba, reazionaria. Non è vero. L'Islam non è una razza, e neppure solo una religione. E' una regola di vita, un'ideologia che obbliga i propri membri attivi a un progetto di conquista del mondo e di distruzione delle “menzogne” che lo contraddicono (non solo le altre religioni, ma anche la modernità laica e lo spirito scientifico).
Dire che opporsi all'islam è razzismo è come dare del razzista antigermanico a chi è antinazista o del sarmatofobo (timoroso dei russi) a chi è stato anticomunista ai tempi dell'Urss. Essere islamofobi, cioè avere timore di un'ideologia aggressiva, bellicista e schiavista, che si propaga oggi con la guerra e gli attentati, è solo questione di buon senso.
Vale la pena al contrario di interrogarsi sulla lucidità e l'onestà intellettuale di chi oggi non è islamofobo (forse perché a suo tempo non era anticomunista o non antinazista - magari il solito amore per la servitù degli intellettuali). Infine, dire reazionario a chi si oppone alla subordinazione della donna, alle mutilazioni dei ladri alle lapidazioni delle adultere, all'impiccagione degli omosessuali, alla schiavizzazione delle altre religioni, al rifiuto della modernità e della scienza - be' è un esempio classico di come l'ideologia rovesci il senso delle parole. Insomma, bisogna far qualcosa per opporsi a questa offensiva.
La prima cosa è prenderne atto e non rimuoverla. La seconda non farsi invadere senza colpo ferire, come fanno già gli immigrati clandestini, a colpi di decine di migliaia. A parte i terroristi infiltrati, la strategia “pacifica” si è già vista in Gran Bretagna, Belgio, Svezia ecc.: stabilire delle enclaves musulmane “Sharia zones”, difenderle, espanderle, conquistare la maggioranza su pezzi di territorio, costruire un classico dualismo di poteri. Poi ci penseranno i benevoli esponenti della sinistra a cedere loro il potere, come nel romanzo “Soumission”; o magari si invocherà l'aiuto degli stati stranieri interessati, magari nel frattempo forniti di missili e armamento atomico, grazie al gentile aiuto di Obama e dell'Unione Europea.
La terza cosa, la più difficile, è capire che questa invasione va bloccata militarmente, come l'Europa ha dovuto fare molte volte, da Poitiers alla Reconquista spagnola, dall'assedio di Vienna a Lepanto. Non è facile, non è neanche simpatico. Ma una cosa è chiara nella storia: se un popolo, una nazione, una civiltà non difende la propria libertà e identità, non sopravvive a lungo.
Ugo Volli