Per sconfiggere il nemico dovrà passare una generazione ? 19/06/2015
Autore: Manfred Gerstenfeld
 Per sconfiggere il nemico dovrà passare una generazione ?
Analisi di Manfred Gerstenfeld

(Traduzione di Angelo Pezzana)

Il generale americano John Allen, che è stato a capo della coalizione che sta combattendo il terrorismo musulmano, ha dichiarato che per sconfiggere lo Stato Islamico (Isis) occorrerà più di una generazione. In altre parole, prevede che non sarà possibile sradicarlo in un prossimo futuro dai territori che ha conquistato.
Se questo però avverrà, la guerra si trasformerà da militare in lotta contro un movimento terrorista. Allen ha poi aggiunto che se lo Stato Islamico non verrà sconfitto ne andrà di mezzo l’ordine mondiale. E’ curioso che nessuno abbia avanzato previsioni simili, tanto più che quest’anno il Presidente Obama ha chiesto al Congresso di approvare interventi militari per la durata di tre anni.

Le osservazioni del generale Allen, realistiche o meno, sono utili per capire l’importanza che va data al possesso del territorio da parte dello Stato Islamico nell’arco dei prossimi vent’anni. Avrà conseguenze significative per il mondo musulmano, l’Occidente, la Russia e molti altri paesi. Anche se in modo indiretto, anche Israele e gli ebrei si troveranno coinvolti a livello globale quali possibili obiettivi di attacchi da parte dell’Isis.

Per quanto concerne il mondo musulmano, le primavere arabe hanno inserito Libia, Yemen e Siria nella lista dei paesi in dissoluzione, un elenco in crescita; Iraq e forse altri paesi colpiti dallo Stato Islamico potranno aggiungersi.
Isis è un movimento estremista sunnita, che si oppone – escludendo qualunque compromesso- con l’islam sciita. Più Isis dura, più grande è la minaccia per gli sciiti. Il che significa che alla fine lo Stato Islamico dovrà confrontarsi con l’Iran, il paese sciita più importante, che in questo secolo è stato il più forte istigatore del terrorismo, senza incontrare alcuna reazione militare. Più lo Stato Islamico si rafforza, più cercherà, in ogni modo possibile, di sfidare l’Iran. Dato che l’Isis combatte anche gli Emirati sunniti del Golfo, la stabilità di questi paesi verrà messa a dura prova. Lo stesso vale per l’Egitto.

Le minacce contro l’Occidente sono di varia natura. Il problema più importante è la dipendenza dell’Europa dal petrolio arabo. L’instabilità dei paesi produttori di petrolio, come Iraq e Libia, era stata affrontata finora senza grandi difficoltà. L’instabilità dell’Arabia Saudita e di altri fornitori mediorientali potrebbe creare grandi problemi. La carenza delle forniture di energia elettrica aumenterà il livello di un pericolo già esistente, per cui le prossime generazioni in Occidente si troveranno in gravi difficoltà. Una seconda ripercussione sarà per l’Occidente una possibile crescita del terrorismo.

Nel secolo passato, gli atti di terrorismo messi in atto da musulmani avevano spesso origini non europee. Un esempio è stato l’attacco criminale contro il ristorante Goldenberg a Parigi nel 1982. A un livello enormemente più grande la strage delle Torri Gemelle compiuta da sauditi a New York l’11 settembre 2001.
In questo secolo, invece, gli atti terroristi commessi da musulmani hanno cambiato pelle, essendo molti degli attentatori residenti in Europa.
Come in parte è successo nella strage di Madrid del 2004 e come sicuramente è avvenuto nell’attacco di Londra del 2005, l’uccisione dei soldati francesi e degli ebrei da parte di Mohamed Merah nel 2012, le vittime della sparatoria davanti al Museo ebraico di Bruxelles nel 2014, e le stragi di quest’anno a Parigi e Copenhagen. Lo stesso si può dire della Maratona di Boston del 2013, dove l’attacco è stato compiuto da musulmani residenti in Usa.

Finora gli appelli dello Stato Islamico di portare gli attacchi nei paesi di residenza dei miliziani non aveva dato particolari risultati. C’è, è vero, molto timore di atti terroristici da parte di jihadisti che ritornano da Siria e Iraq, ma finora gli atti concreti sono limitati. E' probabile quindi che lo Stato Islamico operi uno spostamento,reclutarndo i terroristi fra i miliziani stranieri. E’possibile che vengano mandati in Europa mischiati ai rifugiati che si imbarcano in Libia o fra i contrabbandieri attraversi i Balcani. Di jihadisti stranieri ne sono sicuramente arrivati, ma finora non hanno ancora causato incidenti gravi Se analizziamo decenni di terrorismo legato all’attività dell’Isis, è probabile che ci saranno attacchi da parte di terroristi travestiti da profughi.

Questa terrorismo jihadista porterà con sé una crescita degli stereotipi su tutti i musulmani. La loro massiccia immigrazione e i conseguenti problemi sociali, inclusa la mancata integrazione, ha provocato la nascita e la successiva crescita di partiti nazionalisti anti-islam in molti paesi. In Olanda, con il Partito della Libertà di Geert Wilders, i Democratici in Svezia, e, soprattutto il Fronte Nazionale in Francia. Il terrorismo musulmano non solo aumenterà la popolarità di questi partiti, ma influenzerà anche le posizioni delle altre forze politiche, che per non perdere voti rafforzeranno le proprie posizioni sull’islam.

Che impatto avrà sugli ebrei che vivono nella diaspora ? le previsioni sono negative. Dopo gli atti di terrorismo, seguono gli attacchi agli ebrei, come nel caso di Merah, Charlie Hebdo e l’attacco a Copenhagen. In questo imprevedibile e complesso futuro, cosa può fare un piccolo paese come Israele ? Intanto può migliorare tutte le strutture di intelligence ed essere molto flessibile in politica.
Le minacce sono evidenti. Israele può trovarsi ai propri confini con Isis e altre organizzazioni terroriste.
Ci sono però anche opportunità. Nessun altro paese ha accumulato così tanta esperienza come Israele nel combattere con successo i terroristi musulmani di tutti i tipi. Questo know-how è a disposizione e cresce a vista d’occhio, anche se per ora non viene molto reclamizzato, ma in futuro dovrebbe esserlo, anche per migliorare l’immagine di Israele di fronte all’Occidente.

Una seconda opportunità puà esserci in Israele se usa il sentimento anti-Isis diffuso in Occidente per mettere in evidenza come il movimento che raccoglie la maggioranza dei palestinesi, Hamas, non è differente dall’Isis.
Israele non ha fatto molto in questo campo, ma, nel medesimo tempo, le risposte dell’Occidente possono diventare più interessanti in un prossimo futuro.

Una terza opportunità per Israele potrebbe essere quella di un cambio di alleanze in Medio Oriente. Alcuni stati arabi potrebbero considerare quanto l’odio che promuovono contro Israele possa essere meno utile di una comune alleanza contro l’Isis, che nel frattempo è diventato una vera e reale minaccia per molti stati arabi. Un recente sondaggio ha rivelato che l’Arabia Saudita considera l’Iran come il pericolo più grande, sguito dall’Isis, mentre Israele viene solo al terzo posto.

Sono tutte ipotesi difficili. Gli esperti, però, hanno bisogno di un punto di partenza nel prevedere il futuro. Se lo Stato Islamico durerà davvero per una generazione o più, allora siamo solo all’inizio di questo ciclo. Anche se solo alcune di queste ipotesi sono accurate, possono però tutte essere d’aiuto al futuro di Israele per sviluppare strategie di successo.


Manfred Gerstenfeld è stato presidente per 12 anni del Consiglio di Amministrazione del Jerusalem Center for Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta. E' appena uscito il suo nuovo libro "The war of a million cuts" (in inglese). E' una analisi di come ebrei e Israele sono delegittimati e come farvi fronte.