(Traduzione di Angelo Pezzana)
L'articolo è stato pubblicato sul Jerusalem Post alla pagina http://www.jpost.com/Middle-East/Analysis-Forgotten-facts-and-distorted-hist
ory-of-the-Mideast-404325
Gesù palestinese: si rinnova l'accusa antisemita di deicidio rivolta agli ebrei
Il Medio Oriente è in fiamme, ma la comunità internazionale si aggrappa ancora alla teoria che se nascesse uno stato palestinese si avrebbe la pace in questa regione; peggio ancora, Israele e Israele soltanto viene ritenuto colpevole per questo mancato lieto fine. Dopo tutto, è molto più facile esercitare pressioni sul solo Stato ebraico – anche perché è una democrazia – piuttosto che sui 22 stati arabi tutti musulmani, una religione, l’islam, che è una diretta minaccia all’Occidente e all’Europa.
Ci chiediamo egualmente se l’Unione Europea e gli Stati Uniti, ad esempio, sono consapevoli della causa principale del problema e delle conseguenze terribili se venisse creato oggi uno stato palestinese. Durante i secoli della dominazione ottomana, tribù arabe, cristiani dalle varie denominazioni, ebrei e curdi, hanno popolato quello che è oggi il Medio Oriente, un vasto impero suddiviso in varie amministrazioni, nessuna delle quali portava il nome di Palestina.
Con la sconfitta dell’Impero Ottomano nella 1° guerra mondiale, Francia e Inghilterra imposero un nuovo ordine, dividendosi cordialmente ma arbitrariamente il controllo di quei territori. Vennero così create la Siria (dalla quale venne poi separato il Libano, un fatto giudicato molto negativamente ancora oggi da Damasco), Iraq e Palestina. Una delle ragioni per cui la Palestina non venne inclusa né in Siria né in Iraq fu la Dichiarazione Balfour, con la quale la Gran Bretagna si impegnava a costruire un focolare ebraico (Jewish National Home).
La Palestina mandataria avrebbe dovuto dare origine a due stati, uno arabo (la Giordania) e uno ebraico (Israele)
La Lega delle Nazioni diede la sua benedizione a queste nuove entità e le affidò a Francia e Gran Bretagna affinché le conducessero verso l’indipendenza. Fu così che gli arabi che vivevano nella Palestina mandataria vennero separati dai loro parenti e tribù che vivevano in Siria e Iraq. Meno di quattro anni dopo, la Gran Bretagna prese però una decisione di grande importanza, fondare un altro stato, Transgiordania, su tutto il territorio a est del fiume Giordano, pressappoco i 4/5 della Palestina mandataria. Gli arabi che vivevano in quello che rimaneva della Palestina mandataria volevano riunirsi con i loro fratelli in Siria, Transgiordania e Iraq con il proposito di fondare un nuovo Califfato, dove le minoranze – cristiani ed ebrei – sarebbero ritornati ad essere, ancora una volta, cittadini di serie B.
Rifiutarono così la creazione di uno Stato ebraico. Non vollero, in quel momento, neppure un loro stato, come avrebbero già potuto avere negli anni ’30 e nel 1948. Uno stato che sarebbe potuto sorgere nel West Bank con Gerusalemme in qualunque momento fra il 1949 e il 1967, quando quei territori erano sotto il dominio giordano. Non se ne fece nulla. Al posto crearono l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina - OLP - nel 1964, il cui statuto diceva “La Palestina con i suoi confini esistenti al tempo del Mandato britannico è parte integrale di tutta le regione”. Una chiara volontà di distruggere Israele.
I nuovi e artificiali paesi sorti dal defunto Impero Ottomano cercarono invano una stabilità economica e politica. In tutti, le tensioni etniche e tribali portarono a guerre civili e rivoluzioni, impedendo che nascesse un senso nazionale e quindi una vera unità. Spronato dalle conseguenze del controllo americano dell’Iraq e dopo dalla falsa speranza della cosiddetta ‘primavera araba’, l’islam estremista è cresciuto sotto la guida del Fratelli Musulmani, diffondendosi in Tunisia, Libia, Egitto e Siria. Nello stesso tempo l’Iran sciita ha cercato di prendere il controllo del Medio Oriente attraverso i suoi alleati, Hezbollah in Libano e le tribù Houthi in Yemen.
Nel frattempo, a seguito della guerra del sei giorni e la pace con l’Egitto, tra Israele e i vari leader palestinesi sono continuate le negoziazioni che però non hanno portato a nulla. E’ giunto il tempo per nuovi sforzi? Il Medio Oriente è sull’orlo del disastro. Iraq, Siria, Libia, Somalia e Yemen si stanno disgregando. L’Egitto sta affrontando violenze senza precedenti.
Quale potrebbe essere il destino di un nuovo stato, minuscolo e debole? Uno stato che potrebbe espandersi verso est del fiume Giordano, mentre nutre la speranza di distruggere Israele? Hamas e lo Stato Islamico, da parte loro, farebbero di tutto per impadronirsi del nuovo stato, gettando ancora più benzina sul fuoco. Paradossalmente, toccherebbe a Israele di intervenire… e che dire di Gaza? Sta preparando nuovamente un altro attacco mortale contro la popolazione civile israeliana? Questo non significa che una soluzione non possa essere trovata se la leadership palestinese si decidesse una volta per tutte a riconoscere a Israele il diritto di esistere in quanto Stato ebraico. Ma continuano fermamente a rifiutare di farlo, mentre promuovono incessantemente - anche se con poco successo - la loro versione distorta della storia che nega al popolo ebraico il diritto di vivere sulla terra di Israele.
Gli israeliani erano così convinti che nessuno avrebbe creduto a tali falsificazioni, per cui hanno reagito con lentezza e ora si trovano a dover fronteggiare un mondo dove i leader palestinesi possono definire palestinese Gesù, e un giornale rispettato come il francese Le Monde ha dedicato una intera pagina alla “celebrazione del primo Natale nella Betlemme liberata”, quando Israele riconobbe l’autonomia dei territori palestinesi.
Il Primo Ministro di Israele sa bene quanto sia pericolosa la creazione oggi di uno stato palestinese, ma deve tenere conto delle continue pressioni da parte delle Nazioni Unite, Unione Europea e Stati Uniti. Sa altrettanto bene che solo attraverso un seppure irrealistico accordo tra Giordania, palestinesi e Stato ebraico può essere trovata una soluzione, con il sostegno tacito o esplicito di Egitto e Arabia Saudita.
L’Occidente, sempre pronto a condannarlo, dovrebbe ora farsi un esame di coscienza. Invece di premere a dismisura solo e sempre su Israele, dovrebbe esercitare una considerevole influenza anche sull’altra parte. Fatti storici e ben documentati devono essere presentati sulla tavola dei negoziati. Israele ha detto molte volte di essere pronta a dolorosi compromessi per arrivare a una “pace giusta e durevole”. I palestinesi dal canto loro si preoccupano soltanto di demonizzare lo Stato ebraico, credendo che l’Occidente farà per loro quello che i loro compagni arabi non sono riusciti a fare in cinque guerre.
Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. I suoi editoriali escono sul Jerusalem Post. Collabora con Informazione Corretta