A destra: Papa Francesco con il dittatore palestinese "moderato", Abu Mazen
“La Santa Sede e lo Stato di Palestina hanno raggiunto un accordo diplomatico globale”, così riportano oggi tutti i giornali. In altri termini il Vaticano riconosce uno Stato che non c’è, mentre evita ancora, e da sempre, di pronunciare la parola Israele sostituendola in tutte le occasioni possibili con ‘Terra Santa’.
La notizia non deve stupire. Dal 1948, anno di fondazione dello Stato ebraico, la politica del Vaticano è sempre stata ostile, fino al punto da aspettare il 1993 per riconoscere ufficialmente Israele. 45 anni ! Una decisione che forse non sarebbe stata neppure presa, se il Vaticano non si fosse schierato in quell’anno a favore dell’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein, per trasformarlo in una provincia dell’Iraq. Il Vaticano si trovò isolato da tutto il mondo occidentale, anche da molti stati arabi che fecero invece parte della coalizione guidata dagli Usa.
La locandina pubblicitaria di un viaggio diocesano. Si parla di "Terra Santa", non di Israele. Inoltre compaiono luoghi cristiani (chiese) e islamici (moschee), ma non ebraici.
Una coalizione vittoriosa, che impose il ritiro alle truppe al dittatore iracheno. Il Vaticano, isolato anche all’Onu, capì che per rientrare a testa alta nel consesso delle nazioni, occorreva un gesto clamoroso, che ne ripulisse l’immagine, deturpata da quella alleanza con Saddam Hussein.
Fu in quella occasione che il Vaticano decise di riconoscere lo Stato di Israele, una scelta forse suggerita dalla stessa Casa Bianca, dove non si era ancora insediato Obama ma George Bush. Il Vaticano capì che aveva soltanto quella carta da giocare e la giocò. Da allora le relazioni tra di due Stati sono state tutto sommato sempre cordiali, grazie soprattutto all’atteggiamento comprensivo di Israele, impostato ad una politica realista, che non rimetteva in discussione quell’odio antico che aveva drammaticamente segnato il destino del popolo ebraico per duemila anni.
Il Vaticano non dimostrò gratitudine, deglutì il rospo del riconoscimento, ma continuò a dimostrarsi ostile in tutte le circostanze. Più con alcuni papi, pensiamo a Paolo VI, che dopo essere andato a Nazareth (in Terra Santa, non in Israele) evitò in una lettera inviata al presidente dello Stato ebraico di chiamarlo con il titolo che gli spettava, sostituendolo con un ‘signor’, e inviando la lettera a ‘Tel Aviv’ come unico indirizzo.
Paolo VI
Altra situazione, giudicata da qualunque altro Stato inaccettabile, ma che Israele continua pazientemente a sopportate, è la politica fanaticamente pro-araba della rappresentanza diplomatica vaticana in Israele. Gli esempi sono così quotidianamente numerosi da richiedere un dossier specifico per enumerarli tutti.
La scelta di ‘Terra Santa’ – al posto di Israele – è poi una prassi costante particolarmente odiosa, applicata in tutte le pubblicità dei viaggi diocesani, che scrivono nei loro programmi turistici “Terra Santa, Palestina, Giordania”, anche se poi l’aeroporto nel quale atterra l’aereo è a Tel Aviv, Nazareth è in Israele e Gerusalemme ne è la capitale. Ma questo è un particolare di poco conto, l’importante è la cancellazione ovunque sia possibile del nome di Israele.
2.000 anni di anti-giudaismo e 45 di ritardo nel riconoscere l’esistenza di Israele, lo riconosciamo, non si possono cancellare con qualche affermazione di cortesia/simpatia, manifestazioni che in genere non intaccano quell’antico odio profondo che – regolarmente - riaffiora nella politica vaticana. Dopo la Shoah è evidente come non ci si possa più impunemente dichiarare – almeno nei paesi democratici - apertamente antisemiti. Ecco allora il surrogato: Israele, Stato degli ebrei, che si presta egregiamente alla sostituzione. Con la scusa di attribuire a una popolazione, che popolo non è mai stato, uno Stato inventato alla bisogna, la strada scelta è la negazione della sovranità di un altro Stato, dalla tradizione millenaria, Israele.
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Come ha scritto ieri in queste pagine Ugo Volli “questa negazione della sovranità rimanda alla condizione degli ebrei nel passato. Sottomessi, dichiarati 'proprietà personale' del sovrano, fino naturalmente al pogrom che li ammazzava in massa, gli ebrei erano anche sottoposti all'inquisizione che doveva controllare che praticassero la fede ebraica come piaceva alla Chiesa (per esempio la Kabbala era malvista). La chiesa si riservava di decidere quali preghiere potessero dire (certe volte fu per esempio proibita la “'Amidà', preghiera principale della liturgia ebraica), quali libri si potessero studiare (il Talmud fu spesso bruciato), come dovessero essere i loro riti, le loro regole interne, i loro rabbini”.
I tempi sono cambiati, altre devono essere le azioni da compiere, affinché quell’odio antico possa manifestarsi senza essere subito riconosciuto. L’esistenza di Israele va combattuta con metodi e forme che possano essere recepite quali atti di giustizia. Ecco allora il tentativo di imporre confini indifendibili, Israele, come in passato, dovrà difendersi, per venire subito dopo accusato di essere guerrafondaio. Per indebolire la sua economia, si inventa il BDS, un boicottaggio che ne intaccherà le esportazioni (naturalmente imposto dall’Unione europea).
Adesso, dopo avere atteso che altri stati spianassero la strada, è arrivato anche dal Vaticano il sì al riconoscimento di uno Stato di Palestina, in una regione nella quale l’unico Stato nel quale arabi - musulmani o cristiani - vengono rispettati, hanno uguali diritti, il cui numero è in continua crescita, è Israele. In tutti gli altri vivono sotto dittature medievali, in preda a guerre civili, stragi e massacri sono quotidiani, ma nel nostro ipocrita e antisemita mondo occidentale a fare da battistrada è l’odio contro Israele. Spacciato in modo truffaldino con altri nomi. Si aggiunge ora all’elenco, ufficialmente, il Vaticano, che in fatto di odio antico ha più esperienza di tutti. Ne prendiamo atto.
Angelo Pezzana