Diario di viaggio: Un'invenzione geniale, una festa condivisa 03/05/2015
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Autore: Ugo Volli
 Diario di viaggio: Un'invenzione geniale, una festa condivisa
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

A destra: la cena di shabbat

Cari amici,

Fra le molte innovazioni che la società ebraica ha regalato al mondo a partire dall'antichità, la più popolare è certamente lo shabbat; e forse anche la più geniale. L'idea di un giorno alla settimana dedicato al riposo e alla vita spirituale e di famiglia è così diffusa oggi che la consideriamo scontata, anzi l'abbiamo raddoppiata e anglicizzata chiamandola week end. Ma ai tempi in cui gli ebrei iniziarono ad avere rapporti con l'Europa, quest'innovazione, estesa a tutti gli abitanti della terra, ebrei e gentili, uomini e donne, liberi e schiavi, perfino gli animali domestici, sembrava solo un segno della pigrizia giudaica, contro cui polemizzarono Tacito e Giovenale. Quando poi i cristiani diffusero gradualmente in tutto il mondo l'idea del giorno di riposo fisso, lo spostarono però alla domenica, per non confondersi coi “fratelli maggiori” che allora combattevano aspramente. Lo stesso fece Maometto anticipandolo a venerdì. Ma queste variazioni non implicano solo un cambio di data, comportano una trasformazione profonda, un cambiamento di senso.


Le strade di Gerusalemme di sabato: i mezzi pubblici non circolano

Infatti il sabato non è il week end del nostro consumismo e neppure la domenica cristiana, in cui c'è solo il riposo e la preghiera. Ha regole molto più rigide, che impediscono qualunque attività che possa essere assimilata a un lavoro, dall'accendere il fuoco (oggi anche un motore a scoppio o un dispositivo elettrico, che vi sono assimilati) e quindi dal cucinare allo spostare oggetti fuori casa. E insieme ha un contenuto molto più ricco, non dev'essere semplicemente un momento di svago, ma di crescita umana e spirituale, di rapporti familiari, di preghiera, di studio, di comunità. Dicono i mistici che il sabato ci regala “un'anima supplementare”, un arricchimento del senso e dell'identità.

Il risultato di questa differenza di data e di impegno e naturalmente anche della dispersione nella diaspora e dell'odio antisemita è che gli ebrei hanno spesso vissuto il loro sabato come un momento un po' segreto, che distingue chi lo pratica dalla maggioranza della popolazione e dunque va festeggiato senza farsi troppo notare. Ma il sabato vero è una celebrazione collettiva, di popolo, un'apertura anche a chi non si conosce. Il tempo sottratto agli impegni normali permette una maggiore cordialità, la festa dev'essere per sua natura gioiosa, nella tradizione vi è l'impegno a vestirsi e mangiare bene, a fare perfino un pasto in più per stare allegri. Si cantano assieme gli inni, si parla di argomenti religiosi ma non solo. Si condivide un momento alto della vita.

Tutto ciò in luoghi come l'Italia è assai volontaristico, richiede uno sforzo di volontà e di organizzazione. Vi sono altri luoghi in cui la densità ebraica è maggiore, come certe città in Francia o negli Stati Uniti, in cui è più facile incontrare il vero carattere dello shabbat. Ma è difficile assaporarlo oggi completamente, dopo che è sparita da molti decenni o secoli interi l'organizzazione chiusa e autosufficiente delle piccole comunità ebraiche storica, se non in Israele. Il sabato è qui la giornata di riposo civile comune per osservanti e laici, almeno nel settore ebraico della popolazione, in cui buona parte dei servizi è ridotta al minimo, i mezzi pubblici non circolano, vi sono villaggi e strade nelle città chiuse al traffico.

Ma è anche molto di più, un'esperienza condivisa, che inizia venerdì mattina con la spesa per il giorno di festa, prosegue nel tardo pomeriggio con l'affollarsi delle persone vestite nei diversi abiti tradizionali, o magari con la cravatta che qui si usa molto poco, o anche semplicemente come nel costume israeliano verso le sinagoghe per dire la preghiera della “Kabbalat Shabbat”, l'accoglienza del sabato. Al momento giusto una sirena avverte tutta la città che è iniziata ufficialmente la festa. Il traffico diminuisce drasticamente, la città si fa silenziosa, la gente si affretta verso le case dove è abitudine fare un pasto ricco e festoso in cui si unisce tutta la famiglia.

Proprio a queste cene sono ospiti per tradizione i partecipanti del viaggio in Israele di Informazione Corretta, che sono quasi tutti non ebrei. La quiete dello Shabbat, le facce allegre dei passanti, il silenzio del traffico sono il preludio a un momento di incontro in cui una dozzina di famiglie della comunità italiana di Gerusalemme li accoglie, spiega loro qualcosa della tradizione e del senso della festa, si racconta, parla con loro della propria situazione, delle ragioni del proprio arrivo in Israele, confronta sentimenti e opinioni, dà notizie, spiega. E' un momento fondamentale di incontro che contribuisce moltissimo al senso della visita.

Vorrei usare questa breve narrazione per ringraziare queste famiglie così ospitali e disponibili, che lasciano un segno profondo sui visitatori, come emerge dai loro racconti. Oltre al paese e alle sue realizzazioni, oltre ai monumenti della storia e alle bellezze della natura, passa così un'intuizione del senso umano, sociale e spirituale dell'ebraismo, com'è vissuto da famiglie che l'hanno seguito fino a qui. Un sabato di crescita e di esperienza anche per chi non aveva mai avuto contatto con la festa e sapeva poco del popolo che l'ha offerta al mondo.

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Ugo Volli


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