Diario di viaggio: La felicità e il Grande Gioco 02/05/2015
Cartolina da Eurabia, di Ugo Volli
Autore: Ugo Volli
 Diario di viaggio: La felicità e il Grande Gioco
Cartolina da Eurabia, di Ugo Volli

A destra: mappa del Medio Oriente

Oggi, 02/05/2015, non escono i quotidiani. Pubblichiamo, dunque, soltanto la Cartolina di Ugo Volli, mentre da domani riprenderemo l'usuale rassegna stampa.

Cari amici,

Mentre vi scrivo ormai è la vigilia di shabbat, Gerusalemme lentamente si svuota e si dedica alla festa, e anche il nostro viaggio si avvia alla conclusione. Vi racconterò domenica della giornata conclusiva, ma è arrivato il momento di trarre qualche conclusione da questo viaggio. Anche se fatto con persone molto competenti e con un carattere più di studio e di analisi che di puro turismo, anche se chi vi scrive si occupa da molti anni di questi problemi, è difficile fare diagnosi precise e soprattutto prognosi attraversando per una settimana un paese complesso come Israele. Vi riferisco delle impressioni parziali e provvisorie, non certo delle conoscenze scientifiche.

La prima impressione e la più forte è quella sullo stato estremamente vitale del paese. Dappertutto fervono costruzioni e si trovano novità. L'allargamento dell'autostrada che sale a Gerusalemme, insieme col treno ad alta velocità che porterà a Tel Aviv in meno di mezz'ora sono destinati a cambiare la geografia reale del paese: i lavori fervono e saranno completati fra due anni. Visitare le città una volta isolate e un po' depresse, da Tiberiade ad Arad a Beer Sheva è una sorpresa notevole: dappertutto nuove e grandi costruzioni, infrastrutture notevoli, buone architetture, una certa aria avveniristica che fa pensare a certe città americane piuttosto che alla vecchia Europa, per non parlare del Medio Oriente. Una recente classifica ha collocato Israele all'undicesimo posto su centosessanta paesi nella classifica della felicità dichiarata dai cittadini, subito sotto ai paesi scandinavi, all'Australia, alla Svizzera (l'Italia purtroppo è impantanata sotto la metà classifica) e se ci fosse un sorrisometro da applicare alle persone che abbiamo incontrato, senza dubbio la statistica sarebbe confermata o anche migliorata. Può sembrare normale, perché l'ebraismo è una tradizione ottimista e pacifica, poco ascetica e repressiva. Ma bisogna ricordare sempre che si tratta di un paese in guerra, con dei nemici accaniti alle porte, forse l'unico stato al mondo la cui esistenza stessa, non semplicemente dei confini, è violentemente combattuta da mezzo mondo, un paese che si cerca in tutti i modi dalla sua fondazione di trasformare in un paria fra gli stati, come lo sono stati gli ebrei in Europa e nei paesi musulmani per secoli e secoli.

Ma nonostante i boicottaggi, le minacce, i tentativi più o meno dichiarati di erodere le basi economiche e militari della sua esistenza, vive bene. I terroristi non sono riusciti a spaventare gli israeliani, non hanno saputo, per fortuna, ricostruire il clima di terrore di quindici anni fa: nonostante gli attacchi con le automobili alle stazioni della metropolitana leggera, il tram continua a essere usato; nonostante gli accoltellamenti la gente gira numerosa anche nella Città Vecchia e nelle zone vicine. Non si sente un clima di terrore, la fiducia non è intaccata. L'agricoltura, spesso realizzata nel deserto, riempie i mercati di una varietà di frutta e verdura bellissima, i vini sono fra i migliori del mondo, le città sono pulite, moderne, piene di parchi. L'economia è sana, non ha risentito della crisi e ha indici di crescita, di inflazione e di disoccupazione che l'Europa (ma anche Usa e Giappone) si sognano. Che ci sia felicità e prosperità lo dimostrano anche i risultati delle ultime elezioni, che la sinistra ha impostato sull'economia e il sociale, tentando di far passare l'immagine paurosa e assurda di una povertà dilagante, di una differenziazione sociale oppressiva. Dato che tutto ciò non è affatto vero, anche se ripreso a macchinetta dalla stampa israeliana, quasi tutta di opposizione, e da quella internazionale, il voto non è andato verso un rovesciamento delle politiche liberali che hanno arricchito l'economia israeliana negli ultimi trent'anni, ma per la loro continuazione, moderata da una maggiore attenzione al welfare.


Gli sciiti nel Medio Oriente islamico: in colore verde scuro i Paesi dove ne vivono di più (percentuale)

Una seconda impressione riguarda la collocazione esterna di Israele. Una delle fonti più importanti per questa nota è una interessantissima conferenza che ci ha fatto Maurizio Molinari. Senza riprendere dettagliatamente le sue analisi, il punto è che il Medio Oriente è in grande movimento, sono crollati gli schieramenti chiari, perfino Hamas (o meglio, la sua ala politica) ha iniziato dei contatti con Israele, c'è una quasi alleanza sul terreno con l'Egitto e con l'Arabia Saudita; il conflitto in Siria è estremamente frammentato. Il punto focale delle tensioni è oggi intorno all'Iran e ai suoi alleati più stretti, gli Hezbollah libanesi, che operano in Siria e in Iraq e costituiscono oggi una serissima minaccia per Israele. Una nuova guerra potrebbe facilmente nascere qui, se gli ayatollah lo volessero; e non sarebbe un conflitto né facile né innocuo. I calcoli sulle possibili perdite israeliane e sulle rappresaglie necessarie per far cessare le minacce sono spaventosi. Il momento è reso particolarmente pericoloso dall'orgogliosa ostinazione di Obama a volersi accordare con i nemici dell'Occidente, in primo luogo l'Iran, che spariglia i giochi. Obama si illude di essere ricordato per aver lasciato un'eredità di pace, ma ha già in sostanza dato il via all'armamento atomico della dittatura clericale sciita. Che l'Iran abbia la bomba, ci ha detto Molinari, è ormai dato per scontato dai suoi nemici nella regione e questo comporta gravi rischi nel medio termine. La conclusione mia è che Israele debba oggi lavorare in maniera spregiudicata per affrontare pericoli molto seri. Ne potranno derivare schieramenti inediti, sotterranei più che dichiarati.

In questa situazione così intricata non aiuta certo l'ostinazione ideologica dell'Unione Europea, che viola apertamente le sue stesse leggi, oltre che quelle israeliane per un ottuso accanimento ideologico anti-israeliano. Chi percorra l'autostrada che da Gerusalemme porta verso il Mar Morto trova parecchi accampamenti beduini che si sono trasformati dalle tende di un tempo in villaggetti semi-permenenti a causa delle forniture di prefebbricati marchiati molto visibilmente dalla bandiera europea. Sono insediamenti illegali, al di fuori di ogni pianificazione urbanistica, spesso collocati in parchi naturali e ben dentro la zona C che gli accordi di Oslo riservano all'esclusivo controllo israeliano. Punture di spillo, si dirà. E in effetti qualcuno fra loro è stato smontato dall'esercito. Ma si tratta di campi realizzati spostando illegalmente poste del bilancio europeo, che non permette istallazioni illegali, espressione di una posizione partigiana, che rifiuta di adeguarsi alle leggi locali. E' chiaro che i diplomatici responsabili di questa attività illegale saranno prima o poi espulsi da Israele, come già accadde a una funzionaria del consolato francese di Gerusalemme che fu filmata un paio d'anni fa in un contesto analogo mentre aggrediva fisicamente un soldato israeliano. Ma bisogna prendere atto che l'Europa in questo momento è molto più ostile a Israele di quanto lo siano Egitto, Giordania, Arabia Saudita. Questo, fra l'altro, la condanna all'insignificanza nel grande gioco che si svolge in Medio Oriente di questi tempi. Non varrebbe la pena di parlarne se non fosse che i reati commessi dai diplomatici europei sono finanziati con le nostre tasse. E rischiano di andare non a favore del “moderato” Abbas, la cui impotenza è sempre più palese, tanto da far pensare a una malattia e a una prossima sostituzione, ma ai movimenti terroristi più violenti, dallo Stato Islamico a Hamas.

E' un grande gioco, come vi ho appena detto, quello in cui è coinvolto Israele. Un gioco che si svolge in parte sul terreno, con gli scontri e le orribili esecuzioni (propaganda patibolare) dello Stato Islamico. In parte si svolge nel Congresso americano, in parte ancora in incontri segreti che mettono in contatto antichi nemici nel nome della realpolitik più spinta. E' una fortuna che il timone di Israele sia solidamente in mano a un capitano esperto come Netanyahu, che mentre conduce questo gioco si misura anche con la tradizionale rissosità dei partiti israeliani nella costruzione piuttosto lenta della coalizione di governo. E anche che la difesa e i servizi segreti israeliani agiscano con la loro tradizionale maestria. Perché la posta di questo gioco, messo in moto dall'incauto e vanesio ideologismo di Obama, è la possibilità di una grande guerra in tutto il Medio Oriente, che impoverirebbe tutto il mondo e costerebbe tantissimo ai suoi partecipanti. Orfani della capacità stabilizzatrice che l'America aveva sempre avuto e cui ha rinunciato, isolati in un territorio che ha ormai smarrito molti dei confini artificiali in cui viveva da un secolo, assaliti da movimenti che vogliono l'esplosione apocalittica (sia sciiti che sunniti, dalla Turchia al Qatar a Iran e Hezbollah), alcuni stati tentano (Egitto, i paesi del Golfo, Arabia, Giordania, Israele) di trattenere un'esplosione che rischierebbe di travolgerli. Non è detto che siano tutti “buoni” e nemmeno stimabili; alcuni fra loro hanno una condotta del tutto contraria ai diritti umani. Ma sono quelli che cercano di controllare il processo politico della regione più delicata e ricca di energia del mondo, di evitarne l'esplosione. E Israele oggi è certamente il più forte fra loro, Netanyahu un leader centrale di questo schieramento, insieme ad Al Sissi e al nuovo re saudita. Dall'esito di questo Grande Gioco dipenderà non solo il benessere locale, ma quello dell'Europa e del mondo. Impiegando la forza politica, morale, economica e militare israeliana per bloccare il trionfo dell'espansionismo della rivoluzione islamica, Israele rende ancora un servizio importante alla civiltà.

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Ugo Volli


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