Cari amici,
Non credo mi accuserete di fare pubblicità se vi dico che i viaggi di Israele organizzati da Informazione Corretta sono diversi dal solito. Non solo perché c'è una guida bravissima come Angela Polacco, o per i numerosi incontri e discussioni con esperti docenti e giornalisti, ma anche perché l'esplorazione di quell'universo densissimo che è Israele avviene ogni volta con un taglio diverso, su luoghi diversi, pur contenendo sempre i passaggi nella capitale politica e storica del paese, Gerusalemme, e in quella economica e culturale, Tel Aviv. Sono dunque viaggi di studio veri e propri, esplorazioni che hanno senso anche per chi conosce bene la realtà politica, storica e turistica del paese.
Quest'anno il baricentro del viaggio si è spostato al Sud, verso il Negev, che rappresenta sì la maggior parte del territorio israeliano, ma ha una popolazione limitata ed è per lo più considerato periferico e assai meno importante rispetto al centro. E' un giudizio che certamente ha le sue ragioni, ma che non toglie il grandissimo interesse di questa regione. Non a caso molti leader politici e letterari di Israele, a partire da Ben Gurion, hanno sentito che il destino morale e spirituale dello stato ebraico si giocasse soprattutto nel Sud e hanno scelto di trasferirvisi. Io non conosco un libro sull'importanza del deserto nell'identità ebraica, se ci fosse mi piacerebbe molto leggerlo. Perché dai vagabondaggi di Abramo e di Giacobbe, alla rivelazione del roveto ardente e della dettatura della Torah, dal rifugio dei profeti fino al lavoro dei pionieri della ricostruzione di Israele, moltissime tappe fondamentali dell'ebraismo sono avvenute nel deserto o in quel “midbar” steppa sassosa, seminata di radi arbusti, tormentata di torrenti per lo più disseccati, che in ebraico sembra portare dentro di sé il significante della parola “davar” che significa parola e cosa. Quest'anno il deserto ha ricevuto molta acqua, è ancora pieno di cespugli verdi e di infiorescenze rossastre. Ma è silenzioso, solenne, assorto, talvolta ventoso, impervio come sempre. E' un luogo di solitudine e di prova, in cui sembrano più vicine le cose fondamentali e più lontano il chiacchiericcio quotidiano. Non ci vuiole una mentalità mistica per capire come nella sua vampa assorta siano avvenute le grandi rivelazioni, nelle sue grotte nere e fresche si siano rifugiati eremiti e perseguitati, qui i più veggenti fra gli uomini abbiano avuto la certezza di incontrare la trascendenza assoluta. E anche i laici come Ben Gurion hanno creduto di capire che ci fosse un messaggio, un modo di vivere, perfino un modello di umanità, certamente una missione che si dovesse decifrare fra le montagne sterili e i valloni precipitosi che le intervallano, in mezzo alle pietre aspre e giallastre. Basta visitare il luogo di sepoltura che si è scelto, avvolto sì oggi in un piacevolissimo boschetto in questa stagione fiorito e profumato, ma aperto su un paesaggio imponente e nudo, privo di tracce umane e povero di vita, ma apparentemente senza fine, come una barocca e impossibile via per l'infinito. E' insomma l'anima utopistica e perfino messianica di Israele, sia essa religiosa o laico/socialista, che emerge da questa passione per il deserto.
David Ben Gurion
Ma nel deserto attuale si rivela un altro utopismo, non necessariamente contrapposto al primo, quello economico e agricolo. La distesa bianco-giallastra dell'antichissimo luogo di isolamento è infatti oggi sempre più punteggiata di verde. Sono gli alberi dei boschi piantati dal Keren Kayemet in alcune zone, in altre piccoli cerchi di tamerici o di palme che sembrano proteggersi a vicenda nel fondo di una depressione e sono stati piantati apposta per trattenere l'acqua piovana, quando arriva e creare umidità. Ma spesso sono campi interi, straordinarie coltivazioni di uva o di ulivi o di agrumi che sorgono come un miraggio nel bel mezzo di una piana abbacinate di deserto. Ogni singola pianta di questi campi artificiali è tenuta in vita dall'irrigazione a pioggia; tutte assieme sembrano una sfida cromatica arrogante alla sublime monotonia del deserto. L'olio e il vino che fanno, alimenti biblici per eccellenza, sono di grande qualità, precoci e fragranti. I pompelmi del deserto salato sono più dolci degli altri e il vino sa di legno, di mandorle, di profondi toni pregiati.
Ma la cosa più straordinaria non è la loro bontà, è il semplice fatto che producano. Sono anch'essi una forma di utopia, realizzano certamente i pensieri più arditi di Ben Gurion e di Herzl, ma forse anche qualche lampeggiante sogno di Isaia: al posto del deserto sorgeranno ulivi e cipressi, si legge in una delle sue profezie, la più amata forse dal fondatore dello stato di Israele. E sulla sua tomba infatti svettano scuri cipressi lunghi ed eleganti, vicini alle chiome più chiare e brillanti degli ulivi. Anche l'economia, la solida agricoltura, il sudore del lavoro dei campi, in questa nuova e antichissima frontiera di Israele, luogo di antiche battaglie e di infinite carovane, scambi e conflitti, hanno molto di meraviglioso. Come diceva ancora Ben Gurion, da queste parte chi non crede ai miracoli, non è realista.
Ugo Volli