Cari amici,
Fra i pensieri più comuni sull'ebraismo vi è quello secondo cui esso si occuperebbe molto più del tempo che dello spazio. In realtà questo è vero solo in parte. Non vi è popolo che abbia nei suoi testi sacri una descrizione così dettagliata del proprio santuario, con un'organizzazione spaziale complessa; non vi è religione che abbia mantenuto un legame così essenziale con la propria Terra Promessa, non vi è forse cultura che abbia un orientamento spaziale così preciso in direzione di un paese (Israele), di una città (Gerusalemme), di un luogo (il Monte del Tempio e dentro di esso lo spazio più intimo del sacro, che rimase vuoto per molti secoli suscitando la meraviglia dei conquistatori romani).
Tel Aviv
Ma tutto sommato, è questa contrapposizione che non funziona. Perché Israele è un paese piccolo, con un passato assai lungo e soprattutto attuale, presente quasi in ogni momento e in ogni luogo. E' difficile trovarsi in una qualunque località, a partire dall'estremo nord del Golan fino al centro del deserto del Negev a Sud, senza che lo sguardo possa posarsi su un pezzo di memoria. Per spiegare l'importanza di Gamla, città importante dell'epoca della Mishnà che si affaccia sul lago di Tiberiade (o come preferiscono dire gli ebrei, sul lago Kinneret, cioè il lago-cetra, per la sua forma leggiadra e il sussurro dei giunchi che lo circondano), la nostra bravissima guida Angela Polacco legge Giuseppe Flavio, ma basta andare pochi metri più in là e si vedono i resti della guerra del '67. Si passa sul Giordano e la città romana di Beit Shean è poco distante dal luogo in cui un militare palestinista giordano sparò nel '97 su una scolaresca di ragazze uccidendone sette e rischiando di distruggere la pace appena firmata fra Israele e Giordania. Da Tiberiade, che è il luogo dov'è sepolto fra gli altri il grande saggio talmudico Rabbi Akiva, barbaramente ucciso dai Romani, si vede distintamente il luogo dove nel 1909 sorse il primo kibbuz israeliano, Degania, che è anche il posto dov'è nato Moshè Dayan. Saltando Gerusalemme, la cui densità storica è al di là di ogni esemplificazione, nel Sud la centrale nucleare di Dimona non è lontana dall'importante tappa dei vagabondaggi dei patriarchi che è la città di Beer Sheeva, che oggi è sede di un'università importante; poco più in là ci sono le fortezze cananee e poi davidiche di Tel Arad, o il kibbutz di Sde Boker dove si rifugiò in vecchiaia Ben Gurion. I luoghi delle battaglie descritte dai libri biblici dei giudici e dei re sono spesso gli stessi degli scontri che hanno deciso la guerra di Indipendenza. Betlemme ed Ebron, Shechem (oggi Nablus) e Yaffo (accanto a Tel Aviv) sono la testimonianza di una stratificazione culturale, economica e politica straordinaria, il cui filo rosso è la tradizione religiosa ebraica.
Non voglio continuare in questo elenco, che forse meraviglia meno noi italiani di altri, perché qualcosa del genere avviene nelle nostre regioni più ricche di storia. Ma in Israele c'è in più la dimensione, che è una dozzina di volte inferiore all'Italia e una profondità storica molto maggiore. Alla data della mitica fondazione di Roma, il regno unito di Davide e Salomone era scomparso da due secoli e ormai gli assiri conquistavano il più grande e potente dei due pezzi in cui si era diviso. I profeti avevano finito di parlare quando nasceva la tragedia e la filosofia greca, per non dire della letteratura latina, che non era ancora nata. Ma non si tratta di fare confronti, bensì di prendere atto di una densità spaziotemporale che colpisce il viaggiatore con un'energia abbagliante, quasi violenta. La tentazione di dimenticare questo fazzoletto di terra è stata abbastanza forte perché la promessa di ricordarlo sia stata inserita in ogni cerimonia matrimoniale, la richiesta di ritornarci si ritrovi in ogni preghiera e diventi un proposito solennemente ripetuto a ogni festa pasquale. Lo stesso Theodor Herzl sembrò a un certo punto propenso ad accettare un qualunque territorio, un pezzetto d'Africa che gli offrirono, pur di procurare un rifugio alle masse perseguitate degli ebrei orientali. Ma ogni volta che ci si affaccia su questa natura straordinariamente variata e sempre forte, abbacinante, si capisce che non è possibile, che certo non basteranno le manovre diplomatiche o i buonismi degli ipocriti a spezzare un legame spaziale che è un destino. Magari doloroso, magari difficile, magari incompreso; ma il destino che unisce la terra di Israele al popolo ebraico.
Ugo Volli