Il Giorno del ricordo dei caduti e il Giorno dell'Indipendenza 22/04/2015
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Autore: Ugo Volli
 Il Giorno del ricordo dei caduti e il Giorno dell'Indipendenza
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

A destra: oggi in Israele è Yom Hazikaron, il Giorno del ricordo dei caduti nelle guerre e delle vittime del terrorismo

Cari amici,

fra i compiti che mi sono preso per le mie “cartoline” di Informazione Corretta vi è quello di commentare le feste religiose ebraiche e quelle civili israeliane, via via che si succedono. E' un compito un po' ripetitivo, dato che il ciclo di queste ricorrenze è annuale, ma credo importante. Perché è importante spiegare almeno gli aspetti più vistosi della nostra cultura a coloro, come parecchi dei nostri lettori, che simpatizzano con Israele e gli ebrei, ma conoscono poco della sua complessità. In questo spirito mi permetto di informarvi che oggi per Israele è Yom haZikharon, il giorno del ricordo, che commemora i soldati morti in difesa dello Stato e le vittime del terrorismo. E che questa sera inizierà invece Yom haAtzmaut, la giornata che festeggia l'anniversario della dichiarazione di lndipendenza, che per il calendario occidentale ricorre il 14 maggio, mentre per quello ebraico il 5 del mese di Iyar. Dato che questo calendario è lunisolare (cioè rispetta il ciclo lunare di 28 o 29 giorni), la corrispondenza fra data ebraica e data occidentale può variare notevolmente. Quest'anno c'è quasi un mese di anticipo.


Israele celebra Yom HaAtzmaut, il Giorno dell'Indipendenza

La data del giorno dell'indipendenza è evidentemente casuale, dato che dipende dalla scelta di Ben Gurion di annunciare la costituzione dello Stato ebraico alla viglia dell'abbandono del territorio da parte delle truppe inglesi, che, ben dopo il voto dell'Onu di spartizione del mandato britannico di Palestina, legittimando uno Stato degli ebrei, fu improvvisamente e certo non benevolmente anticipato al 15 maggio 1948. Il ricordo dei caduti venne collocato in seguito alla sua vigilia per una ragione simbolica molto chiara: il sacrificio di coloro che si sacrificarono o furono uccisi per lo Stato di Israele è stato e continua ad essere la condizione della sua sopravvivenza. Israele è uno stato minacciato: si possono contare tredici guerre grandi e piccole nei 67 anni della sua esistenza. Solo nella guerra di Indipendenza cadde l'1% della popolazione e un altro 2% fu ferito gravemente. E purtroppo la minaccia è tutt'altro che cessata, la sua distruzione è iscritta negli statuti e nei programmi politici delle organizzazioni palestiniste (non solo Hamas, ma anche Fatah) e degli islamisti delle più diverse tendenze, da Hezbollah allo Stato Islamico, da Assad all'Iran. E' necessario dunque, non solo per la dimensione intima del lutto, ma anche per quella pubblica del patto sociale, ricordare prima il prezzo di sangue e di dolore e poi il premio che esso ha consentito.

Ma il caso di questa data ha composto un ciclo pieno di senso, che illustra la dinamica così centrale nella storia ebraica fra oppressione e liberazione, sofferenza e rinascita, storia e presente. Una settimana circa dopo la festa di Pesach, che ricorda la liberazione dall'Egitto e la costituzione degli ebrei in popolo, si ricorda la Shoah, cioè il tentativo di distruggere interamente questo popolo. Dopo pochi altri giorni ci sono le due giornate del ricordo e dell'indipendenza di cui vi sto parlando. Ma questo è anche il periodo dell' ”omer” cioè del conteggio rituale legato al raccolto che porta da Pesach verso Shavuot (quel che in italiano è la Pentecoste, che nell'ebraismo ricorda la Rivelazione del Sinai). Ma la prima parte di questo periodo è luttuosa, perché in essa si ricordano migliaia di studenti di un grande maestro del Talmud, Rabbi Akivà, che secondo la tradizione morirono di una “misteriosa epidemia”. Dato che lo stesso Rabbi Akivà era il leader spirituale dell'ultima grande rivolta ebraica contro i Romani, la cosiddetta Terza Guerra Giudaica fra il 132 e il 135, e fu orribilmente ucciso per rappresaglia, è probabile che sotto il velo dell'epidemia degli allievi del maestro si nasconda il ricordo di quest'altra resistenza del popolo ebraico purtroppo sfortunata, che si concluse con la cacciata di tutti gli ebrei da quel che restava di Gerusalemme e il cambiamento oltraggioso di nome della Giudea in Palestina - come vedete, un nome che ci affligge ancora adesso. Il ciclo si conclude fra una decina di giorni, con la celebrazione della festa di Lag Baomer, legata al misticismo della Kabbalah, centrata sulla figura di un altro allievo di Rabbi Akivà resistente a Roma, Rabban Shimon bar Yochai, cui è attribuita dalla tradizione (non dagli studiosi) la composizione del capolavoro del misticismo ebraico, il libro dello “Zohar” (lo splendore).

Mi rendo conto che il percorso che vi ho tracciato possa apparire tortuoso, oscuro e naturalmente affetto da casualità. Ma a me sembra importante ricordarlo perché espone alcuni dati permanenti della cultura ebraica. Innanzitutto un rapporto fra presente e passato che nessuna cultura al mondo conosce. Quale altro popolo oggi festeggerebbe o terrebbe il lutto per eventi politici o civili che sono avvenuti due o tre millenni fa? Potrebbero i Greci festeggiare la conquista di Troia e i romani portare il lutto per Brenno, legandoli alle vicende politiche attuali? Gli ebrei lo fanno. La liberazione dalla schiavitù d'Egitto, collocata dalla tradizione biblica trentadue secoli fa, è messa in relazione con la difficile uscita degli ebrei da Auschwitz; la resistenza ai romani è la premessa per la decisione con cui Israele si difende dall'assedio dei suoi nemici; i soldati delle forze di difesa israeliane giurano davanti ai resti del Tempio distrutto da Tito o a Masada, la fortezza che resistette fino all'ultimo uomo alla repressione romana.

La seconda caratteristica è il legame fra vita religiosa e vita nazionale, che è altrettanto tipico. L'ebraismo è religione di un popolo, che non pretende di avere il monopolio della salvezza, non fa proselitismo, vuole espandere a tutta l'umanità i suoi valori etici, non la sua ritualità e i suoi obblighi religiosi. Per questa ragione la vita religiosa dell'ebraismo è legata alle vicissitudini del piccolo popolo ebraico, duramente provato dalla storia ma capace di sopravvivere alle peggiori sciagure innanzitutto perché convinto che la sua esistenza abbia un senso, non sia solo un desiderio egoistico ma una missione. Per quanto si sia laici, non è possibile rinunciare alla tradizione religiosa di Israele, perché essa è il cuore della sua cultura. I religiosi che rifiutano di impegnarsi a difendere lo Stato (purtroppo ce ne sono) saranno dotti e morali, ma non capiscono una grande lezione della stessa tradizione che difendono.

Torniamo ora a Yom haZikharon e Yom HaAtzmaut. La prima giornata è luttuosa, segnata anch'essa in Israele dal suono delle sirene, che convocano momenti di silenzio e di meditazione collettiva, e dalla visita ai cimiteri, dal pensiero dei momenti più dolorosi per famiglie e collettività, quello in cui sono morti figli e fratelli giovani e pieni di speranza, o sono state uccise dai terroristi persone inermi e inoffensive, impegnate nella loro vita quotidiana. Dopo questo momento triste, la sera esplode l'allegria, perché nonostante tutto, anzi proprio grazie al loro sacrificio, “Am Israel chai”, il popolo ebraico vive, Israele anche ed è pieno di successi e di realizzazioni, la sua vita continua tumultuosa e ricca di opportunità e di gioia. Le piazze si riempiono di musica, di balli, di festa ed esplode l'ottimismo e la voglia di vivere di una popolazione entusiasta e piena di speranze, che vuole la vita e non la guerra. E' un momento straordinario: chi vi ha assistito non può dimenticarlo. E sarà giusto dire questa sera, in Israele e nella diaspora: Hag sameach, buona festa.

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Ugo Volli


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