Lo Yemen è vicino, e ci riguarda
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
immagino che abbiate letto del conflitto in Yemen, ma che lo abbiate fatto con occhio un po' distratto. Dopotutto il mondo è tanto grande e pieno di problemi ed è grande anche la sua parte araba (pensate, 22 stati, contro uno solo ebraico; con 12 milioni di chilometri quadrati contro 28 mila, con 320 milioni di abitanti contro otto - ma questo è un altro discorso). E in questi stati, almeno da quando Obama ci ha messo le mani quattro anni fa, la guerra civile è endemica, le fazioni non si contano, gli scontri sono quotidiani, i morti migliaia al giorno). Perché badare allo Yemen, che sembra così piccolo, laggiù in fondo all'Arabia (ma in realtà ha quasi il doppio della superficie dell'Italia e una popolazione non proprio minima, più di 21 milioni di abitanti)? In fondo non dichiarava l'amministrazione Obama, fino a pochi giorni fa, che lo Yemen era un modello del successo della nuova politica antiterrorista dell'America (http://www.washingtonpost.com/blogs/worldviews/wp/2015/01/20/four-months-ago-obama-called-yemens-war-on-terror-a-success-now-the-yemeni-government-may-fall/ )?
E' invece il conflitto che si è acceso in questi giorni è importantissimo e bisogna rifletterci con molta attenzione. Non solo perché è una vera guerra: l'Arabia Saudita ci ha messo 120 mila uomini (che sono quattro volte i combattenti dello Stato Islamico, a quanto pare), e un centinaio di aerei, l'Egitto metà della sua flotta, partecipano gli stati del Golfo ma anche il Marocco, la Giordania, è d'accordo perfino la Turchia. E neppure perché per la prima volta si costituisce una coalizione militare così vasta di paesi del Medio Oriente e per la prima volta esclude i paesi occidentali, America in testa (anche se USA, Gran Bretagna e Belgio hanno espresso “comprensione”), il che non ha senso, quando sono alleati dell'Iran in Iraq, anzi ne incoraggiano l'occupazione. E' una coalizione, badate bene, che non serve a combattere Israele come nel '48, nel '67 o nel '73, ma si oppone a un altro paese islamico, l'Iran e proprio per questa ragione ha dimensioni tali da reggere un conflitto convenzionale importante, non per sconfiggere una piccola forza adatta alla guerriglia, come quella del movimento degli Houti, che conta fra civili e combattenti, non più di 100 mila aderenti (http://en.wikipedia.org/wiki/Houthis ).
Il punto è un altro, questa guerra conferma che al centro della terribile turbolenza scatenata dall'inettitudine di Obama sta il conflitto fra le due anime dell'Islam, sciismo e sunnismo, che si combattono ormai da quasi 1400 anni. Il che ci conferma fra l'altro che il conflitto intorno a Israele non è affatto il punto focale del disordine: che cosa cambierebbe intorno ad Aden se ci fosse oggi un accordo fra Israele e Autorità Palestinese? Ma soprattutto ci dovrebbe allarmare rispetto al posizionamento degli Stati Uniti e dell'Europa intorno a questo conflitto.
Sotto l'impulso dell'amministrazione Obama, ma con la collaborazione attiva dell'Europa affamata di commesse industriali e anche dell'Italia, in questi giorni si sta concludendo l'accordo preliminare della trattativa con l'Iran. L'accordo è segreto, ma alcune cose se ne conoscono. In sostanza, contro precedenti delibere del consiglio di sicurezza, Obama intende autorizzare l'Iran a mantenere in piedi, con solo alcune limitazione quantitative che dovrebbero però essere limitate al periodo strategicamente molto breve di dieci anni, il suo apparato industriale atomico, con l'idea che questo accordo dovrebbe servire anche a fare dell'Iran la potenza regionale egemone del Medio Oriente, capace di eliminare il bubbone velenoso dello Stato Islamico. Dunque in sostanza Obama e l'Europa sperano di allearsi con l'Iran, senza neppure chiedergli di rinunciare al suo virulento antiamericanismo, per non parlare dell'odio per Israele. E sperano anche di siglare l'accordo fondante di questa alleanza proprio in questi giorni.
Ma nel frattempo l'intero mondo sunnita, compresi alcuni fra i più importanti e tradizionali alleati dell'America come l'Egitto, l'Arabia Saudita, il Marocco, decide di minacciare una guerra contro l'Iran. L'obiettivo immediato di questa guerra è certamente importantissimo. Se guardate una carta del Medio Oriente, vedete che l'Iran controlla già lo stretto di Hormuz che chiude il Golfo Persico, da cui passa il petrolio degli Emirati, dell'Arabia Sudita, dell'Iraq, del Quwait e anche dello stesso Iran, cioè una buona metà del rifornimento energetico del mondo che l'Iran può chiudere a piacimento: sono cinquanta chilometri di mare navigabile circondati da tre lati dal territorio iraniano, che in caso di crisi si potrebbe forzare solo al costo di una guerra totale.
Ora l'Iran, che sostiene e controlla gli Houti, se si confermasse il loro dominio sullo Yemen, avrebbe il potere di bloccare anche lo stretto di Gibuti o di Bab el Mandeb: una ventina di chilometri di larghezza da dove passa tutto il traffico navale destinato al canale di Suez, e dunque all'Europa, ma anche alla parte occidentale dell'Arabia (Jeddah, Medina ecc.), alla Giordania e al porto israeliano di Eilat. Impadronendosene, l'Iran diventerebbe titolare di un potere di ricatto economico senza pari, difficilissimo da contrastare anche ora che l'Iran non ha l'atomica. Figuratevi quando fra dieci anni avesse il potere legale di costruirla o, in una crisi, decidesse di fare secondo il precedente già impunemente usato dalla Corea del Nord: annullare gli accordi, riaprire e far funzionare a pieno ritmo gli impianti, usare quel che ha messo da parte clandestinamente, e dopo un breve periodo dichiarare di avere la bomba.
E' difficile negare che in questo caso l'Arabia saudita sta facendo una battaglia anche per l'Europa, oltre che per se stessa, come paese confinante con lo Yemen e minacciato da una guerriglia della sua minoranza sciita, sostenuta naturalmente dall'Iran. Per ragioni stupidamente ideologiche, di cui è esemplare la presa di posizione di Federica Mogherini, uno dei testi più francamente sciocchi o colpevomente ipocriti che si siano potuti leggere da anni nella politica internazionale (http://freebeacon.com/national-security/richard-engel-military-officials-say-allies-no-longer-trust-us-fear-intel-might-leak-to-iran/ ), l'Europa ha rinunciato a priori a difendere un punto chiave delle sue linee di rifornimento essenziali.
Ma c'è una ragione più generale che spinge i sunniti alla guerra. Lo stretto di Bab el Mandeb dista poco meno di tremila chilometri dall'Iran, che però non rinuncia a proiettarvi la sua potenza. Sono mille i chilometri che separano l'Iran dal Libano meridionale e dalle alture del Golan, dove sono presenti le sue truppe. Ormai l'Iran controlla buona parte dell'Iraq (che di recente ha definito “la capitale” dell'”impero persiano”: http://www.clarionproject.org/news/iran-advisor-we-have-become-empire-our-capital-baghdad ), della Siria, del Libano, oltre che dello Yemen e minaccia anche la Giordania (http://www.thetower.org/1801-irgc-chief-says-jordan-is-next-target-for-conquest-iran-erases-evidence/ ). E' insomma una potenza imperialistica e aggressiva, riconosciuta come pericolo gravissimo da tutto il mondo sunnita. Ha l'appoggio della Russia e ambiguamente anche di Obama. Si muove in questa maniera nonostante le sanzioni che subisce e senza avere ancora l'uso delle armi atomiche. Immaginate che cosa potrà accadere se le sanzioni fossero eliminate subito (come sembra Obama abbia concordato con Ruhani) e l'atomica arrivasse presto. Sarebbe inattaccabile.
Losanna, dialogo Usa-Iran
Gli stati sunniti non sono disposti a subire questa offensiva senza reagire e devono farlo subito, prima che sia troppo tardi.. Il che implica, se l'accordo fra Obama e l'Europa con l'Iran si concludesse, la quasi sicurezza di una corsa alle armi atomiche in tutto il Medio Oriente. Perché il solo modo di rispondere a un Iran nucleare sarebbe una bomba saudita o egiziana. E comporta la probabile conseguenza di un rafforzamento dello Stato Islamico, che magari parrà insopportabilmente crudele a noi e sovversivo agli occhi degli stati non rivoluzionari della regione (come Egitto e Arabia Saudita), ma per loro è anche un ostacolo all'espansione iraniana e dunque, faute de mieux, meritevole di sostegno. Insomma, il risultato della “nobile azione” di Obama, del suo “impegno per la pace” che gli fruttò un premio Nobel preventivo sei anni fa, rischia di essere l'esplosione della polveriera mediorientale, una guerra generale ancora più pesante di quella che Obama (coi suoi reggicoda europei) ha già suscitato appoggiando le “primavere arabe”.
Il presidente americano, che cerca in tutti i modi di isolare Israele, è rimasto isolato lui (http://www.jewishpress.com/news/breaking-news/221997/2015/03/27/ ), mettendo a rischio nel suo disastro il capitale di fiducia internazionale che gli Stati Uniti hanno costruito in cent'anni di egemonia ((http://freebeacon.com/national-security/richard-engel-military-officials-say-allies-no-longer-trust-us-fear-intel-might-leak-to-iran/ )
E il conto lo pagherà anche l'Europa.
Ugo Volli