(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)
L'articolo in inglese è stato pubblicato alla pagina http://www.israelnationalnews.com/Articles/Article.aspx/16686#!
Benjamin Netanyahu, Barack Obama
Negli ultimi sette anni, durante la sessione di gennaio-febbraio, ho tenuto dei seminari nelle Università americane e canadesi. Sono stato invitato a parlare presso istituzioni accademiche e in organizzazioni ebraiche, cristiane e musulmane, sono comparso sui media e ho avuto incontri con uomini politici. Ho avuto il privilegio di tenere un discorso in Campidoglio davanti ai principali consiglieri dei deputati e dei senatori americani.
Anche quest’anno, nonostante il duro inverno che aveva colpito l’America Settentrionale, ho fatto il mio tour di conferenze. Posso affermare di essermi sentito a mio agio ovunque mi trovassi a parlare, le mie parole sul Medio Oriente sono state ascoltate da ebrei tradizionalisti e ortodossi, come da quelli liberali e laici, da un pubblico ebraico e non.
Questa volta però ho anche ascoltato oltre che parlato, e appreso oltre che insegnato. Quest’anno, per la prima volta, ho avuto l’impressione che il pubblico americano, e non solo gli ebrei, fosse diviso tra chi sostiene e chi si oppone a Obama: a dire il vero, non avevo mai sentito espressioni così taglienti, né al contrario, così calorose nei suoi riguardi. Quello che più mi ha colpito quest’anno è stato che il giudizio nei confronti del Presidente, sia dai sostenitori che dagli avversari, era a livello personale: in passato, ricordo che era il governo ad essere criticano, non lo stesso presidente. Questa frattura è particolarmente evidente tra gli ebrei, sullo sfondo della situazione in atto all’interno degli USA: l’atteggiamento di Obama rispetto all’economia, a Israele e, in particolare, al Primo Ministro Netanyahu.
In blu scuro, le zone degli Usa con maggiore densità di popolazione ebraica (2000)
A gennaio, non appena si era diffusa la notizia che Netanyahu intendeva parlare al Congresso e dopo le successive reazioni negative da parte della Casa Bianca, si è cominciato a discutere animatamente se Netanyahu potesse, o avesse dovuto, mettere in guardia il Congresso sul pericolo iraniano che incombe su Israele, sull’America e sull’Europa, oppure, tacendo, obbedire al presidente americano e restarsene a casa. Tuttavia la polemica non era limitata al discorso di Netanyahu, ma si estendeva ben oltre. I gruppi della sinistra liberale che erano presenti alle mie conferenze, non facevano mistero delle loro speranze di scalzare Netanyahu e mi diedero l’impressione che per loro fosse molto difficile identificarsi con uno Stato d’Israele governato dalla destra.
Gli eventi dell’estate scorsa con l’Operazione Margine Protettivo a Gaza avevano reso quei sentimenti ancora più estremi. Dall’altra parte il pubblico tradizionalista aveva difficoltà nell’accettare la possibilità che Israele cedesse alle pressioni della Casa Bianca su molti argomenti e avrebbe preferito che l’Operazione Margine Protettivo si fosse conclusa con Hamas costretto ad andarsene da Gaza.
Se si osservano i dati statistici delle elezioni presidenziali, la frattura all’interno delle comunità ebraiche americane si fa ancora più profonda: nel 2008 il 78% degli ebrei votò a favore di Obama, e nel 2012 solo un po’ meno, il 70%. In più, avevano finanziato in modo rilevante la sua campagna. Ebrei che non hanno votato per Obama mi hanno detto: “Capisco benissimo chi abbia votato per lui alla sua prima elezione, perché per tradizione gli ebrei votano per il Partito Democratico, ma una seconda volta?” Poi ho anche incontrato qualcuno che era stato una figura di rilievo nel suo partito ma che ha rotto ogni rapporto con chi lo ha votato una seconda volta. Ma ho anche incontrato degli ebrei che vedono in Obama il Messia e la cosa migliore che sia mai successa all’America e a Israele.
Un altro fattore che continua ad allargare la spaccatura nella comunità ebraica americana è l’opera delle organizzazioni ebraiche liberali quali J Street, Friends of Peace Now e i gruppi studenteschi di Students for Justice in Palestine, tutti molto abili a diffondere messaggi ovviamente anti Israele, anche se ben nascosti nelle pieghe della retorica pacifista.
Non meno problematica per gli ebrei americani è la questione se a questi gruppi debba essere consentito iscriversi a organizzazioni-ombrello a livello nazionale come alla Conference of Presidents of Major American Jewish Organizations, o se possano partecipare a manifestazioni pubbliche in favore di Israele, e se possano essere ospitati nelle Associazioni Hillel nei campus universitari.
Tuttavia, tutti gli ebrei che ho incontrato sono preoccupati per quel che succede agli studenti ebrei nei campus americani, perché questi giovani sono costretti ad affrontare le ondate di anti-semitismo miste a quelle di anti-sionismo e di anti-israelismo, che talvolta sfociano in violenza verbale e creano panico negli studenti ebrei.
L’ebraismo moderno in America si trova di fronte ad un dilemma complesso: i genitori ebrei vogliono per i loro figli le Università migliori, possibilmente quelle dell’Ivy League, ma è proprio in queste prestigiose istituzioni che si respira una mefitica aria anti-ebraica, anti-sionista e anti-Israele. In segreto, i genitori sono estremamente preoccupati che i loro figli non siano in grado di resistere all’odio, che soccombano, che soffrano di problemi psicologici e che infine facciano il salto dall’altra parte, alzando la mano contro Israele e i sionisti, e che nel lungo periodo, voltino le spalle all’ebraismo.
Questo ci porta ad un problema gravissimo, che difficilmente viene affrontato: il fenomeno dei matrimoni misti che ha raggiunto un numero ormai allarmante e che è direttamente collegato al livello di religiosità. I dati indicano che tra gli ortodossi il fenomeno è molto basso, mentre in altri segmenti ebraici il matrimonio misto raggiunge il 70%, soprattutto in quelle comunità che non appartengono ad organizzazioni ebraiche consolidate. Se c’è una cosa che preoccupa le comunità ebraiche, è questo “melting pot” americano, che ha impedito alla maggior parte degli immigrati negli USA di coltivare la cultura del proprio paese di origine e che li ha trasformati in un solo popolo, più o meno anche se con alcune eccezioni su base etnica.
Una generazione fa, gli ebrei americani erano circa sei milioni, ma oggi c’è chi sostiene che siano soltanto quattro e secondo altri addirittura meno. Uno dei motivi che spingono al matrimonio tra ebrei, è la sfida per educare le nuove generazioni ai valori ebraici e il desiderio di rimanerne saldamente legati. E’ facile realizzare tutto ciò nell’ambito delle congregazioni ortodosse, dove i bambini frequentano ogni giorno la scuola ebraica, anche se il costo è molto alto. Nell’area di New York i genitori devono pagare 15-30.000 dollari l’anno per mandare un figlio alla scuola ebraica. Il governo americano non dà alcuna sovvenzione per la maggior parte di queste scuole, anche se i costi sono di natura amministrativa e gli studi hanno una impostazione laica. Un amico mi ha detto “L’educazione in una scuola ebraica è la più efficace propaganda per l’aumento delle nascite ”. I gruppi non-ortodossi mandano i loro figli alla scuola pubblica, alcuni poi scelgono di mandarli alla scuola domenicale per conoscere l'ebraismo, di solito nella sinagoga locale, ma è tutt'altro che certo che questo dia loro un sufficiente attaccamento al giudaismo fino a voler sentirsi parte del popolo ebraico e delle sue tradizioni.
Personalmente, penso che la comunità ebraica americana dovrebbe smettere di finanziare Israele e che debba invece investire per dare un’educazione religiosa ebraica a minor costo in modo che le giovani famiglie possano essere in grado di mandare i figli alle scuole ebraiche. La situazione economica di Israele è tale che può benissimo sopravvivere senza questi contributi, mentre investire nell’educazione ebraica negli Stati Uniti andrà a beneficio di Israele nel lungo periodo.
A questo proposito non si può non citare l’attività dei Lubavitch. I loro "shluchim" (emissari) aprono sedi locali Chabad ovunque, anche nei luoghi più lontani, per poter tenere unite persone che non avrebbero mai messo piede in nessuna sinagoga, neppure in una riformata. Si sono dati una missione cruciale e mantengono la scintilla del giudaismo vivo in luoghi in cui non c'è altra alternativa ebraica. Sono aperti a tutti gli ebrei, anche se guidano l’auto di Shabbat, e non chiedono ai partecipanti ai servizi religiosi con chi sono sposati. Tuttavia, gli "shluchim" sono criticati quando fanno proselitismo in una zona dove vi è già un luogo di culto ebraico (ortodosso, conservatore o riformato), questa critica è particolarmente forte nelle aree in cui le sinagoghe affrontano difficoltà finanziarie.
Concludo con una battuta amara che ho sentito in California: “Una volta la risposta alla domanda ‘Chi è un Ebreo?’ era: qualcuno la cui madre è ebrea o chi ha avuto una conversione halachica. Oggi la risposta è: ‘qualcuno i cui nipoti sono ebrei’ ”. Questa battuta riflette la vera situazione tra gli ebrei americani di oggi. Tutti sanno, senza ombra di dubbio, che chi ha Israele al centro della propria vita famigliare, incoraggiando interesse e ammirazione per lo Stato ebraico, ha molte più possibilità di avere nipoti ebrei rispetto a chi rifiuta Israele e il sionismo. Chi non insegna ai propri figli che lo Stato ebraico lotta per la sopravvivenza, otterrà che i suoi figli volteranno le spalle a Israele e in seguito anche al giudaismo. Che lo si voglia o no, sostenere Israele o non sostenerlo è una caratteristica che definisce gli ebrei americani, fatta eccezione per gli haredim.
Una volta si pensava che Israele dipendesse dagli ebrei americani. In futuro - forse già oggi - la continuità della comunità ebraica americana dipende dalla sua identificazione con Israele. Gli ebrei americani liberali trovano tutto questo difficile da accettare, ma sta diventando sempre più chiaro che è questa la verità. Si può generalizzare e dire che per rimanere ebrei, ci si deve identificare con Israele. Ma coloro che non lo faranno, vedranno come le loro famiglie avranno anche perduto la loro continuità ebraica.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi