Una vita qualunque
Yigal Leykin
Giuntina euro 15
“Prima che tutto svanisca sommerso dalla confusione e dall’oblio. Per me e solo per me. Per trovare un po’ di sollievo. Per mettere ordine. Per capire. All’improvviso mi è stato chiaro quello che dovevo fare.” Mitia Leykin sta per compiere novant’anni e attende il figlio, medico in Italia, che arriverà in Israele per festeggiarlo quando nella tranquillità delle sue giornate si insinua la telefonata di un amico d’infanzia, compagno di classe di Telinka, l’amata sorella della quale non ha più notizie da molti anni, che vuole incontrarlo per raccontargli cosa è accaduto alla ragazza. La notizia è talmente sconvolgente per Mitia che “una forte urgenza di creare un filo conduttore tra l’oggi e gli albori” si impossessa dei suoi pensieri e lo induce a tornare al passato per raccontare gli avvenimenti che hanno scandito la sua esistenza e i drammatici eventi storici che hanno imposto a lui e alla sua famiglia scelte dolorose e definitive.
Su un quaderno bianco a righe Mitia, che dopo la morte dell’adorata moglie Bussia vive a Bat Yam in una dimora protetta, inizia il racconto intenso, commovente e vibrante d’amore di quella che definisce una “vita qualunque”, la sua. Ma esiste davvero una vita qualunque? Yigal Leikin, il figlio di Mitia, autore di numerosi lavori scientifici pubblicati sulle più prestigiose riviste nazionali e internazionali e attualmente Direttore del Servizio di Anestesia, Rianimazione e Terapia del dolore dell’Azienda ospedaliera di Pordenone, risponde a questa domanda con il libro “Una vita qualunque” pubblicato da Giuntina: un dono prezioso ricevuto dal padre che riaccende il passato di una realtà bruciante.
Il libro di Leykin, che ha il pregio raro di accoglierti fra le sue pagine con una lingua nitida, immediata, vibrante, si legge con la curiosità e la passione di un romanzo ma con il rispetto e la devozione che si riserva solo alle esperienze di vita vissuta. Mitia trascorre la sua infanzia a Kovel, una città nel distretto di Volinia, dell’allora neoRepubblica polacca attraversata dal fiume Turija che la divide in due parti, da un lato la città vecchia e, sull’altra sponda, la città nuova, chiamata Zand in cui si concentra la maggioranza della popolazione ebraica. Mitia cresce in una famiglia benestante grazie all’impegno del nonno materno Naum, ricco industriale tessile ed ebreo osservante delle tradizioni, che ha una grande influenza nella crescita del piccolo Mitia. Lo avvicina alla lettura regalandogli ad ogni visita romanzi appassionanti e ribadendo che “la vera ricchezza sta nei libri… i libri raccontano la vita, ci fanno compagnia e ci insegnano”.
Il primo sconvolgimento nella vita di Mitia arriva all’età di diciotto anni quando la madre Tanja lo mette a parte di un segreto che riguarda la sua nascita: il vero padre non è Noè Rabin, l’uomo rigido ma buono d’animo che lo ha cresciuto, bensì un rivoluzionario, Gravril Leykin, del quale la madre si era invaghita in gioventù. La delusione e l’amarezza nei confronti dei genitori per essere stato ingannato è tale che Mitia decide, poi pentendosi subito dopo, di cambiare il proprio cognome in Leykin. Unica luce rimane l’adorata sorella, Telinka, che cercherà sempre di proteggere dalle insidie della vita. Alla fine degli anni Trenta molti lasciano Kovel per la Palestina non tanto per paura del nazismo quanto per seguire l’ideologia sionista e la possibilità di creare, in futuro, uno Stato indipendente d’Israele. Mitia accetta l’offerta di uno zio che lo avvia al mestiere di odontotecnico a Lodz ma per cavilli burocratici è costretto a rientrare a Kovel dove tra lo studio, la famiglia e le amicizie le sue giornate trascorrono serenamente, incuranti delle nuvole che si stanno addensando minacciose. Il 1° settembre 1939 la Germania invade la Polonia senza alcuna dichiarazione di guerra e da quel momento non è più possibile ignorare le avvisaglie di pericolo che incombono sulle famiglie ebree.
Il 17 settembre i sovietici attraversano improvvisamente le frontiere orientali della Repubblica polacca rispettando in tal modo gli accordi firmati da von Ribbentrop e da Molotov nell’agosto del ’39: Kovel è tra le prime città a cadere, senza opporre alcuna resistenza, nelle mani dei sovietici e per venti lunghi mesi “l’arte dell’arrangiarsi e del sostenersi ci permise di sopravvivere con il minimo di risorse e di non perdere la speranza e la capacità di sorridere”. Nel frattempo le mire espansionistiche della Germania non si fermano: cadono la Danimarca, la Norvegia, l’Olanda, il Belgio, Parigi fino a quando il 22 giugno 1941 Hitler sfonda le frontiere dell’Unione Sovietica, e con l’operazione Barbarossa inizia l’annientamento degli ebrei. L’incertezza sul futuro divide la famiglia di Mitia: alcuni parenti si convincono che nulla cambierà, altri sono consapevoli della tragedia che sta per abbattersi sulle loro spalle. Mitia con la disperazione nel cuore per essere costretto ad abbandonare la sorella, troppo giovane per intraprendere un lungo viaggio, segue il consiglio dell’amico del cuore, Motek Liberson, e insieme salgono sull’ultimo treno disponibile diretto in l’Unione Sovietica.
“Da quell’addio sul ponte del Turja, non mi separai mai più da lei, neanche per un giorno. Telinka è stata sempre con me. Una parte inscindibile della mia vita…” Il racconto di Mitia prosegue in pagine di straordinaria forza espressiva nella narrazione sofferta degli anni di guerra, prima come soldato semplice nella Trud Armia, poi promosso al grado di sergente grazie alla protezione del generale Wladislaw Bukovski che, colpito dai modi semplici e modesti di Mitia, lo terrà con sé fino all’arrivo a Berlino nel 1945. Se le notizie di ciò che è accaduto agli ebrei per mano nazista trovano conferma con la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz altri dettagli sempre più raccapriccianti portano alla luce il dramma della Shoah.
Da molti anni Mitia non ha più notizie della sua famiglia e l’angoscia di aver peso i propri affetti si mescola alla speranza di poterli riabbracciare. L’arrivo a Kovel, grazie a un lasciapassare e a una licenza di due giorni, getta il giovane soldato nella disperazione: la città è in rovine, sui muri della sinagoga trova poche frasi scritte da coloro che si avviavano alla morte, ma nessuna traccia dei suoi familiari. L’incontro con Lida, la vecchia domestica, e il racconto di come Telinka si sia forse salvata accendono in Mitia una luce di speranza e al ritorno a Berlino decide di ritornare alla vita civile.
L’ambientazione a Leopoli, città che racchiude ricordi struggenti, un nuovo lavoro, l’incontro casuale con Bussia a casa di vecchi amici, l’amore che cresce piano piano per quella ragazza anch’ella duramente colpita dalla vita fino alla decisione di unirsi con lei in matrimonio, la nascita di un figlio e il trasferimento in Israele per offrire a quel bambino un futuro migliore sono descritte magistralmente in pagine che colpiscono il lettore sia per la sapienza narrativa che l’autore dispiega nel racconto sia per le implicazioni emotive che scaturiscono da ogni tappa della vita di Mitia, un uomo generoso, onesto, di grande levatura morale: un esempio per ognuno di noi.
Cosa ne è stato di Telinka? Questo è l’interrogativo che accompagna il lettore sino alle ultime pagine che non sveliamo per non guastare il piacere della lettura di un libro indimenticabile, in cui l’autore facendoci dono della storia del padre traccia il percorso di un destino marginale nell’ampio scenario della Storia, ma unico e irripetibile come è ogni vicenda umana.
Giorgia Greco