I territori contesi e Israele 19/02/2015
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Gentilissimo ProfessorVolli, Le scrivo perché, pur non condividendo le idee politiche che Ella esprime apprezzo molto la preparazione e l'arguzia, che spesso sfocia in una gradevole ironia, che trasudano dalle sue cartoline. L'ultima in particolare "il più crudele dei mesi" era molto malinconica e molto poco ironica. Mi permetto di esprimerLe il mio parere su alcuni dei temi che tratta, pur sapendo che partiamo da visioni lontane. Lei si stupisce della posizione politica presa dagli Usa e dall'Europa riguardo al conflitto israelo-palestinese, io ero convinto che le due potenze occidentali la avrebbero presa, anzi per una serie di ragioni se c'è qualcosa che stupisce è il tempo che ci hanno impiegato. Iniziamo a considerare una cosa: le dimensioni. Israele è uno stato molto piccolo, il suo pil (elemento con cui si può avere un'idea del potere di uno Stato) è di 257 480 milioni di $, quello della Grecia, piccolo e marginale Paese europeo, dopo la crisi drammatica è di 249 199 milioni di $. Questo piccolo Paese, accerchiato da nemici, ha potuto resistere per l'appoggio del gigante americano, che l'ha finanziato, armato, protetto diplomaticamente e messo al riparo da sanzioni e misure che, in assenza degli Usa, sarebbero state applicate. Ora immagini che un paese piccolo e diplomaticamente isolato, come ad esempio il Venezuela (che ha un pil maggiore di Israele) sopravviva, nonostante secondo la maggioranza degli stati del mondo calpesti il diritto internazionale ed occupi indebitamente dei territori, grazie ad una stretta alleanza con una superpotenza, mettiamo caso la Russia. Sarebbe intuitivo immaginare che la politica estera venezuelana sarebbe dettata interamente da Mosca, molto più di quanto non lo sia oggi. Ebbene Israele ha scelto negli ultimi anni di fare una politica contraria a quanto USA e UE chiedessero, utilizzando a volte persino toni sprezzanti e sgarbi diplomatici. Credo non esista una situazione simile nella storia recente. Ma vediamo perché Usa e Ue chiedono a Israele di cambiare la propria politica. La risposta è molto semplice: uno stato palestinese deve nascere e se non nasce le potenze democratiche, che sostengono da decenni l'autodeterminazione dei popoli, perdono qualsiasi legittimità davanti al resto del mondo. (Questo al netto dei problemi economici e strategici di una contrapposizione frontale con i Paesi arabi). A ciò si aggiunge che le opinioni pubbliche occidentali ritengono che non sia possibile tenere un popolo sotto occupazione da 60 anni. Lei parla di Stato terrorista (riferendosi alla Palestina) di aggressione islamista etc, ma non dice come si possa garantire l'autodeterminazione del popolo palestinese senza un loro stato e, al tempo stesso, senza la concessione delle cittadinanza israeliana, se Israele deve essere l'unico stato tra il Giordano e il mare. La sua risposta, implicita, è che i palestinesi non hanno il diritto di autodeterminarsi in "Giudea e Samaria", ossia nelle terre in cui vivono, ma nella migliore delle ipotesi possono avere una qualche parziale forma di autonomia in alcune limitate zone. Oppure possono emigrare, ossia devono scegliere tra una sorta di pulizia etnica (e allora si autodeterminassero in un altro Stato arabo) o di non cittadinanza, per cui i palestinesi potrebbero al massimo votare per una autorità monca su una serie di isolette a parziale autonomia. Entrambe sono soluzioni inaccettabili da Usa e Ue, perché questo porterebbe l'occidente a negare i suoi principi di uguaglianza dei popoli, a essere in guerra con tutte le masse arabe, a spianare al blocco dei BRICS l'accesso strategico alla zona con più petrolio del mondo, crocevia dei continenti, e a scontentare le proprie opinioni pubbliche. Nei decenni passati l'occidente, sia per il giusto senso di colpa per quanto accaduto agli ebrei, sia per ragioni tattiche, ha finto di non vedere che la politica israeliana della colonizzazione della Cisgiordania era, oltre che illegale per il diritto internazionale, incompatibile con la nascita di uno stato palestinese, e ha dato tempo e tempo a Israele, fingendo di non capire, in attesa che la situazione cambiasse. Ma non è cambiata poiché non si è creata una maggioranza israeliana nei territori (che avrebbe consentito di annettere Giudea e Samaria concedendo il voto a tutti gli abitanti e dunque restando nei principi democratici) e neppure Israele ha deciso di accettare uno Stato palestinese, già riconosciuto, nei confini provvisori della linea verde, da quasi tutti gli Stati del mondo. Quello che chiede il governo israeliano è più tempo, altri decenni, per continuare nello status quo di sospensione e andare avanti nella colonizzazione della Cisgiordania, sperando che tra 20 o 30 anni gli ebrei siano la maggioranza e possano finalmente creare uno stato democratico su tutto il territorio dei "due stati". Ammesso che sia demograficamente possibile (io ne dubito) servirebbero decenni di occupazione, costruzione, e sostituzione della maggioranza araba di Cisgiordania con una maggioranza ebraica, e il mondo, non solo l'occidente, non può consentire un simile scenario. Mi scusi se sono stato prolisso, ma credo che quanto Le scrivo, e che dico da quando al potere c'era Bush, rappresenta una realtà di cui si debba prendere atto. L'alternativa è un'Israele ridotta a Sudafrica, isolato e sotto sanzioni, con la differenza che il Sudafrica non era circondato da nemici armati fino ai denti. Un saluto cordiale.

Aldo Vita

Gentile lettore, la sua lettera affronta moltissimi temi, tanti che non è possibile risponderle compiutamente. Di più, dà per scontate alcune tesi chiave antisraeliane, che sono inesatte. Per esempio lei dà per scontato che esista uno specifico popolo palestinese autoctono, che questo aspiri davvero ad avere uno stato e a convivere in pace con Israele e non semplicemente a distruggerlo, che Giudea e Samaria siano territori occupati secondo il diritto internazionale, che secondo lo stesso diritto invece gli insediamenti ebraici siano illegali, che Israele sia sopravvissuto non grazie alla sua capacità di autodifesa e alla sua intraprendenza economica, ma grazie all'appoggio dato dagli americani, che il mondo debba essere gestito in maniera imperialista da superpotenze che decidono quel che devono fare gli altri, che solo su Israele e non per esempio sull'occupazione turca di Cipro (che pure è un paese dell'Unione Europea) o su quella marocchina del Sahara occidentale, o su quella Cinese del Tibet eccetera eccetera si misuri la credibilità dell'Europa, che non ci sia già uno stato a maggioranza palestinese e tratto dal Mandato di Palestine stabilito dalla Società delle nazioni che si chiama Giordania. Tutte queste tesi sono sbagliate fattualmente e anche, me lo consenta, moralmente inaccettabili. Credo di averle smontate una a una nelle mie cartoline che lei sembra avere la pazienza di leggere ogni tanto. Ma oggi il problema vero è che il movimento palestinista fa parte di quella grande spinta islamista che sta investendo l'Europa. Indebolire fortemente Israele, come sta cercando di fare l'Europa e l'amministrazione Obama, togliergli confini difendibili, obbligarlo a riallocare il 10/15% della sua popolazione, ridividere con un muro la sua capitale, portrebbe allo stesso risultato che si è ottenuto dai ritiri dal Libano meridionale e da Gaza: la formazione di enclaves terroriste molto aggressive, che avrebbero probabilmente la forza per ferire a morte Israele, per togliergli la dimensione e la sicurezza che ne hanno fatto uno stato di grande successo economico, tecnologico e culturale. Sarebbe l'inizio della fine, con il rientro di milioni di ebrei in Europa e negli Stati Uniti, di cui buona parte conserva la doppia cittadinanza. Sarebbe disposta l'Europa ad accoglierli? La Germania, la Polonia, l'Italia e la Francia che si sono liberati dei loro ebrei settant'anni fa come sappiamo, sarebbero disposti ad accoglierne qualche milione? Non ci troveremmo di fronte a una nuova Shoà? E anche prima, crollato l'antemurale israeliano, sarebbe pronta l'Europa a reggere direttamente l'impatto islamista che già si profila dentro e fuori dai nostri territori? Tutti si affrettano oggi a dire di volere lo "Stato di Palestina". Ma qualcuno ha calcolato le conseguenze di questo fatto? Non mi pare. La sola spiegazione che mi dò del comportamento europeo su questo nodo cruciale (lascio stare l'America dove il discorso sarebbe un altro) è che Deus amentat quos perdere vult; c'è una sindrome suicida nel nostro continente, che porta a fare delle scelte le cui conseguenze pericolosissime sono sotto gli occhi di chiunque voglia guardare. Ma per fortuna le cose non stanno come dice lei su un punto cruciale: Israele non è una colonia americana. Vi sono state in passato conflitti anche durissimi. L'Occidente non voleva l'istituzione dello Stato ebraico, la Gran Bretagna ha combattuto dalla parte degli arabi, gli Stati Uniti si sono voltati dall'altra parte. Ogni volta che Israele ha dovuto affrontare un'aggressione bellica, l'Europa e gli Stati Uniti hanno fatto il possibile per frenare l'autodifesa israeliana e sabotarla. L'Europa è stata ed è ancora complice del terrorismo (pensi a Craxi a Sigonella, o ai finanziamenti a Hamas dell'Unione Europea). Israele ce l'ha fatta da sola, cercando alleati contro i nemici dove li trovava (anche l'America, sì, ma anche i paesi dell'Est ai tempi della guerra di indipendenza). Io ho fiducia che il popolo israeliano saprà respingere anche questa volta l'offensiva europea e americana, che lo mostrerà anche alle elezioni, e che saprà sfruttare le proprie alleanze regionali, le nuove aperture con l'India e con la Cina, insomma, che saprà difendersi da solo e vincere ancora una volta.
Ugo Volli