Gentilissimo ProfessorVolli, Le scrivo perché, pur non condividendo le idee politiche che Ella esprime apprezzo molto la preparazione e l'arguzia, che spesso sfocia in una gradevole ironia, che trasudano dalle sue cartoline. L'ultima in particolare "il più crudele dei mesi" era molto malinconica e molto poco ironica. Mi permetto di esprimerLe il mio parere su alcuni dei temi che tratta, pur sapendo che partiamo da visioni lontane. Lei si stupisce della posizione politica presa dagli Usa e dall'Europa riguardo al conflitto israelo-palestinese, io ero convinto che le due potenze occidentali la avrebbero presa, anzi per una serie di ragioni se c'è qualcosa che stupisce è il tempo che ci hanno impiegato. Iniziamo a considerare una cosa: le dimensioni. Israele è uno stato molto piccolo, il suo pil (elemento con cui si può avere un'idea del potere di uno Stato) è di 257 480 milioni di $, quello della Grecia, piccolo e marginale Paese europeo, dopo la crisi drammatica è di 249 199 milioni di $. Questo piccolo Paese, accerchiato da nemici, ha potuto resistere per l'appoggio del gigante americano, che l'ha finanziato, armato, protetto diplomaticamente e messo al riparo da sanzioni e misure che, in assenza degli Usa, sarebbero state applicate. Ora immagini che un paese piccolo e diplomaticamente isolato, come ad esempio il Venezuela (che ha un pil maggiore di Israele) sopravviva, nonostante secondo la maggioranza degli stati del mondo calpesti il diritto internazionale ed occupi indebitamente dei territori, grazie ad una stretta alleanza con una superpotenza, mettiamo caso la Russia. Sarebbe intuitivo immaginare che la politica estera venezuelana sarebbe dettata interamente da Mosca, molto più di quanto non lo sia oggi. Ebbene Israele ha scelto negli ultimi anni di fare una politica contraria a quanto USA e UE chiedessero, utilizzando a volte persino toni sprezzanti e sgarbi diplomatici. Credo non esista una situazione simile nella storia recente. Ma vediamo perché Usa e Ue chiedono a Israele di cambiare la propria politica. La risposta è molto semplice: uno stato palestinese deve nascere e se non nasce le potenze democratiche, che sostengono da decenni l'autodeterminazione dei popoli, perdono qualsiasi legittimità davanti al resto del mondo. (Questo al netto dei problemi economici e strategici di una contrapposizione frontale con i Paesi arabi). A ciò si aggiunge che le opinioni pubbliche occidentali ritengono che non sia possibile tenere un popolo sotto occupazione da 60 anni. Lei parla di Stato terrorista (riferendosi alla Palestina) di aggressione islamista etc, ma non dice come si possa garantire l'autodeterminazione del popolo palestinese senza un loro stato e, al tempo stesso, senza la concessione delle cittadinanza israeliana, se Israele deve essere l'unico stato tra il Giordano e il mare. La sua risposta, implicita, è che i palestinesi non hanno il diritto di autodeterminarsi in "Giudea e Samaria", ossia nelle terre in cui vivono, ma nella migliore delle ipotesi possono avere una qualche parziale forma di autonomia in alcune limitate zone. Oppure possono emigrare, ossia devono scegliere tra una sorta di pulizia etnica (e allora si autodeterminassero in un altro Stato arabo) o di non cittadinanza, per cui i palestinesi potrebbero al massimo votare per una autorità monca su una serie di isolette a parziale autonomia. Entrambe sono soluzioni inaccettabili da Usa e Ue, perché questo porterebbe l'occidente a negare i suoi principi di uguaglianza dei popoli, a essere in guerra con tutte le masse arabe, a spianare al blocco dei BRICS l'accesso strategico alla zona con più petrolio del mondo, crocevia dei continenti, e a scontentare le proprie opinioni pubbliche. Nei decenni passati l'occidente, sia per il giusto senso di colpa per quanto accaduto agli ebrei, sia per ragioni tattiche, ha finto di non vedere che la politica israeliana della colonizzazione della Cisgiordania era, oltre che illegale per il diritto internazionale, incompatibile con la nascita di uno stato palestinese, e ha dato tempo e tempo a Israele, fingendo di non capire, in attesa che la situazione cambiasse. Ma non è cambiata poiché non si è creata una maggioranza israeliana nei territori (che avrebbe consentito di annettere Giudea e Samaria concedendo il voto a tutti gli abitanti e dunque restando nei principi democratici) e neppure Israele ha deciso di accettare uno Stato palestinese, già riconosciuto, nei confini provvisori della linea verde, da quasi tutti gli Stati del mondo. Quello che chiede il governo israeliano è più tempo, altri decenni, per continuare nello status quo di sospensione e andare avanti nella colonizzazione della Cisgiordania, sperando che tra 20 o 30 anni gli ebrei siano la maggioranza e possano finalmente creare uno stato democratico su tutto il territorio dei "due stati". Ammesso che sia demograficamente possibile (io ne dubito) servirebbero decenni di occupazione, costruzione, e sostituzione della maggioranza araba di Cisgiordania con una maggioranza ebraica, e il mondo, non solo l'occidente, non può consentire un simile scenario. Mi scusi se sono stato prolisso, ma credo che quanto Le scrivo, e che dico da quando al potere c'era Bush, rappresenta una realtà di cui si debba prendere atto. L'alternativa è un'Israele ridotta a Sudafrica, isolato e sotto sanzioni, con la differenza che il Sudafrica non era circondato da nemici armati fino ai denti. Un saluto cordiale.
Aldo Vita